martedì 1 ottobre 2013

FULVIA MARCONI: "NOTTURNO"


Poesia intensa, dove la natura con tutto il suo contributo visivo abbraccia l’anima della poetessa per cristallizzarne le emozioni. L’euritmica musicalità dell’endecasillabo è distesa su uno spartito di vaghezze semantiche, dove presente passato e futuro si embricano vicendevolmente dando forza alla plurivocità del dettato lirico. L’ardore allusivo di metafore fa sì che l’atmosfera della notte acquisisca caratteri di rara sfumatura ad esaltare le inquietudini dell’esistere, il polemos  tra gli opposti di memoria eraclitea: il giorno la notte, la luce e l’oscuro, la vita e la morte, la primavera della vita e l’autunno del suo sfiorire. Tutta la complessità dell’esistere vi è contenuta. E la civetta, l’usignolo, lo scrosciare di una fonte a rompere i silenzi si fanno simboli di perspicua  sapidità disvelatrice; simboli di un vissuto consegnato ad un realismo lirico di grande efficacia. E il memoriale, esondando ex abundantia cordis, s’impone come spartito di una pucciniana romanza; di una romanza che, con tutto il suo potere rievocativo, e con grande resa poetica, concretizza il suo patema nella similitudine di un cane che latra per un abbandono. Ma anche se il ricordo lontano di un primo bacio, e il pallido chiarore dei lampioni sembrano rischiarire in parte la notte della Nostra, pur tuttavia:

“Prosegue incerto il passo del mio andare,
vorrei svegliare stelle vagabonde,
vorrei cercar la luce che rincuora
… ma la civetta sta cantando ancora”.

 Nazario Pardini



POESIA VINCITRICE DEL PREMIO HISTONIUM (SEZ. INEDITO)


NOTTURNO



Scende la notte solitaria e stanca,
dita oscure s’abbassano, vagando,
nel ricoprir di nulla la natura
dispersa in brezze e in bisbigliar di fonti.
Il canto di civetta, sopra un ramo,
agghiaccia di paura un roditore,
che con dolenza e sempiterna pena,
ricerca il suo rifugio tra le zolle.
E quanto è ammaliatore, invece, il trillo
dell’usignolo che accompagna e guida
storie d’amore e pur di nostalgia,
decaloghi di vecchi e nuovi amanti.
Notturni che conoscono le storie
di mille amori e mille tradimenti,
di lotte e di promesse, poi, mancate,
di magici segreti inconfessati.
E s’ode, ancora, il sussurrar di fonte,
ove la rana sguazza tra le foglie,
nell’incertezza di rumori alterni
vaganti nelle gemme dell’oscuro.
Inseguo il mio destino nella notte,
ma tutto sembra, a un tratto, allontanarsi,
forse… i rimpianti sono a me vicini,
tanto vicini da toccar con mano.
Un soldo per un attimo di luce
che mi rischiari, appena, un desiderio,
che mi riporti in mente il primo bacio,
nascosto tra un pensiero ed un sospiro.
È sempre più profonda questa notte,
un cane latra e mi fa compagnia,
forse, anche lui è in cerca della mano
che gli faccia scordare l’abbandono.
Si scorgono lontano dei lampioni
a rischiarar, timidamente, strade
e le sembianze delle vecchie case
hanno il sapor dei giochi trascurati.
Prosegue incerto il passo del mio andare,
vorrei svegliare stelle vagabonde,
vorrei cercar la luce che rincuora
… ma la civetta sta cantando ancora.


                                             Fulvia Marconi

1 commento:

  1. Ringrazio sentitamente il Prof. Pardini per aver, con tanta attenzione,sottolineato la lacerante tristezza espressa nei versi di ''Notturno''. Fulvia Marconi

    RispondiElimina