lunedì 11 novembre 2013

F. CAMPEGIANI: SU "POESIA E SOCIETA' NEL PRIMO QUINDICENNIO DEL NUOVO SECOLO"

Poesia e società nel primo quindicennio del nuovo secolo



Come scrive Ninnj Di Stefano Busà, nel suo articolo su questo stesso argomento, se ci volgiamo intorno, troviamo una società disastrata, sull’orlo del baratro civile, economico, ma soprattutto morale. Una società fortemente “burocratizzata”, dice Antonio Spagnolo, ed io aggiungerei “robotizzata”, sostanzialmente disumana, dove non sembra esserci posto per la poesia, intesa, prima ancora che come valore letterario, come pura e semplice capacità di sentirsi attratti da un sogno, da una visione del mondo, da un fuoco, da una qualsiasi fede. La cosiddetta “morte dell’arte” (che è poi anche “morte della poesia”) si sarebbe dunque storicamente realizzata? Io non direi. Bisogna distinguere, infatti, l’“assenza” dall’”estinzione”. Ciò che si percepisce come assente, continua comunque ad essere vivo e presente, se non altro come sofferenza per un desiderio di pienezza che viene negato. La poesia non si è oggi dissolta, come potrebbe forse sembrare, ma continua ad esistere in tal senso, nascosta dietro le quinte, continuando da lì a permeare e a reclamare prepotentemente la scena. Si deve prendere atto che non c’è incanto senza disincanto, non c’è affermazione senza negazione: stanno l’una nell’altra. Il Tutto è necessariamente anche un Nulla, e viceversa, giusta il principio dell’armonia dei contrari.
Hegel sperava, da buon idealista, in un superamento dell’arte nella filosofia. Il suo era un progetto assurdo e velleitario, che puntava all’estinzione dell’arte, così come assurdo e velleitario è il proposito di soffocare l’arte nella scienza, tipico del mondo attuale. L’umanità non potrà mai fare a meno della spinta del mito: significherebbe rinunciare alla ricerca di un senso della vita. Quando le prime avanguardie storiche – Futurismo e Metafisica in prima fila – insorsero contro ogni forma di mito, non fecero che sognare e proporre nuove tipologie e figure del mito: la velocità della macchina, il dinamismo dell’azione, la mummificazione e la desertificazione degli scenari e degli ideali del passato. Successivamente – nel Postmoderno – mano a mano che la tecnologia è venuta esaurendo la propria spinta propulsiva, rivelando i propri limiti e i propri disvalori, anche questi miti sono divenuti obsoleti. Oggi, la Nuova Figurazione artistica, da un lato, e dall’altro le poetiche dell’Informale (ma il discorso deve essere esteso alla letteratura, come ad ogni altra espressione delle Muse) non fanno che rivelare il disagio psichico dell’uomo di fronte al dominio incontrastato di quel mondo dei “fatti e delle cose” che le avanguardie storiche avevano opposto alle fumosità mitologiche ed alle metafisicherie del passato.
Ecco che bisogna rifondare nuove stagioni dell’anima, come sostiene Sandro Angelucci; o, come io dico, nuove stagioni del mito. Bisogna distinguere la mitopoiesi dalla mitologia. Si sbaglia a credere che il mito sia qualcosa di originario ed immutabile, fissato per sempre all’inizio dei tempi, in maniera perentoria e definitiva. Non c’è nulla di più mobile e cangiante dei miti, che aderiscono alla mutevolezza della storia e del tempo proprio in quanto capaci di tornare all’Archè, all’Eterno, e di uscirvi in continuazione. Oggi viviamo il tempo della morte della mitologia, per questo abbiamo bisogno di una nuova spinta mitopoietica che ci consenta di uscire dalla palude. Anche i miti antichi possono fare alla bisogna, non occorre che siano miti inediti o assolutamente nuovi. L’importante è che comunque rinascano dalle proprie ceneri: che sappiano rinnovarsi, rifondarsi; che non siano vissuti in modo tradizionale, ripetitivo, bensì autentico e sorgivo.
Squassata da un relativismo asfissiante – che, come tale, mostra il suo vero volto assolutistico: un assolutismo finanziario-tecnologico mai finora sperimentato nella storia – la cultura contemporanea mostra di avere una grande sete di universalità, di archetipi, e dunque di miti sorgivi. Questo bisogno di universalità è un’esigenza interiore dello spirito cui non è lecito rispondere con formule esteriori, tradizionali, con la scusa che sono storicamente e moralmente collaudate. Tutto deve nascere da spinte intime e autentiche, che non possono non essere individuali. Nell’individuo, infatti, non c’è solo individualismo, relativismo, faziosità egoistica e partigiana. C’è pure quel daimon socratico, quel doppio metafisico dell’uomo stesso che in fondo è l’equivalente di ciò che le religioni definiscono “angelo custode”. Universalità, allora, non è “fare d’ogni erba un fascio”, ma è scoperta di quella coscienza universale di cui ciascuno è personalmente dotato. Se l’uomo ha dentro di sé la scintilla divina, non dovrebbe esserci bisogno di un maestro che gli indichi la via. Ed è qui, ritengo, su questo terreno, che potrebbe avvenire l’incontro tra sentimento laico e sentimento religioso: quell’incontro che Papa Francesco ed Eugenio Scalfari hanno recentemente e nobilmente tentato di avviare.
Mi sembra che Marco Guzzi, nel suo interessante articolo, voglia escludere tale possibilità. Io tuttavia vorrei permettermi di indicare nella figura dell’”angelo custode” il possibile ed auspicabile incontro tra le due divergenti visioni coscienziali. Porsi in discussione di fronte al proprio specchio non significa trovare comode scorciatoie per la legittimazione dei propri errori. L’autocritica non può assolutamente essere confusa con l’autogiustificazione. Non sto dicendo, con questo, che l’uomo che si interroga non possa comunque sbagliare. Sicuramente egli incappa nell’errore, anche se meno di colui che non si macera, pago di attenersi supinamente alle regole dettate dall’etica comune. Ma se è vero che l’ascolto di se stessi non immunizza dalla possibilità di sbagliare, è altresì vero che proprio a tale ascolto risalgono le azioni più nobili di cui è capace l’essere umano. Spesso compiute proprio contro il sentire comune, andando a finire sul rogo o sulla croce nel nome di quella morale superiore che poi aiuta generosamente tutti ad uscire dal pantano.

                                 Franco Campegiani     


4 commenti:

  1. Un lavoro di grande portata autoptica. Ho già avuto occasione di seguire Campegiani in altri suoi post. E sinceramente le sue teorie di mitopoiesi sulla visione di un mito in continuo rinnovamento attraverso un simbiotico e quanto meno umano polemos fra i contrasti -e qui, in particolare, il riferimento all'Angelo Custode come esemplificazione di una forte teoria che supera la storica favoletta da proporre al fanciullo-, sono risultati di una lucida partecipazione interpretativa che contrastano coraggiosamente con altri interventi antecedenti. Devo dire che i contenuti, ultimamente, hanno raggiunto livelli veramente interessanti. Io seguo abitualmente queste pagine, e, spesso, persuadono in quanto stimolanti a riflessioni che coinvolgono l'uomo in quanto tale, la società, il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Ma da quello che leggo Campegiani non si limita a denunciare un mondo in via di perdizione, ciò che si deduce da altri scritti, ma va oltre, vedendo nel diacronico succedersi della storia una possibilità di rinascita: certamente basta non accettare il mito nella sua staticità inconcludente, ma volgere lo sguardo al futuro con l'idea di una palingenesi rigeneratrice. In effetti l'idea di un Orfismo statico contrasta con i contenuti di un Campegiani che vede l'uomo come un dinamico attore in un film omerica memoria.

    Pf. Angelo Bozzi

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    1. Le sono molto grato, egregio Professore, per questo lucido commento, che in poche ed efficaci battute chiarisce e riassume in maniera esemplare gli intenti e gli orizzonti del mio modo di pensare. Mi piacerebbe approfondire la conoscenza, anche perché mi sembra di ricordare qualche suo significativo commento a miei precedenti interventi su questo blog davvero speciale. Sono pagine che - ha ragione lei - affrontano tematiche centrali, e sempre più importanti, di notevoli dimensioni metafisiche, culturali ed umane. I suoi riferimenti alla ciclicità della storia ed alle palingenesi rigeneratrici, nonché alla distinzione tra la staticità di Orfeo e il dinamismo di Omero, la dicono lunga sul suo cammino interiore e sulla sua sensibilità culturale. Le lascio il mio indirizzo di posta elettronica: franco.campegiani@libero.it. Un cordiale saluto.
      Franco Campegiani

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  2. Complijenti, Campegiani in merito a questo scritto che, pur nella sua brevita', coglie aspetti attualissimi anche in vista dell'auspicato rinnovamento "dell'essere nella sua e quindi nostra storia".
    Ciao Miriam

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    1. Cara Miriam, sono davvero lieto di questo tuo commento, che rivela la tua sensibilità ed i tuoi intenti rinnovatori in ambito filosofico e letterario. Grato per il tuo apprezzamento, ti saluto caramente e ti stringo la mano.
      Franco

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