giovedì 31 ottobre 2013

GIORGIO CAPRONI: POESIA

Atque in perpetuum, frater...

Atque in perpetuum, frater...
Quanto inverno, quanta
neve ho attraversato, Piero,
per venirti a trovare.

Cosa mi ha accolto?

Il gelo
della tua morte, e tutta
tutta quella neve bianca
di febbraio - il nero
della tua fossa.

Ho anch'io
detto le mie preghiere
di rito.

Ma solo,
Piero, per dirti addio
e addio per sempre, io
che in te avevo il solo e vero
amico, fratello mio.


 Giorgio Caproni


Giorgio Caproni è nato a Livorno nel 1921  ed è morto il 22 gennaio 1990 a Roma. Al magistero di Torino seguì il filosofo antifascista Alfredo Poggi. Poi si dedicò solo agli studi di violino. Insegnò a Rovegno, e a Roma prima di essere richiamato alle armi e vi rimase fino alla fine della guerra con i partigiani. Dopo tornò a Roma, con la moglie e i figli, facendo il maestro elementare. Per la sua formazione furono importanti “Ossi di seppia” di Montale e le letture dei poeti francesi e spagnoli, Apollinaire e Machado, e dei filosofi Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard de "Il concetto dell'angoscia". La sua prima poesia fu pubblicata nel 1933. Le sue pubblicazioni di versi: Come un'allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938), Cronistoria (1943), Stanze della funicolare (1952), Il passaggio di Enea (1956), Il seme del piangere (1959), Il muro della terra (1975), Il franco cacciatore (1982). Del 1983 è l'edizione di Tutte le poesie edito da Garzanti. Seguirono Il conte di Kevenhuller (1986) e, postumo, Res amissa (1991). Egli è uno scrittore del disincanto. E’ stato anche un ottimo traduttore. Nella sua poesia attua un melange particolare fra linguaggio popolare e lessico ricercato da ottenere risultati di coinvolgimento emotivo. La mancanza di veri punti di riferimento escatologici fanno dei suoi versi il tatuaggio di un sentire esistenziale sofferto e umanamente vissuto con intensità. 

3 commenti:

  1. Come si può tacere, come si può non restare affascinati da tanta poesia?
    E' di questo - vogliamo dirlo, spargerlo come seme nei campi - che si ha bisogno! Di questa voce limpida, innocente, evocativa, dolcemente triste e tristemente soave.
    Quando si sente cantare così, si capisce perché c'è ancora speranza; a dispetto di tutto e di tutti, e del niente in cui vorrebbero farci annegare.
    Giù il cappello, allora, consentitemelo.
    E grazie, grazie mio Dio per esserti fatto udire attraverso queste parole, questa preghiera che Caproni ha insegnato anche a noi.

    Sandro Angelucci

    RispondiElimina
  2. Condivido in pieno il felice commento di Sandro Angelucci a questa struggente e nitida lirica di Caproni sulla quale àlia, leggera, la figura del grande e sfortunato poeta veronese.
    Pasquale Balestriere

    RispondiElimina
  3. Mi associo ai due commenti che precedono il mio, in particolare a quello di Sandro, che non è meno commovente della poesia di Caproni. Piangere i morti in questo modo, non significa altro che essere grati alla vita e a tutto il bene che ci è stato dato in dono, ivi compreso il male, necessario per la sua affermazione. Ricordiamolo oggi, che è il 2 novembre, mandando un pensiero ai nostri cari.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina