martedì 12 maggio 2015

MARIA RIZZI PRESENTA "INVENTARIO DI SETTEMBRE" DI U. VICARETTI


Franco Campegiani, Umberto Vicaretti, SandroAngelucci
collaboratori di Lèucade



Inventario di settembre, di Umberto Vicaretti
(Enoteca letteraria, Roma - 9 maggio 2015)

In questo raffinatissimo Inventario di settembre (Blu di Prussia Editore), Umberto Vicaretti, poeta delle emozioni semplici, degli affetti elementari ed inviolabili, delle domande e dei dubbi profondi, si appresta a fare un bilancio della propria esistenza. Un inventario, appunto. Di settembre, perché in quel mese ha inizio l'autunno, la stagione che precede l'inverno, paragonabile metaforicamente alla stagione senile dell'uomo che il poeta sente incombente (un po' a sproposito, probabilmente, ma è una licenza che gli perdoniamo).
Non pensiate tuttavia che la consapevolezza del tempo trascorso dia origine ad una poesia mesta e rassegnata. Ci sono - è vero - molti spunti, nel testo, che potrebbero farlo pensare. Ne cito qualcuno a caso: "terra è la nostra di naufragi e rese; / isole impervie siamo e inospitali, / relitti noi superstiti del tempo"; oppure, in una poesia dedicata a Roma: "risalgo i Fori e sento / che tutto consumato è questo tempo, / reperto anch'io tra le colonne e gli archi"; o ancora, in una poesia dedicata alla propria compagna: "ora più non profumano le stanze, / muta è la casa, e sola. / Le rose che più amiamo / gemmano altrove".
Ed ecco alcuni versi dedicati alla mamma perduta: "Scrivi, scrivimi presto: / di te, di pa', di voi non so più nulla. /... / Nessuno qui più abita le stanze, / la vecchia casa sanguina di assenze, / arresa e muta grida il suo silenzio. / Eppure aspetto trepido, una sera, / dalla finestra aperta la tua voce / cercare il me bambino perso ai giochi, / superbo re dei vicoli e del vento". Si potrebbe continuare a lungo nel citare versi accesi dal nostos, dalla nostalgia, dall'intenso e doloroso desiderio di cose, persone e luoghi a cui si vorrebbe tornare, ma non si può.
Tuttavia, ciò che trovo più interessante è che il poeta riesce spesso a compiere il miracolo di rendere presente ciò che è assente, tuffandosi e tuffandoci in quel mondo sparito con una intensità evocativa tale da richiamarlo in vita, da farlo rinascere. Ciò è molto diverso dal puro e semplice rimpiangerlo. Ed è questo il miracolo della vera poesia, appesa all'unità dei contrari, capace di estrarre il nero dal bianco, la gioia dal pianto, e viceversa. Il fatto è che Vicaretti sposta continuamente l'attenzione dal piano intimistico, che pure vive intensamente, al piano degli archetipi universali, incorruttibili.
In Fiori di Madrid, ad esempio, rivolgendosi a Garcia Lorca, a Pablo Neruda e a Rafael Alberti, egli annuncia una sorta di fine del mondo: "Oh Federico, come per Ignacio, / è ferma l'ora a tutti gli orologi, / e la clessidra invano / scandisce, smemorata, il tempo dato / e tutto, tutto, tutto consumato!". Ma da questo deserto lunare ecco germogliare la speranza: "Che possa l'elegia mutarsi in canto / e che a fiorire tornino gli ulivi". Ebbene, questo è un superamento del nostos, del rimpianto nostalgico. Non è più memoria del tempo passato (la cosiddetta durata), ma è anamnesi, ritorno di un tempo anteriore alla nascita del tempo. Di un tempo che ancora non ha preso a scorrere. Di un tempo originario e sempre originante.
Una poesia, questa, perennemente sospesa tra un'apocalisse ed una palingenesi, tra una catastrofe ed una rinascita, in una visione del mondo sostanzialmente circolare e ciclica. Non c'è crudeltà che non sia seguita da una tenerezza, non c'è mostruosità cui non faccia seguito una dolcezza, e viceversa. Come nel ricordo del ragazzo di Tienanmen, che è ancora qui, con noi, come risorto dalla sua sventura. Miraggio? Io direi piuttosto intuizione di una vita parallela che ci scorre a fianco. E' il rovescio della medaglia; il complementare opposto, necessario all'armonia. Un capovolgimento, una rivoluzione. Questo è lo sfondo della poetica di Vicaretti, altro che elegia!
Emblematica è la lirica intitolata L'altro Vangelo è adesso, dove esplode il ruggito di una incontenibile ribellione. In questi versi il poeta si rivolge ad Isacco, definito fiore del fuoco, e lo esorta a ribellarsi contro le menzogne e i tradimenti dei padri: "Volgi lo sguardo ed allontana il cuore / da chi ti rubò l'alba e l'innocenza: / già nasce un giorno nuovo, è questa l'ora: / l'altro Vangelo è adesso! / Rinnega il sangue, disonora il padre, / prendi la fionda, scaglia la prima pietra!". Un giorno nuovo, dunque, e non un giorno vecchio. Un riscatto, una catarsi, una rinascita: questa è la segreta brama di Umberto Vicaretti.
Il passato che egli dipinge con pennellate struggenti, con sciabolate di dolcezza infinita, in realtà non vive nel tempo, ma fuori del tempo. E' l'eterno presente, quel mitico eden da cui l'uomo si allontana per inseguire chimere (nel che consiste la sua storia), ma alla cui grazia fa continuamente ritorno nei suoi momenti di originaria ed originante forza creativa. Non è un caso che il poeta faccia spesso riferimento all'Araba Fenice, il mitico uccello d'Arabia che ogni cinquecento anni si costruisce un rogo in cui ardere, per poi risorgere dalle sue stesse ceneri.
Un processo accompagnato da musiche carezzevoli, da un canto affidato all'endecasillabo, da una sorta di ninna nanna capace di lenire i dolori, di cullare e dondolare, di rasserenare lo spirito, rassicurandolo che nulla va alla deriva, ma che tutto torna là da dove è partito, agli esordi della vita e del tempo. Il sonno e la decadenza sono previsti. La vita, per poter essere viva, deve essere contraddetta, deve cadere in oblio. Tutto ciò è detto splendidamente nel mito di Mnemosyne, la Titanessa amata da Zeus che genera le muse.
Dice lo storico Pausania che in Beozia si trova l'antro di Teofronio, uno degli accessi agli Inferi, dove prima di entrare è d'obbligo bere da due fontane. La prima di queste fontane, intitolata a Lete (la dimenticanza), fa scordare le cose del passato, mentre la seconda, intitolata a Mnemosyne (la memoria), consente di ricordare ciò che si è visto nell'aldilà. E' là che si raccoglie il tempo trascorso, ma bisogna dimenticarlo come trascorso per poterlo cogliere nella sua essenza viva.
Fin dalla prima poesia, che non a caso s'intitola Meglio non ricordare, Vicaretti ci immerge nel paradosso di Mnemosyne, di questa Memoria profonda ed archetipica che può accendersi solo con l'oblio della Memoria storica, antiquaria, composta di cose morte e sepolte, di cose che non vivono più. In questa poesia, Vicaretti, rivolgendosi ad un'anziana e malata signora, scrive: "Ma poi, forse hai ragione: / meglio non ricordare il fuoco e i gridi; / meglio affrontare il guado senza affanni, / come eravamo prima della gara, / ragazzi noi nell'innocente attesa, / intrepidi e felici in riva al fiume".
Questo Inventario di settembre, che porta la prefazione di Nazario Pardini e la postfazione di Pasquale Balestriere, è diviso in tre sezioni. La prima, intitolata La Rotta, contiene tematiche metafisiche giocate sul rapporto tra cielo e terra, sulla navigazione e sull'esilio dall'eden, ma anche sul ritorno all'ovile. La seconda, intitolata Dorme la mia città, tocca il registro della poesia civile. La terza, che s'intitola Canti d'amore, svolge i temi dei sentimenti familiari e dell'affetto per la donna amata. Il comune denominatore è il sorriso con cui si tenta di rimarginare le ferite, la carezza con cui si addolcisce il dolore di piaghe diffuse dovunque: nell'anima, nel corpo, nella vita.
Lo smarrimento c'è, il divino è fuggito dal mondo e il poeta, senza entusiasmi, si sente triste, impoverito: "anch'io, tradito, sconto la mia croce, /... / e invano aspetto il polline nel vento / che insemini i miei grani d'utopia". Tuttavia Negazione e Affermazione si fondano l'una sull'altra. Circolarità, ciclicità dell'inizio e della fine. La notte reclama il giorno e l'estate l'inverno. Qualcuno ha detto che gli ultimi saranno i primi. C'è sempre un aldilà, un capovolgimento. Così "i vecchi hanno alla fonda barche azzurre / e tessono segretamente vele / da issare al vento verso un'altra riva".
Il mondo va in frantumi in ogni senso, ma il poeta, addolorato, non smette di credere nella resurrezione. Se il terremoto ha distrutto la città, "i ragazzi di Locri hanno rosari / nuovi di luce azzurra da sgranare". Se la città storica è caduta (il riferimento è principalmente a L'Aquila, con le sue macerie), c'è una città segreta che dorme dentro di noi ed attende il risveglio: "Vedi, torno alla mia città caduta, /... / dorme la mia città profondamente. / La mia città respira oltre le stelle. / Lentamente riannoda le sue fibre, / promessa, come l'Araba Fenice, / al volo che riaccende un tempo nuovo".
Il tempo nuovo è reclamato anche laddove, rivolto alla propria donna ("Non chiedermi prodigi, / ho mani arrese alla dimenticanza, / i fiumi disseccati nelle vene"), il poeta conclude: "Eppure accenderemo un tempo nuovo / con le albe seminate ai nostri rami, / dopo che avrà smorzato, il Lampionaio, / le ultime stelle agli occhi della notte". Concludo osservando che questo ritorno all'Essere è anche ritorno alla sacralità della terra, all'elementarità della cultura contadina: "Ritorneremo ai freschi fontanili / con la testarda voglia dei bambini. / La nostra redenzione è unicamente / in questo arcano volgere di boa, / trepido approdo a un tempo che ci salva".
Eternità, dunque. Ma non si pensi alla confortevole e melliflua illusione della pace e della stasi eterna. Non direi sia questo il mito di Umberto Vicaretti. A me sembra che, nella continuazione della vita egli veda non tanto una prospettiva di quiete, quanto quella di una lotta infinita. E' una visione odisseica, la sua, e non una visione ascetica, desiderosa di annientare la vita: "E' solo il me bambino, / testardo fiore fatuo di settembre, / che indomito non vuole, / non vuol proprio saperne della resa".


Franco Campegiani 

3 commenti:

  1. Ti sono infinitamente grato, caro Franco, per questa tua “visionaria” lettura della mia raccolta. Le tue parole-laser scandagliano a fondo le ragioni del mio poièin, ne colgono i passaggi più nascosti, ne rinvengono e ne portano alla luce radici e istanze ispiratrici, ne individuano la tensione, la genesi sofferta e travagliata.
    Hai individuato con perfezione chirurgica i nuclei della mia personale ricerca: il “nostos” e la palingenesi, l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, considerati non come valori statici, stratificati e immutabili (una sorta di monadi tra loro antitetiche e incomunicabili), ma come princìpi dinamici, magmatiche essenze in divenire; quegli “archetipi universali, incorruttibili” che ti sono tanto cari e a cui tu fai continuo riferimento, che nel confronto si contaminano e si fondono per generare nuova, vitale e salvifica energia, per dare spazio a un nuovo inizio: “Un riscatto, una catarsi, una rinascita”; l’“intuizione di una vita parallela che ci scorre a fianco”. Disporre di un esegeta del tuo prestigio, e di una “penna” come la tua, è per me motivo di grandissimo onore e di indicibile gratificazione.

    Umberto Vicaretti

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  2. Devo ringraziare l’Associazione IPLAC (Insieme Per La Cultura) per avere organizzato in maniera esemplare la presentazione della mia silloge presso l’Enoteca Letteraria di Via Quattro Fontane a Roma. Una magnifica serata condotta magistralmente da Maria Rizzi, infaticabile e preziosa stacanovista di eventi culturali, che nell’occasione si è confermata non solo impeccabile regista, ma anche conduttrice impareggiabile, e moderatrice, e sceneggiatrice… A Maria il mio grazie particolare. Ha ragione Nazario quando annota che, senza la sua opera di inesausta promozione, “la cultura sarebbe dimezzata, inesistente...”. Da portare ad esempio.

    Umberto Vicaretti

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  3. Umberto carissimo,
    Nazario é un Uomo entusiasta, che non si pone limiti nel premiare. Tu sei peggio di Lui, Amico mio... Io ho condotto. La serata é stata il trionfo delle tue liriche, di rara maestria contenutistica e stilistica, dei relatori eccellenti, dei lettori, della tua splendida, indimenticabile disamine e degli ospiti... tra i quali mi permetto di citare tua moglie, cara al mio cuore dal primo istante, che ha saputo raccontare con semplice intensità la vostra lunga storia d'amore! Sono io a ringraziare tutti voi, credimi. Mi arricchite e mi fate sentire il piccolo tramite di grandi eventi! Un forte abbraccio a te, a Maria, a Nazario e ai tuoi relatori magnifici!
    Maria Rizzi

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