mercoledì 2 ottobre 2013

N. PARDINI: LETTURA DI "NON TRAMONTATE STELLE" DI M. E. ARGENTI





Recensione
a
Maria Ebe Argenti
Non tramontate stelle. Genesi Editrice. Torino. 2013. Pp. 80
La ricerca di una verità difficilmente rintracciabile sui tanti perché della vicenda umana.


L’opera trae il titolo dalla poesia eponima che, a inizio della silloge, mette da subito in evidenza quello che sarà il leit motiv, il filo conduttore di questo “Poema”: l’inquietudine del fatto di esistere: “Non tramontate stelle, rimanete/ a sollevare il velo di paura/ che un poco inquieta l’apparente quiete”. Sì, l’inquietudine che proviamo di fronte ad una realtà che, pur bella che sia, non dà sufficienti soluzioni ai nostri interrogativi. “Siamo solo corsari senza approdo”, afferma la Nostra, con un verso tanto vicino a quel “viandanti sperduti”, di voce cardarelliana. E’ divisa in tre parti: la prima di 5 composizioni, la seconda, la più corposa, di ben 40, e la terza di 5 sonetti rispettosi per architettura metrica e compositiva della più grande tradizione letteraria. E le tre parti si embricano fra loro espletando una poetica che scava negli angoli più reconditi della vicissitudine umana.  Ho già avuto occasione di rimarcare in prefazioni e note critiche la caratura di questa importante autrice. E posso senz’altro affermare che Ebe Argenti ci ha abituati ad una grande poesia; poesia costruita su una versificazione robusta, lineare, organicamente controllata, ed espansa verso orizzonti a cui si azzardano vaghezze semantiche, e ardori allusivi di metafore. E quest’opera pone l’accento sulla continuità stilistica dell’Argenti, le cui occasioni poetiche sono di una plurivocità di marcata vis creativa: introspezione, slanci onirici, cospirazioni paniche di grande intensità emotiva, tratti di un reale disposto e disponibile a collaborare alla cristallizzazione degli stati d’animo. E sono gli endecasillabi, con tutta la loro potenza sonora, con tutta la loro varietà metrica, l’arma vincente di Ebe; misure che fluiscono in composizioni wagneriane a fare della sua poesia un “Poema” ora di tensione orfica, ora dai toni epico-lirici. Qui c’è tutto la vita con le sue illusioni, le sue delusioni, la sua malinconia per una storia marcata da dicotomiche meditazioni fra il terreno e l’oltre; fra i limiti del tempo e del luogo, e le ampie aspirazioni dell’anima umana; fra il polemos dei contrasti di memoria pascaliana. Ed è il memoriale che spesso nella poetessa fa da contrappunto alla coscienza di esistere. Un memoriale in cui la Nostra indaga sulle irrequietezze del vivere e sulle sottrazioni del passato per un edenico riposo che le sfugge:

“Sono i giorni più amari che mi parlano
dell’urna di memorie. Fughe d’ombre
e di tempeste senza arcobaleni.
Con tutte le ingiustizie che ho patito
nel disincanto per i bianchi petali
che hanno reso incolore la mia vita,
chissà che bella tomba, al camposanto…”.    

Sì, è un motivo di melanconico sapore a rendere fortemente umana quest’opera. Lo fa con soluzioni da redde rationem, anche se l’atto onirico interviene con aspirazioni a sottrarsi ai vincoli terreni, a generare  spinte verso stelle che sanno tanto di libertà e di liberazione:

“Poter sognare mentre in cielo albeggia
affinché il sogno ci rimanga impresso
tanto da continuarlo anche da svegli”.

La coscienza della precarietà del giorno di memoria virgiliana: “ sed fugit interea, fugit irreparabile tempus” (Geoirgiche III, 234), è altra nota che rende particolarmente umano il dipanarsi del ductus poetico. E anche se è espletato con tanta efficacia nell’accostamento de I fiori del male al fatto di esistere, e alle inquietudini, insuperabili inquietudini, del nostro esser/ci, quello che emerge con più continuità e che costituisce il valore aggiunto dell’opera, è il dispiego di un realismo lirico diretto ad un’analisi psicologica di perspicua e autoptica essenzialità. Lo si vede in quei sostanziosi explicit che fanno da corollario puntuale a tale scopo:

“Dentro di me, insinuandoti, t’assiepi
lungo le pene dell’Anima mia,
fecondi il seme di malinconia,
e voli via, come uno stormo d’ali” (Nebbia).

“… ma l’Anima stasera ci guadagna,
satura d’esaltanti, nuovi afflati
e il canto dell’allodola accompagna
l’arsura dei miei giorni tormentati” (L’arsura dei miei giorni).

“Anima, che diverse cose senti,
(…)
                    … E m’insegni  
a soffiare con forza fra le nuvole
fino a quando la linea d’orizzonte
svanisca nell’immagine del cielo”.

Versi da cui trapela con chiarezza una ricerca puntigliosa e sofferta di una verità difficilmente rintracciabile sui tanti perché della vicenda umana. Un’Anima che non si accontenta del quotidiano vivere, ma che vuole andare oltre, squarciare le nubi per aprire i vasti orizzonti del cielo. Da lì quel pathos esistenziale che deborda dalle miopie dell’umano vivere e dai limiti del nostro andare; quel pathos che da una parte è frutto  di sottrazioni di sere, di giorni, di primavere, di attimi fuggenti, dall’altra terreno fertile della poesia. E’ così che la Nostra si avventura in previsioni oniriche o immaginifiche sulla sorte ultima del nostro autunno:

“Viole e amaranti avrò sulla mia tomba
affinché intorno si sparga la fragranza
e ruberò qualche favilla al sole,
perché sia meno buia la mia  notte
nel dolce sonno eterno”.

Un sonno dolce, forse, proprio perché sopraggiunge a spegnere le tante malinconie del vivere. Lirica di grande intensità partecipativa a cui la poetessa consegna l’essenza della sua poetica ad invadere gli spazi sottostanti del pensiero da spleen di stampo baudeleriano: “Dans cette grande plaine où l’autan froid se joue,/ où par les longues nuits la girouette s’enroue,/ mon ame mieux qu’au temps du siècle renouveau/ ouvrira largement  ses ailes de corbeau”.
Ma anche se l’Argenti, con la delusione di uno spirito fortemente leopardiano, si chiede che fine abbiano fatto le promesse di verdi primavere:

“Dove sono quegli attimi fuggenti
epifania di ogni pensiero umano,
 quell’essere che un senso dà all’esistere,
quella fede che libera dal nulla
e pace senza limite sa infondere
nel cuore di ciascuno e nello Spirito?”,

tuttavia sembra che riesca a sopperire all’inquietudine delle sue incertezze, affogando i pensieri nella vastità del cielo o in uno scacco di sole per naufragare oltre la siepe:

“Ma non è troppo tardi per sognare
uno scacco di sole che, sbucando,
vuole mettersi in gioco e farsi palpito.
Poi, sarà dolce il canto del silenzio”.

                           Nazario Pardini

30/09/2013

4 commenti:

  1. Ho avuto il piacere di leggere questa raccolta di Maria Ebe Argenti in - diciamo così- anteprima. Era il 14 aprile 2012, data della cerimonia di premiazione del concorso di poesia "Ugo Foscolo", nel quale l'Argenti aveva ottenuto il primo posto nelle sezione A con la silloge di poesie "Non tramontate stelle", ed io ero stato ritenuto dalla Giuria degno dello stesso risultato nella sezione B (gruppo di tre liriche inedite). Fu lì, a Venezia, nell'Aula Magna dell'Ateneo Veneto che l'amica poetessa Carla Baroni di Ferrara mi presentò, prima della cerimonia, Maria Ebe Argenti, che peraltro conoscevo di fama e per aver letto sul web e su riviste letterarie alcune sue poesie. L'incontro fu molto cordiale e si prolungò, dopo la premiazione, con grande piacevolezza in un ristorante nei pressi dell'Hotel Concordia, dove l'Organizzazione del Premio ci aveva sistemati per il pernottamento. Mentre tornavamo in albergo fui io a chiedere -almeno così mi pare- a Maria Ebe di poter dare un'occhiata alla sua silloge. Fu in questo modo che conobbi l'opera, ora pubblicata, immediatamente dopo la Giuria di quel Premio. Ebbi parole di elogio e di ammirazione per tutta la raccolta (che nell'attuale pubblicazione mi pare più ricca di liriche), ma in modo particolare per i sonetti finali che mi parvero subito di rara bellezza, naturalezza e perfezione.
    Ora, dopo la lettura di alcuni volumi di liriche di Maria Ebe Argenti, posso dire di avere una buona conoscenza dell'autrice che, con il suo stile pacato e spesso colloquiale, traendo poetica linfa da situazioni di varia quotidianità, scandisce tempi e ritmi della vita in raffinati endecasillabi, in suadenti scelte lessico-linguistiche. E crea emozioni Maria Ebe, catturando il lettore e incantandolo con levità di toni, con figurazioni e cromie che mai sono oziose o gratuite, ma sempre funzionali ad una trama, ad una diegesi che, pur conservando in sottofondo tratti biografici, sembra assumere connotazione poematica: di un poema in cui l'essere umano non può fare a meno di rivelarsi transeunte e perciò sconsolatamente precario. E tuttavia non c'è disperazione nella poesia dell'artista varesina, e non perché non abbia consapevolezza del dolore, pesante eredità della condizione umana a lei ben noto; ma piuttosto perché ella ritiene preferibile una saggia e talvolta ironica accettazione della vita nelle sue varie manifestazioni, conscia com'è della loro ineluttabilità. La poesia di Maria Ebe Argenti ha il fascino e la dolcezza di un abbraccio. Avvincente.

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    1. Riporto questo scritto inviatomi per e-mail da Maria Ebe Argenti:

      Carissimo prof. Pasquale Balestriere,
      la puntualità del tuo commento, dopo la fantastica recensione dell'amico Nazario,
      che certo non m'aspettavo così immediata ed emotivamente intensa, è un'ulteriore emozione che potrebbe perfino essermi fatale. Infatti, proprio come il dolore, anche una grande gioia può colpire in un momento in cui si è particolarmente fragili. E se per rispondere subito a Nazario Pardini dovetti telefonargli, affinchè lui stesso m'aiutasse ad esprimergli tutta la mia gratitudine per quel magnifico cesello di recensione che davvero io non merito, per rispondere a te sono occorsi tre giorni, prima che la matita si mettesse in movimento. Non è bastato che tu rievocassi il giorno della premiazione al concorso di poesia 'Ugo Foscolo' e la serata in quel ristorante a Venezia, in San Marco. Mi dicesti: "Sia benedetto il Foscolo" ed io condivido in pieno. Dunque, perchè adesso mi è quasi indifferente? Come dissi anche all'amico Giannicola, quando mi capita di rileggere alcuni miei versi di 'Non tramontate stelle', penso che non sarei più capace di scriverli ora, avendo in mente soltanto visite mediche, interventi chirurgici, chemioterapie, radioterapie, orari di autobus e di pillole varie da inghiottire con altri bocconi altrettanto amari. Tuttavia non avrei mai creduto che le tue parole di commento alla mia silloge m'infondessero tale serenità.
      Grazie, carissimo Pasquale. Sei veramente un GRANDE !

      Maria Ebe

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  2. Una visione interamente dedicata alla narrativa dell'esistente - esistenza poetica che si inquadra-senza confini-nell'anima di questa delicata autrice ottimamente presentata sul blog di Pardini.
    Cordialmente un saluto. Miriam Binda

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  3. Cara poetessa Miriam Binda, leggo le sue gentilissime parole e, non essendo riuscita a trovare un suo recapito, non mi resta che ringraziarla e ricambiare i cordiali saluti.

    Maria Ebe

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