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lunedì 30 settembre 2013

LUCIANNA ARGENTINO: 100 THOUSAND POETS FOR CHANGE



 



Lucianna Argentino fra i prescelti per la famosa Antologia Poetica: 
100 THOUSAND POETS FOR CHANGE

Ha scelto la poesia – almeno così le pare perché a volte si chiede se non sia stato piuttosto lʼinverso – e comunque sia, come sia stato possibile il trasformarsi delle cose, visibili e invisibili, in parole – la cosa nella parolacosa, lʼamore nella parolamore e così via. E così sia stato possibile farne semi che ci convertano, ci impediscano di inneggiare allʼodio e bruciare il bene come si bruciano bandiere, devastarlo come si devastano paesi e città, ucciderlo come si uccidono donne e bambini, annegarlo come annegano i disperati, abbandonarlo come sʼabbandonano i vecchi e i cani, abbatterlo come si abbattono boschi e foreste; stuprarlo, imprigionarlo, torturarlo. E così sia possibile alle parole il miracolo di arare e seminare la nostra terra perché abbia frutti in abbondanza, perché i poeti sanno che nessuna poesia cambia il mondo ma può svelarne la bellezza. Ha scelto la poesia perché sia possibile trapiantare un gelso nel mare.*

Lucianna Argentino

* “Se aveste fede quanto un granellino di senape
potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e
trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”
(Luca 17,6)

Lucianna Argentino è nata a Roma. Ha pubblicato Gli argini del tempo (ed. Totem, 1991), Biografia a margine (Fermenti Editrice, 1994), prefazione di Dario Bellezza e disegni di Francesco Paolo Delle Noci; Mutamento (Fermenti Editrice,1999) prefazione di Mariella Bettarini; Verso Penuel (Edizioni dellʼOleandro, 2003), prefazione di Dante Maffia; Diario inverso (Manni editori, 2006), prefazione di Marco Guzzi; Lʼospite indocile (Passigli, 2012) nota di Anna Maria Farabbi. Nel 2009 ha pubblicato la plaquette Favola (Lietocolle), con acquerelli di Marco Sebastiani.


N. DI STEFANO BUSA': INEDITO

E il mondo poi si sfalda


Il giorno contraddice i suoi roseti,
stilla albe di luce
su cime disseccate,
fronde ed erbe nuove sorridono.
Ma tornano inquiete le memorie,
naufraghe d’aria le farfalle in bozzolo.

Artigli inesorabili, le rese,
fuochi fatui sui sentieri del mondo,
mentre in terra di riporto
sopravvive il dolore dell’uomo,
presagio uguale che rinfocola la pena.
E il mondo poi si sfalda,
si mostra decomposto, in migrazione,
straniero a se stesso.
L’aurora scorre come fioca luce,
confida nella poesia del cuore,
magari nella felicità dell’attimo
che strazia il gioco delle trasparenze,
si fa già sonno al suo risveglio.
  

Ninnj Di Stefano Busà

venerdì 27 settembre 2013

PREMIO HISTONIUM: RISULATI

OPERE VINCITRICI DEI PREMI ASSOLUTI
(ED EX-AEQUO)
XXVIII EDIZIONE 2013
Per la Sezione A (poesia inedita a tema libero):
1. Notturno di Fulvia Marconi - Ancona
2. Solo un respiro di ginestra e fiordaliso di Loretta Srefoni - Civitanova Marche (Mc)
3. ex-aequo Hotel "Delirio" di Antonio Tarantino –  Vasto (Ch)
3. ex-aequo Se poi, per caso di Anna Eleonora Cancelliere –  Montorfano (Co)
Per la Sezione B (Silloge di 10 poesie):
1. Il viaggio di Giuseppe D'Elia – Noci (Ba)
2. Ritornando alla Marina di Alessandro Obino – Torino
3. Coralli di Maria Luisa De Santis De Capoa – Campobasso
Per la Sezione C (Racconto inedito):
1. Non sarà mai un addio, ma solo un arrivederci... di Rita Muscardin - Savona
2. Sommossa popolare di Vincenzo Melino – Campobasso
3. La grazia nella follia - "La terra Santa" di Alda Merini di Carmelo Consoli - Firenze
Per la Sezione D (Opera in poesia o prosa sul tema: “L'acqua: risorsa preziosa dell'umanità”):
1. Quante volte (poesia) di Ottavio Pilotti – Tortona (Al)
2. L'incubo (racconto) di Anna Maria Paolizzi – Rimini
3. Lascerò parlare l'acqua (poesia) di Beatrice Cornado – Brescia
Per la Sezione E:
Libri editi di poesie: 

1. Epiloghi - giorni inattesi a Villapizzone (Casa Editrice Leonida) di Nicolò Mazza – Padova
2. IL Poesario VIII (Genesi Ed.) di Serena Siniscalco – Milano
3. Assiomi del Negheb (Ed. Sovera Multimedia) di Renzo Piccoli – Bologna
Libri editi di narrativa e saggistica:
1. Padre Pio il confratello (biografia - Edizioni Tracce) di Angelo Maria Mischitelli – Roma
2. La guerra è un'offesa all'intelligenza degli umani (saggio - Gruppo Editoriale L'Espresso) di Rocco Labellarte – Adelfia (Ba)
3. L'ultima volta (romanzo - Edizioni Tracce) di Salvatore Maiorana – Firenze
Per la Sezione F (opera in poesia o prosa  sul tema: “L'amore fonte ed essenza della vita ”):
1. Erina che non sapeva nuotare (racconto) di Daniela Gregorini – Ponte Sasso di Fano (Pu)
2. Una vera storia d'amore - La casa dei ricordi (racconto) di Adriana Marchesani – L'Aquila
3. Il mio amore per te (poesia) di Ida Cecchi – Barberino del Mugello (Fi) 
OPERA CON IL PREMIO “HISTONIUM D’ORO
PER MERITI LETTERARI”
Per la Sezione E (libro edito di narrativa):
- Le parole della mia vita (Edizioni Noubs) di Luciana Piccirilli Profenna – Pescara
OPERE CON PREMI "TROFEO DELLA CULTURA-HISTONIUM ALLA CARRIERA"
Per la Sezione A:
Fragile di Gabriella Bottino – Montesilvano (Pe)
IL netturbino di Antonio D'Alfonso – S. Salvo (Ch)
Per la Sezione B:
Eros e Pathos di Sergio Concia – Cagliari
PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA PER LA TESTIMONIANZA SUL CANCRO
Per la Sezione E (libro edito di narrativa):
Le ragazze di Via Roma e un ragazzo di Federica Tedeschi – Pescara
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giovedì 26 settembre 2013

MIRIAM LUIGIA BINDA: INEDITO

Nell'assenza

Intanto penso a come le cose cambiano
appena si resta assenti.
Appena assopiti,  all'angolo dell'affanno-rutilante
 respinti dal Raziocinio che   incombe e detta le sue leggi
 come un uncino d'acciaio
attaccato alla  falce arrugginita del tempo.
Un gancio che cattura l'attenzione della giovane  fantasia
e ci  alza sul mondo per dirci " anche tu,  sei presente!".
 Ciò che siamo nell'assenza invece,
sul cuscino è   un nettare dolce
l'abbandono,  la compassione ed il sogno.
Gioco, gloria, amore-fanciullo.
Appena si resta assenti,  tutto tace  nel suo pianto,
ed il mattino.....
passa nel silenzio della sera.

Miriam Luigia Binda
settembre 2013
  


  


N. PARDINI: LETTURA DI "LE PROMESSE DEI GIORNI..." DI A. MAGNAVACCA




Recensione
a
Anna Magnavacca: Le promesse dei giorni e altri versi
Edizioni Helicon. Arezzo. 2013. Pp. 66

Avventure verso significanti che vanno oltre gli etimi.






Mi piaceva la luna d’avorio che baciava
prima del sonno i fiori del ciliegio

Plaquette di due sillogi, questa nuova avventura letteraria di Anna: Le promesse dei giorni e altri versi e Madre; trae il titolo dalla raccolta eponima. Devo dire innanzi tutto che il dipanarsi del dettato lirico si mantiene su livelli di alto spessore per architetture tecnico verbali e per varietà di contenuto. Un’opera che evidenzia gli stilemi tipici della vis creativa della poetessa, e che segna una tappa di continuità nel percorso artistico della stessa. Percorso connotato da una maniera di sentire e di dire che rende unica, inconfondibile, e personale la sicurezza del ductus poetico. Silloge arrivante, quindi, coinvolgente per il tatto delicato con cui l’autrice mette a nudo il suo essere donna, il suo vivere e il suo vissuto. Per la coscienza inquietante di veleggiare su un fiume segnato da correnti ora ripide, ora placide e trasparenti, ora rilucenti di guadi da cui appaiono ristagni di antiche memorie. E l’anima di questa poesia è tutta in una simbiotica fusione fra abbrivi meditativi e versificazione che, per contenere tanto pathos, si avventurano in iperboli di acribia speculativa che vanno oltre le stesse regole della comune sintassi. Il verbo si fa ora duttile, ora nervoso, ora placido, ora audace in questo suo adattamento, in questo suo farsi corpo per abbracciare l’anima del canto. Veri azzardi linguistici, dunque. Elegie semantiche colorite da tanto sentire. Avventure verso significanti che vanno oltre gli etimi. E’ così che prendono forma tante figure care. Evocazioni ad invadere gli spazi sottostanti del pensiero:

“(…)
Coperta il mio cuore
su pezzi di dolore, vento la mia voce.
Oltre il sole messaggi a mia madre, a mio padre,
a quanti ho amato e perso
e mi tocca contare – aggiungere le perdite
in questo cerchio mai chiuso…” ( Un giorno d’autunno), 

in un linguismo che fa della semplicità l’arma vincente. Linguismo che si avvale di incastri e di nessi creativi che raggiungono “pointes” di grande valenza partecipativa. Con un ardore allusivo di metafore che si apre ad una polisemica significanza ora di tensione orfica, ora, anche, dai toni epico-lirici:

“(…)
Resto sola,
sento lo scricchiolio di una stella
che s’arrampica sull’alba” (Un sabato);

“(…)
Sento il silenzio
chiede di bere al calice di madreperla
della notte” (Una domenica);

“(…)
Avanza il buio.
Voglio pensarti libera barca
in cerca di un faro di bianco corallo” (Un giorno di lutto);

“(…)
Appoggio il mio cuore
sull’orlo di una pietra” (Un giorno di primavera).

E tutto si svolge in forma ampia e narrativa. Come se la poetessa sentisse la necessità di un modus dicendi disteso per ri/vestire un resoconto di totale intimità. Un resoconto da redde rationem, zeppo di vicissitudini umanamente infinite. Umanamente troppo umane nel loro aveu diretto. Nel loro sperdimento evocativo. Nel loro abbandono ad una realtà osservata, captata, e decantata in un animo disposto a farla rivivere contaminata del suo patema. Del suo senso della vita. Di una certa stanchezza, anche, per come corrono le cose:

“Non devo, non voglio
oggi giorno qualunque
fare bilanci della mia vita
altrimenti lancerei tutto
su un arcobaleno,
uno di quelli che vedi
un batter d’ali
e poi ti chiedi dove può essere finito
così, senza avvisaglie.
Negli occhi quei colori scomparsi
così in fretta…” (Un giorno qualunque).

  Qui presente, passato, e futuro si embricano indissolubilmente in una soluzione di reale impatto quotidiano:

… Sul tavolo
alta la zuppiera dall’orlo d’oro
bollicine nei concavi bicchieri.
Fuma e crepita il caldo intingolo,
accese sono le luci
il melo ha messo i fiori
(…)
Il gatto ha già mangiato
e si è addormentato (Un giorno di festa); 

“(…)
Questa mia vita
non mi dà grave avviso
ma quell’insistente corrosiva stanchezza
delle stesse notti…” (Un giorno qualunque).

Una consuetudine quasi scontata. Un vivere i fatti come se si succedessero senza novità alcuna, come se si presentassero con quella abitudinaria quotidianità a cui è d’uso partecipare. Ed è da questi fatti che la Nostra sente la necessità di svincolarsi per azzardare voli oltre, oltre certi spazi che segnano il limen del nostro vivere, che segnano notti che lacerano-consumano:

“(…)
E’ un cielo con l’arcobaleno fermo
che io cerco,
mi sussurra di una farfalla su un ramo
della pensierosa bianca fronte della luna
dello sposalizio della sera con il silenzio
e salire salire salire…” (Un giorno qualunque).

Sì, è là che la Nostra vorrebbe volare, oltre la terra, in cuore all’azzurro, in braccio ad un arcobaleno da cui mirare la terra rimpicciolita nei suoi travagli e nelle sue sottrazioni. Ed è l’imperfetto che spesso domina con il suo fervore nostalgico, per cui tutto sembra lisciato e ingentilito da una memoria che fa persino presente un tempo sfuggito. Che fa di un confronto, una lirica di struggente richiamo:

“Mi piaceva avere capelli rossi labbra vermiglie
occhi di canto sbavati di rimmel,
sentire il passo pieno, il fiato caldo della vita.
Mordere sulla pelle il vento il fuoco
(…)
Mi piaceva sdraiarmi nella rugiada
(…)
Mi piaceva la luna d’avorio che baciava
prima del sonno i fiori del ciliegio.

Adesso mi offro da bere latte caldo
metto all’orecchio una conchiglia bruna,
profumo d’incenso il mio scialle (labirinto di rose)…” (Donna ieri – oggi).

Realtà cruda, di cui la poetessa si ciba per concludere bilanci di amare sottrazioni. Ma reagire con il sogno è forza umana. Ed il sogno fa parte della vita, ne è nerbo essenziale. Ed è meravigliosamente umano abbandonarsi ad orizzonti senza confini:

“Mi piace inventare primavere improvvise
sognando aperti orizzonti.
Vorrei fare collane di pietra” (ibidem).

C’è in questi versi la piena coscienza del senso eracliteo del tempus fugit, della fuga del giorno. Ed è così che la Nostra si intrufola nei minimi particolari, nelle cose più semplici, nelle piccole occasioni dell’esistere per  farne poesia a pieno titolo etico-estetico. E’ la vita con tutta la sua portata che si fa serbatoio di un realismo lirico convincente, votato a sottrarre le bellezze agli annichilenti artigli del tempo con la poesia. Poesia in cui una malinconia sotterranea fa da terreno fertile per la fioritura di un canto sintonizzato alle corde di ogni cuore:

“Oggi non ride il mio mare,
nere vele
stendono parole ferite.
(…)
Arrivano battono chiudono…
volto mani cuore
madre mia.
Ultimo appuntamento.
Senza pietà .
Avanza il buio.
Voglio pensarti libera barca
in cerca di un faro di bianco corallo” (Un giorno di lutto).

Sì, le cose semplici, quelle di ogni giorno: la camicia di lino, il treno, il gatto, le fette biscottate, una ninna nanna, il latte caldo, tacchi a spillo, un fazzoletto bianco ad animare e a rendere umile questo messaggio di vita e di amore che tiene in sé la complessità dell’esser/ci: il tempo, i luoghi, i perché, il memoriale, il rimpianto e la piena coscienza di questo breve spazio che impietoso logora e consuma anche quelle bellezze che pensavamo eterne. Bellezze che la natura potente, colorita, irruente, dolce, di pulcritudine ammaliante, contribuisce a rendere visive, pronta a favorire l’effusione sentimentale della poetessa. A rendere patologico il di lei mondo interiore, avvolgendolo ora di un mare che non sorride, quando si fa più triste il pathos del canto, ora di rivoli di neve e rosse case, di fusione di cielo e ciliegi, quando il verso è frutto di  una tale esplosione estatica da fare appoggiare il cuore sull’orlo di una pietra. Sì, un mondo di amore, soprattutto. Quell’amore che si vive a pieno leggendo les pièces più crude, più amare; perché la Magnavacca ama la vita, ed un risentimento è umano quando la vita stessa sembra tradirci. Risentimenti che, però, non esistono nelle liriche rivolte a “una madre” che “Nel mistero della vita/ in sconosciuti labirinti/ sa andare/ giada e sole”, o a madri che “sognano aquiloni colorati/ per i loro figli” anche se “soltanto pochi/ riescono poi a tenere l’aria”. Una serie di liriche rivolte alla madre senza cadere nella retorica. Riuscendo la poetessa a non scivolare in quel campo minato in cui potrebbe portare questo tipo di argomentazione. E lo dimostra in quel X Intermezzo della II sezione (Madre) che nella sua essenzialità condensa il focus di un Poema:

Ancora madre
chiamerò
nella memoria gli anni belli”      

         XXI poesie dal sapore elegiaco, anche queste, che si snodano su un tessuto confidenziale e intenso di riflessioni e repêchages di quadri e spaccati che mettono in gioco madre e madri senza mai cadere di tono sia a livello emozionale che strutturale. Una andatura etimo-fonico, di euritmica musicalità che prende sostanza e vigoria lirica ex abundantia cordis. Che sboccia nei giardini ora del reale, ora del sogno per decollare verso dolci e delicati approdi a convertire in gaudio le lacrime. Con il solito dire narrativo, dal respiro ampio e meditato, espanso ad abbracciare un’anima tutta volta all’amore, la poetessa sviscera tutto il suo sentire, sostanziato da fatti ed episodi che la memoria riporta a galla con grande trasporto. Ed è in questi ritorni che la Nostra trova tutto il riposo del suo essere. Che trova l’alcòva dei suoi spazi esistenziali. Perché sono proprio le immagini che assumono connotati e dimensioni completamente rielaborate in seno alla scrittrice. D’altronde la realtà è una cosa, ma l’immagine viene dopo, dopo anni, ingrandita, trasformata, a lievitare dentro per farsi vera poesia:      

“(…)
Anche mia madre mi aspettava
ma come i figli
delle amiche di mia madre
molte volte restavo impigliata
in sogni di mare
mentre mia madre
riempiva la mia assenza di dolce stupore.
Amavo mia madre
e adesso ancora amo mia madre
che non è più (Erano tutte madri…).

Ed è questa semplicità sconcertante, trapunta di  impennate creative, a nutrire un “Poema” monotematico che riprende fra le mani il bandolo di un passato, cristallizzandolo in poesia. Memorialità, stupefazione, un po’ di tristezza, anche, per dei propositi incompiuti:

“Dicevo a mia madre
che l’avrei portata
con me
in viaggio –
Parigi o Vienna o Londra.
(…)
Mia madre
non ha visitato
né Parigi né Vienna né Londra.
Le è bastato il sogno.
(…)
E’ stato avaro il tempo…
esalava umido odore di terra
e in mano stringeva
un mazzo di crisantemi” (Dicevo…). 

         E si succedono liriche di grande intensità umana, di grande coinvolgimento emozionale: un climax tematico che tende ad ampliare sempre più gli orizzonti forse non completamente ultimati, irraggiunti; orizzonti di una vita in cui le sottrazioni, anche se arginate dal sogno, vincono sulle realizzazioni:

“(…)
Mia madre
aveva il respiro nelle sue mani,
un respiro
fatto di fatica di anni di dolore
e di quell’esplosione di bellezza
delle madri.
E le sue lentiggini…
Impietoso il tempo.
Quelle lentiggini
le ritrovo oggi nelle mie mani (Non posso dimenticare).

Quel tempo che ritorna impietoso nei versi della Nostra a logorare le cose più sacre. E quando si tratta di vedere questa decadenza negli occhi e nel viso di una madre ancora più forte, quasi indicibile, il sentimento d’impotenza che proviamo di fronte al potere perentorio dell’ora e del giorno sulla materialità del nostro esistere. Sul naturale evolversi dei processi naturali. 
         Ed essere madre a sua volta permette ad Anna, forse, di comprenderne con più tensione e maggiore intensità il ruolo. Anche se resterà sacro nel nostro cuore, insuperabile, esemplare nella nostra mente, quello di una mamma scomparsa, la cui immagine continuerà a brillare di una luce diamantina sui percorsi del nostro vivere:

“(…)
Figli che amo,
forse ricambiata
ma
a volte li sento lontani-stranieri
come fiori
in un sogno invernale
(…)
Riusciranno poi a rubare
musica all’oscurità, luce alle stelle
voce all’aurora?
(…)
E’ difficile essere madri,
anch’io lo sono
e so quanto è tortuosa
la strada di una madre” (Anch’io sono madre).       
                                                                                                                                                                    Nazario Pardini


M. EBE ARGENTI: "NON TRAMONTATE STELLE"



Maria Ebe Argenti: Non tramontate stelle. Genesi Editrice. Torino. 2013. Pp. 80




"... Tante sono le occasioni poetiche dell’Argenti: la coscienza eraclitea dell’esistere, l’accostamento delle grandi o piccole fasi della vita alle configurazioni paniche simbolicamente esistenziali, all’amore per il mondo, per l’esistenza, per la creazione anche se una certa melanconia pervade la pièce per lo scorrere implacabile del tempo: ogni giorno è una piccola morte, come direbbe il poeta; ma è il memoriale uno dei motivi poetici di maggiore impatto emotivo. Questo sentimento si fa ora nirvana edenico, amore oblativo, dove rifugiarsi per ritrovare riposo e sprazzi di pace soffusa, momenti di ritorno che staccano da una vita spesso troppo umana, nelle sue successioni. Ora si fa motivo di melanconia nella coscienza dell’essere e dell’esistere tanto magistralmente raffigurato in quella piccola foglia che s’abbandona alla corrente del lungo fiume in corsa verso il mare: coscienza della precarietà degli spazi ristretti di un soggiorno: “Dum loquimur fugerit invida aetas” (Q. Orazio Flacco). Ed è allora che l’autrice riporta a vita i grandi amori, le grandi passioni, gli scintillanti episodi ricchi di pathos, che costituiscono l’essenza del vivere. Sì, è capace l’autrice, in questa sua operazione di scavo, di ridare forma, colore, animosità a quelle immagini covate in seno. Ed è tanto forte il suo sentire, tanto vero il suo ritorno che mai scade in un sentimentalismo eccessivo, mai in un dire ovvio o scontato, perché il tutto è sempre sorretto da una robusta cifra lessico-metrica, e da un calore emotivo talmente vissuto, che il canto da soggettivo si fa universale e oggettivamente donato..." (dalla Prefazione di N. Pardini a "C'era una volta il bozzolo, Edizioni ETS, Pisa, 2012" 



mercoledì 25 settembre 2013

CONCORSO CITTA' DI QUARRATA: RISULTATI

32° CONCORSO INTERNAZIONALE DI POESIA
«CITTA' DI QUARRATA»

CLASSIFICA PREMIO DI POESIA 2013


La Giuria di questo Premio, formata da: Presidente Prof. Piero Santini (Università di Firenze), Prof.ssa Paola Giuntini, Prof.ssa Paola Lomi, Prof.ssa Sara Puccini, Dott. Athos Capecchi, Walter Melani, Franco Benesperi (Vicepresidente BCC Vignole), al termine della vivace riunione conclusiva del 18 settembre 2013, ha stilato la seguente graduatoria:


·       1° LUIGI PARABOSCHI di CASTELSANGIOVANNI (PC): Ultima lettera dalla Provenza

·       2° PASQUALE BALESTRIERE di BARANO D’ISCHIA (NA): Epistola

·       3° DANIELA RAIMONDI di SALTRIO (VA): Quelle arie di Puccini

·       4° SALVATORE CANGIANI di SORRENTO (NA): Nell’attimo in cui vivo

·       5° LORIANA CAPECCHI di QUARRATA (PT): Senza chiedere sconti al tempo avaro

·       6° posto, ex aequo, in ordine alfabetico:

o   MARIA EBE ARGENTI di VARESE: Il tempo si trascina anche così

o   CARLA BARONI di FERRARA: Wistaria sinensis

o   LORENZO CERCIELLO di MARIGLIANO (NA): Il ricordo e il silenzio

o   UMBERTO CERIO di LARINO (CB): Canto della terra

o   EMILIA FRAGOMENI di GENOVA: Il gabbiano bianco

o   FILIPPO INFERRERA di MESSINA: La collina degli aranci

o   TIZIANA MONARI di PRATO (PO): I lupi del nord (Argentina 1976)

o   MARISA PROVENZANO di CATANZARO: Illusoria e ingannevole poesia

o   ADOLFO SILVETO di BOSCOTRECASE (NA): Scampia

o   ANGELO TAIOLI di VOGHERA (PV): Mi dici, il verso

·       Per la sezione Premio Montalbano, la Giuria assegnava il premio al poeta

o   EDOARDO CARLESI di QUARRATA (PT): Gigli dolci insidia (di) Morfeo

·       Per la sezione Estero, la Giuria del Premio assegnava il premio al poeta:

o   JANE MICALLEF di MALTA: Mediterraneo 2011