venerdì 1 novembre 2013

MIRIAM L. BINDA: SU "I SIMBOLI DEL MITO"

I simboli del mito - IL CROCO  I quaderni di Pomezia-Notizie (ottobre 2013)
(riferimento Primo Premio Città di Pomezia, 2013 al poeta Nazario Pardini)

Parlare di mitologia attraverso l'atto, di per sé mitologico e creativo, di Nazario Pardini, poeta, saggista, nonché animatore del  blog Alla Volta di Lèucade, quotidianamente presente per proporre nuove  notizie culturali  ai  suoi lettori,  esposte con dedizione e commentate sul web, non è un'impresa facile, soprattutto per una persona come me, che, pur seguendo la poesia da diversi anni, non ha intima dimestichezza con l'antico culto mitologico  contemplato con il vezzo della conoscenza, azzardata - al limite di quei confini estetici - più volte percorsi coraggiosamente dal nostro poeta.
        Nelle sue molteplici esplorazioni linguistiche, infatti, il Nostro si muove abilmente all'interno dei meandri di una catarsi espressiva intrisa di riferimenti riconducibili alla cultura classica. Egli dimostra di fare buon uso sia dei formalismi, sia delle parole misurate con la contemporaneità. Come giustamente commenta la poetessa Ninnj Di Stefano Busà, nella prefazione, non si può negare l'alto livello di formazione culturale del nostro autore:   
Vi si riscontrano ancora,… le caratteristiche precipue della sua oggettivazione pooetica, il suo reticolato linguistico, la sua naturale vocazione a far riemergere dai primordi della storia le figure mitiche rappresentative della classicità, come ad esempio, Ifigenia e poi Semele, Giove, Dioniso, Apollo, Edipo, Saffo, Calipso ecc. Mettono in risalto la sua tendenza a scrivere versi con un corpo e un'anima, ma sempre con intensità espressiva da terzo millennio, seppure i miti, le simbologie inneggino al passato, gli esiti felicemente raggiunti appartengono alla post-modernità senza fregole, senza falsificazioni, senza orpelli, né eccessi di stampo "modernistico d'assalto" come avviene in molti autori contemporanei che respingono "tout court" la classicità del passato senza proporre modelli nuovi, solo per il gusto di respingere l'antico (tratto da Il CROCO - I simboli del mito, i quaderni letterari di Pomezia Notizie - Prefazione a cura di N.Di Stefano Busà pag. 2).
        Nei suoi versi, Nazario Pardini, dimostra di usare e piegare la parola; la trasforma a seconda della sua sensibilità, della sua capacità di seguire i ritmi e i tempi delle emozioni, delle sofferenze, dei suoi desideri e della sua immaginazione. La sua opera diventa quindi un messaggio che si trasmette vivacemente con il ritmo della parola mediata dalle figure mitologiche; in questo caso addirittura, la sua poetica descrive il simbolo che attraversa il simulacro delle suggestioni estetiche, nella forma vivida del racconto epico. Prende corpo la sua verità ma, non per questo dobbiamo illuderci di diventare come gli dèi, perché come sostiene il nostro poeta, ogni uomo è osservato con indifferenza forse per via dei superbi occhi che vorrebbero guardare il cielo, senza scorgere in basso gli errori:

Indifferenti ci guardano gli dèi
Non sperare perdono,
solo lo scherno 
proviene dall'alto (...)
Indifferenti ci guardano gli dèi
e invano gli porgiamo gli occhi,
quando tocchi superbi
ci rapiscono l'animo;
cova l'eterno sopra sassi e marmi,
sopra statue immortali
tra flebili luci di passi di luna (tratto da: Indifferenti ci guardano gli dèi  - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 8).

Nella poesia dedicata a Giovanna D'Arco, emerge questo soliloquio interiore, intimamente connesso al limite (se pur eroico) della condizione umana. Specialmente in questa poesia, Nazario Pardini tratta il tema del sacrificio ed immagina Giovanna d'Arco a Donnery, nella casa della fanciulla che fu capace di affrontare, con forza spirituale,  gli eserciti invasori:

Quanti anni
che bruciò questa ragazza!
Restano quattro mura
un po' a dispetto
che vanno oltre gli eroi,
sorpassano la Storia
e vincono la vita
(tratto da: A Donnery sui Vosgi - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 12).

Se la letteratura nobilita l'oggetto del desiderio e l'affranca all'agonismo militante di una identificazione proiettiva, c'e' da chiedersi se in queste poesie dedicate ai simboli del mito, l'eroina, il sogno, il desiderio diventino oggetto privilegiato di una nitida manifestazione di fede nei confronti di un Paradiso perduto; inteso anche come - mondo idilliaco -  dell'Arcadia. Nei canti epici della nostra storia civile e culturale si manifesta coraggiosamente  (come già scrissi in merito alla silloge Dicotomie - di Nazario Pardini ) una coincidenza storica con le forme  impalpabili della bellezza; perviene dall'interiorità e dalle metafore che il nostro poeta utilizza nei colori e nei suoni della sua poetica. Si fanno sentimento le sue parole e, non dipendono unicamente dalla forbita costruzione letteraria cinta di aulico "alloro" e mi riferisco alla poesia dal titolo  Al lauro:  
Oltre la terra la virtù che serbo,
al tuo potere vada e che gli umani
salvi dall'ira siano dei cieli (tratto da - I SIMBOLI DEL MITO -  pag. 26).

Ad inventare costruzioni poetiche non è quindi solo l'abilità linguistica e letteraria, è soprattutto  l'intima sua ricerca che si avvia  nella profondità di reminiscenze risanate da quei valori mitologici che ben si riconciliano con la memoria dei  padri. Sì, i nostri padri che ritornano manifestamente e metaforicamente nelle parole di Nazario Pardini - sui margini dei sepolcri - e ci parlano di onestà e di affetti sinceri:
  
Escono dai marmi freddi
sulla loro terra
e tra l'odore di cera
e il fumo della notte,
tra l'esalare di rose,
di gigli ed orchidee,
parlano di affetti e di ricordi
ai bordi dei sepolcri;
li puoi vedere:
ecco mio padre con mia madre
ed ecco mio fratello
che sorridente
per l'agognato arrivo
vola di gioia (tratto da - Oltre quel muro -  I SIMBOLI DEL MITO - pag. 20).

Con queste parole, concludo, dicendo che tra le braccia di Nazario Pardini sopravvive il tepore di una poesia che non ha senso se perde l'incanto dell'ultimo dono che la rappresenta. Questo dono è sopratutto l'affetto di chi condivide il nostro bene che si manifesta nel "mito" fulgente.... della sua bellezza.

e ti rivivo...
è l'ultimo dono che mi resta
tra i simboli dei miti
che uniti noi ascoltammo
fulgenti di bellezza (tratto da -L'ultimo dono - I SIMBOLI DEL MITO - pag. 28). [Miriam Luigia Binda, 25 ottobre 2013]


2 commenti:

  1. Unire la poesia al mito è un passo verso la classicità. I modelli antichi avevano il coraggio di recuperare non soltanto le antiche forme di bellezza, ma anche la razionalità e l'equilibrio morale che quelle forme esprimevano, partecipando in questo degli ideali tipicamente illuministici. La classicità, soprattutto greca, fu vista come una mitica età dell'oro, in cui l'umanità viveva in armonia con la natura ed il bene coincideva con la bellezza. Con questa presentazione mi intrometto nel dire proprio questo che è interessante riscoprire questo specifico campo di espressioni poetiche di Pardini che ha scritto molto sul mito. .
    Anche un libro della Sturma fa questo genere di prefazione che come dice la Binda apre la porta alla memoria dei padri.
    Il libro è di Laura Sturma La Parola che nomina gli dei.
    Laura

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  2. Cara Laura Sturma ho già accuratamente selezionato la tua opera che, ha lascito una ricerca, ricca di testimonianze e di traduzioni di testi che citano soprattutto Ovidio. Ho seguito, solo in parte le tue ricerche (mi dispiace non aver potuto proseguire) ma, sempre con affetto, ti ringrazio per il tuo puntuale intervento, anche in merito a questo testo del poeta Nazario Pardini.
    Buon lavoro. Miriam Binda
    .

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