lunedì 30 novembre 2015

UBALDO DE ROBERTIS: " ACQUE SOTTO IL CIELO UN SOLO LUOGO"


Ubaldo de Robertis

Acque sotto il cielo un solo luogo
<<da Parti del discorso (poetico), Marco Del Bucchia Editore, 2014>>

Osservare impacciati naviplani risalire fondali
per mostrare il mondo qual era
Acque sotto il cielo un solo luogo
Segrete correnti riversano silenziose
argentei pesci dai quattro occhi sporgenti
Guizzano da mari levigati sulla terra informe
risorgive parvenze
Acque sotto il cielo un solo luogo
suddiviso tra abisso e rive
di uno stesso perduto paradiso

REDAZIONE MARGUTTE: "ROSA PARKS"

redazione margutte
(redazionemargutte@gmail.com)


Cari amici
sessant'anni fa il 1° dicembre 1955 a Montgomery in Alabama iniziava una delle più lunghe manifestazioni nonviolente (il boicottaggio dei bus) dei neri contro la discriminazione razziale. Chi diede inizio ai 381 giorni di boicottaggio fu una donna Rosa Parks. Ho immaginato di
incontrarla e di ascoltare la sua storia.
Per chi ha voglia di leggere quanto è venuto fuori, il link è questo:

http://www.margutte.com/?p=13059

Buona lettura e buon tutto

UMBERTO VICARETTI: "ALTRE STAZIONI ATTENDONO"


Umberto Vicaretti collaboratore di Lèucade


Altre stazioni attendono
(da Inventario di settembre. Blu di Prussia. 2014)

Di stazione in stazione,
fuggiamo verso misteriosi approdi.
Sepolto nella teca di cartone,
testardamente il Cristo sconosciuto
intralcia i nostri soliti weekend.

Chiusi nel burqa dell’indifferenza,
passiamo alla misura di un deserto
da  quel fagotto informe,
pietà negata che ci disonora.

Andiamo oltre.
                           Altre stazioni attendono
(nessuno più si ferma a Samaria),
altro Vangelo è il nostro.

CECCO ANGIOLIERI: "I HO SI' GRAN PAURA DI FALLARE"



I ho sì gran paura di fallare



I' ho sì gran paura di fallare
verso la dolce gentil donna mia,
ch'i' non l'ardisco la gioia domandare
che 'l mi' coraggio cotanto disìa;

ma 'l cor mi dice pur d'assicurare,
per che 'n lei sento tanta cortesia,
ch'eo non potre' quel dicere né fare,
ch'i' adirasse la sua segnoria.

Ma se la mia ventura mi consente
ch'ella mi degni di farmi quel dono,
sovr'ogn'amante viverò gaudente.

Or va', sonetto, e chiedile perdono
s'io dico cosa che le sia spiacente:
ché, s'io non l'ho, già mai lieto non sono.

venerdì 27 novembre 2015

giovedì 26 novembre 2015

PREMIO CITTA' DI PONTREMOLI






LUIGI GASPARRONI: "SPIRAGLI DI LUCE E VOCI E SILENZI"

Luigi Gasparroni ha pubblicato 7 raccolte di versi. Vincitore di premi letterari è socio dell'A.M.S.I. (Associazione Medici Scrittori Italiani).Primario di Pediatria, collabora a riviste scientifiche, letterarie, con saggi e poesie

Luigi Gasparroni: Spiragli di luce. Ottobre 2015









Luigi Gasparroni: Voci e silenzi. Novembre 2015








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NUOVO CONTRAPPUNTO - ANNO XXIV - N. 3 - LUGLIO- SETTEMBRE 2015

NUOVO CONTRAPPUNTO - ANNO XXIV - n. 3 - Luglio - Settembre- 2015 




RICORDO DI GIANNI RESCIGNO

IL PORTICCIOLO ANNO VIII - NUMERO III - SETTEMBRE 2015

Il Porticciolo Anno VIII - Numero III -
Settembre 2015


mercoledì 25 novembre 2015

CLAUDIO FIORENTINI: "LO SCULTORE PABLO ATCHUGARRY"


Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade


Pablo Atchugarry ai Mercati di Trajano (fino al 9 febbraio)

Ho avuto la fortuna di incontrare Pablo Atchugarry, tra i più importanti scultori contemporanei, e di ammirare le sue opere, esposte al museo dei Mercati di Trajano a Roma.
Pablo è un omone affabile e semplice che ti mette subito a tuo agio, e in mezz’ora di libera conversazione ha espresso, con estrema semplicità, alcuni concetti, che poi sono pilastri della sua vita. La semplicità, si sa, solo i Maestri possono permettersela. Questi concetti sono diventati per me i temi conduttori della mostra. Pablo li ha riassunti più o meno così: esporre qui esprime continuità tra la storia e l’oggi; vivere come su di un ponte, un po’ qui e un po’ lì (mi ricorda i versi di Facundo Cabral “no soy de aquì ni soy de allà”); nella vita bisogna avere un sogno.
Lo incontrerò di nuovo a febbraio per una intervista, forse anche per un brindisi, e avrò modo di parlare con lui più a lungo, ma già da ora mi sento di delineare alcune caratteristiche della poetica della sua opera.



Bene, iniziamo e… come potrei esprimermi se non per metafore? Sarò chiaro, non mi interessa cercare spiegazioni per le forme di queste sculture, non mi interessa esprimere giudizi estetici citando filosofi e saggisti, questo lavoro lo lascio ai critici. Per me l’arte non chiede spiegazioni e non può essere razionale, perché se ne limiterebbe il senso. Quindi affronto una sfida: descrivere la sensazione trasmessa da queste splendide sculture.
Immaginate un libro antico e prezioso che si apre appena, le pagine esterne saranno più aperte delle altre che, invece, pudiche, rimarranno vicine, come a proteggersi dall’indiscrezione del lettore che, intimidito dal linguaggio della carta (in questo caso del marmo), fissa l’istante e riconosce al libro, o alla parola, la sua dignità: se chiuso non rivela alcun segreto, se aperto a metà si dà alla luce, ma è solo quando lo si inizia ad aprire dalla copertina, solo quando si lasciano le pagine libere dal loro peso che la luce può illuminarle tutte. Ecco il punto: il segreto rimane segreto, non può essere svelato a chi non è pronto a leggere la verità che nasconde. La luce può illuminare quel segreto per intero se si lascia libero il libro, ma l’uomo non riuscirà a capirne il senso se non diventerà luce egli stesso.




Le forme slanciate, che tendono verso l’alto, richiamano il grido della roccia che si ribella alla violenza del martello. Eppure si lascia addomesticare, e da quella roccia, prima riassunta in un blocco insignificante, sorge la parola in essa racchiusa, sorge in un grido che si apre a ventaglio, o si chiude in una cuspide. Dal basso verso l’alto, sembra dire, o anche da dentro verso fuori. Il dentro però rimane tale, senza raggiungere forme razionali, perché se sogno era prima, sogno deve rimanere sempre, in quanto la natura di ciò che ci anima non sarà mai contaminata da ciò che ci muove.



Il gioco della luce e dell’ombra sulle superfici marmoree si traduce in poesia. La luce viaggia spedita nel suo percorrere il cielo, e non c’è alleato migliore per queste sculture che il sole novembrino di metà mattinata. Lui sì, il sole, sa dove posarsi per rendere servizio all’arte. La bellezza della pietra, che in certi punti appare trasparente, dialoga con il sole, si lascia accarezzare e il gesto delicato del raggio luminoso trova il suo trampolino di lancio nel gesto dell’artista che si è interposto tra i due con saggia precisione.



La continuità tra storia e presente, tra arte antica e arte contemporanea, è uno degli elementi fondanti di questa mostra, e i mercati di Trajano ben si prestano ad accogliere queste sculture, ma in realtà la continuità non la dà la mostra, ma la coscienza dell’artista di appartenere a questo flusso continuo di tempo e di eventi che, come lava incandescente che si raffredda all’aria, da liquido denso si solidifica per diventare storia. Pablo è parte della storia. La storia non si è mai interrotta e continua a porci il suo messaggio di insistente attualità grazie a chi cattura le mutazioni del suo linguaggio, e le esprime. Così il presente accoglie il passato e si tramuta in un fiore che si apre a ventaglio, unendo gli estremi di una vita e urlando, dolcemente, il suo canto di materia e terra.



Pablo Atchugarry vive da 35 anni in Italia, a Lecco, ma è nato a Montevideo (Uruguay). Di proposito non ho scritto “è di Montevideo”, perché lui vive su di un ponte, tra due culture. Infatti non ha mai abbandonato il suo Paese natale, dove ha una fondazione che dà spazio ad artisti emergenti, ma non abbandona mai neanche l’Italia. Ciò che mi ha colpito di questo breve incontro, è stata la serenità che emana dai suoi movimenti e dal suo parlare quieto, la grazia del suo respiro. Uomo di grande spessore, artista che si esprime in un linguaggio attuale, e instancabile, inguaribile sognatore. Senza il sogno non si va da nessuna parte, dice Pablo, e mi unisco a questo proclama ringraziandolo per questo bellissimo momento, una pausa tra il suo vivere “un po’ qui e un po’ lì”.








M. GRAZIA FERRARIS: "LA POESIA DI FLAVIO VACCHETTA"


Maria Grazia Ferraris, collaboratrice di Lèucade

La poesia di Flavio Vacchetta

Che è mai la bellezza? e perché, pur “con la bocca cucita”, danza? Domande che richiedono risposte complesse, difficili, quelle che l’Autore si pone. L’interrogativo cerca la sostanza sottesa all’infinito apparire delle molteplici variazioni del bello, necessarie e nello stesso tempo labili, effimere, e luminose, ricercate  come consolante, materno calore e colore, con tono austero e affettuoso, eppur condiscendente, tra ignoranza e consapevolezza silenziosa eppur onnipresente.  Ha aspetti di confidente  e quotidiano, trepidante ed  ironico mostrarsi e nascondersi, la bellezza.
L’architettura versificatoria disegna un sentire di grande intensità emotivo-esistenziale, ed arriva con facilità  a  farsi plurale nel suo messaggio umano. Tocca tutti gli ambiti del vivere e dell’esserci (“piaci a tutti,…se nevica, ami il colore, …generi vita, sorvoli il cielo, …profumi di mistero, non vieni mai a mani vuote,… generi commenti roboanti…”)  con figure stilistiche che creano immagini di personalissima scelta simbolica e realistica: un viaggio poetico che non pone limiti e confini.
È somma di contraddizioni che si disfano e si riannodano: spiegazioni che non spiegano, vivono di vita propria, esistono.
Il ritmo, musicale, con un felice senso della pausa, si fa via via più incalzante e accompagna fluente gli interrogativi, che rimangono tali. Nessun intento narrativo accompagna questa poesia, sovrabbondante, eppure essenziale, minimalista, dai ritmi scanditi, in versi brevi a sottolineare momenti, visioni, sensazioni. Accompagnati da abili assonanze e consonanze e rime interne l’Autore  ci invita a seguirlo nella ricerca di senso, nelle emozioni che si sfaldano, nelle  delusioni inevitabili, nel dolore delle cose: “lo stesso reale assurdo/ in là verso le sponde del mare amore soltanto cemento/ chiare già chiare illusioni”
Versi lirici che sottintendono un’adesione alla realtà fortemente impoetica, allo stesso tempo epici,  volti a narrare un passato che s’intreccia continuamente con il presente, amaro senza sembrare tale.
( sul tavolo/ calze a rete/ vestiti succinti…),  apparentemente dissacrante, anche quando si parla di grandi personaggi della storia e della scienza, come il suo Galileo: “la tua figura/ la tua sedia di lavoro/si sbrina ciondolante dio oh dio/ quando infuria/nel fango/la tua furia..”. L’intuizione, la ricerca intellettuale  e l’amore per la scienza lo portano a cogliere la grandezza disperata del grande scienziato che (“siamo miopi/ a non averti capito”) sospira le proprie passioni e la propria volontà in una consonanza di  passioni e di  scelte calate in  un’armonia in cui nulla stona, ma tutto si equilibra: “la tua vera vena/ soffiata di limpido cielo/ nell'anfratto cosmico/ del tuo cannocchiale/ il tuo sogno/ nel segno di giovani scienziati
è la tua canzone”. Il linguaggio resta spesso come sospeso, differito, e questa “sospensione” presente e sospesa si trasforma in versi lirici  in cui vengono evocati gli stati d’animo, i più complessi, modulati sul lento malinconico universale svanire dei sogni o l’ improvviso riapparire della realtà: (“fotogramma tassello/ di cose belle/la tua scienza/la tua graziosa vecchiaia/ la bellezza tua nostra vecchia/ fredda ombra sognatrice”). Sono cedimenti emotivi e coinvolgenti che immediatamente si  riallacciano anche provocatoriamente alla cruda realtà: “mi duole la vescica/ se penso ai tuoi numeri…. elaboro ecografia/ del tuo estremo sapere…”) Eppure grandi slanci intellettuali ed emotivi danno nuova linfa, rianimano anche la stanca ricerca personale:  “…febbre senza temperatura: oso dove posso/ ti stringo a me/ come moneta d'oro/ e fingo e spingo/  verso macchie solari la tua moschea/ di spine ed intelligenza” per concludere in un auspicio, una speranza che animi il nostro nebuloso futuro: “mi rovescio/ nel tuo finalmente/ “ i cieli sopra di noi”/  tuo messaggio linguaggio/ ci rovesciamo tutti/ sulla tua pazzia…
e ti vogliamo bene.

Maria Grazia Ferraris


  
BELLEZZA

 sei di cuore
fai sparire
ogni inciucio
piaci a tutti
sei necessaria

se nevica
sei confidente
non temi
il dolore
ami il colore
luminoso
di una madre

sei perla
priva di sassi
cancelli ombra
e solitudine
possiedi comunque
svariate possibilità

non provochi incubi
bensì generi vita
ti ci s'annusa
volentieri
cammini, austera
tra ignoranza e
sensazioni calde
ti occupi della
sofferenza altrui
stai accanto al
tuo Signore
effondi estasi
in silenzio
ed in silenzio
ringrazi

sorvoli il cielo
evitando che le rondini
si sbattano contro
fremi e profumi
di mistero

sui giornali
riportano
che sei speciale
insegnando che i panni sporchi
si lavano in casa
sei ornata di
biancheria reale
hai sangue blu
e fai le fusa

eviti di fare
ombra al mondo
usi bene il cervello
non vieni mai a mani vuote
di notte mostri
la tua istintiva arte
nascondi i rumori
alle spalle
generi commenti
roboanti
hai la bocca cucita
e danzi senza sapere il perché

già
perché danzi?



 IL CAFFE' E IL SILENZIO

sul tavolo
le calze a rete
i vestiti succinti

in taverna il cuore
le scarpe piu i desideri
la bianca moneta
è salvadanaio di piacere

pure i chiodi
conficcati in mano
ed asciutti

lo stesso reale assurdo
in là verso le sponte del mare
amore soltanto cemento
chiare già chiare illusioni



GALILEO GALILEI

ottenebrante
lancinante
la tua somma idea cosmica
ci esorta
da facili appendici
di almanacchi e riviste
la voce dei tuoi pasti
di cioccolata e arazzi
la tua figura
la tua sedia di lavoro
si sbrina ciondolante
dio oh dio
quando infuria
nel fango
la tua furia..

la tua vera vena
soffiata di limpido cielo
nell'anfratto cosmico
del tuo cannocchiale
il tuo sogno
nel segno di giovani scienziati
è la tua canzone
letta male
la scomunica papale
sono miope
molto miope
siamo miopi
a non averti capito
ora scelto
ti intravedo nello specchio
riflesso dal tempo
e mi rovescio nel
tuo niente

finalmente il tuo inchiostro
come sabbia sull'addome
che sbava in bolla
il mare non basta
non guasta
la trave assassina
spergiura l'estremo
sangue che cola
in biasimo brutale

il tuo mosaico ascolto
o maestro
la natura un furto
d'istante
distante il suono
osato è musica
punto contro punto
punto sceneggiatura
fotogramma tassello
di cose belle
la tua scienza

la tua graziosa vecchiaia
la bellezza tua nostra vecchia
fredda ombra sognatrice
mi duole la vescica
se penso ai tuoi numeri
incroci equivoci
d'immagini obsolete
allora escogito
per te parola estrema
ed elaboro ecografia
del tuo estremo sapere
coniugo i tuoi occhi
sui miei pianeti
smussando scena morta
accendo i miei occhi
il mio esempio per te
come febbre senza temperatura:
oso dove posso
ti stringo a me
come moneta d'oro
e fingo e spingo
verso macchie solari
la tua moschea
di spine ed intelligenza

hai spillato la pelle umana
per la tua idea
ora si dice che anche qui
c’è la tua parte
anche l'altra
quasi identica
alla faccia della luna
ovvero esistente
mi rovescio
nel tuo finalmente
“ i cieli sopra di noi”
tuo messaggio linguaggio
ci rovesciamo tutti
sulla tua pazzia
e ti vogliamo bene





martedì 24 novembre 2015

P. BALESTRIERE: DALLA PREFAZIONE A "POESIE" DI N. MIGLIACCIO LAVISTA



Pasquale Balestriere collaboratore di Lèucade


Nunzia Migliaccio Lavista

POESIE

(tratte dal silloge “Volti di poesia” di imminente pubblicazione)

Il mondo lirico di Nunzia Migliaccio  Lavista è strettamente intrecciato con il mondo fisico e naturale che sta intorno a noi: luoghi, vicende, paesaggi, persone sono colti nel fluire del tempo e della vita,  e cristallizzati nella  rarefatta atemporalità della poesia, e tuttavia essi conservano il dato istantaneo, una sorta di fissità fotografica da cui il lettore partecipe  può anche partire per una personale ricodificazione del momento creativo. E questo perché i temi che ispirano la poesia di Nunzia sono quelli della vita quotidiana, spesso negletti per la fretta anche ingorda con cui viviamo (e subiamo) il nostro tempo: sono i temi degli affetti familiari e amicali, della solidarietà, della natura, della bellezza.  E si svolgono sul registro della memoria, sicché il passato scorre, a grano a grano, rievocato dalla sensibilità acuta e vibratile di questa poetessa ripiegata su se stessa all’auscultazione degli intimi fremiti del cuore. Tale operazione non è però indolore, anche se poi sembra prevalere il più sfumato sentimento della nostalgia, intensa tuttavia quando a prender vita nel ricordo sono le figure e i momenti più cari.                    
Si tratta di un’esperienza tutta umana e reale, dunque, non priva però di qualche spunto metafisico e sostanziata di figurazioni belle e singolari. Il canto si dispone lungo l’asse di un percorso che è anzitutto esistenziale, e dunque vissuto e sofferto  con   trepidazione e senso di precarietà. L’animo della nostra poetessa mostra di aver conosciuto il dolore, le ingiustizie e le violenze della vita; e si è disposto alla difesa, ma con le armi della solidarietà, dell’amore e del canto. (Dalla prefazione di Pasquale Balestriere)                                     

      



I bambini
hanno il sole dentro gli occhi
e tra le mani
la forza del mattino.
Corrono incontro al mare
come pellicani al nido
e non temono uragani
né  il tuono che ferisce il cielo


Iniziare da questi versi incipitari significa andare a fondo fin da subito nella poetica di Nunzia Migliaccio Lavista; un canto fecondo di immagini, di risvolti vicissitudinali, di ritmi contaminanti, che ci parlano di amore, di vita, di freschezza giovanile e di luce;  di quella solarità che contraddice il buio, la tenebra, l’ombra con primavere vergini, cieli incontaminati, e tramonti rosseggianti di speranza. E i versi si distendono in una musicalità da crescendo rossiniano in previsione di incontri possibili; di gioie che abitano l’attesa:     

Forse
ci incontreremo
ancora
al bivio del nostro andare:…

E anche se un velo di malinconia, un substrato di dolore, l’affacciarsi di un orco  permeano l’andatura del canto:  

A volte arrivano  orchi.
Bambini passano
per il buio. Perdono
le ali

il tutto si sfoca in melodie, combinazioni emotive, iconiche visioni, che esplodono, con grazia, in morbidezze accovacciate in angoli segreti; in configurazioni stilistiche di accattivante generosità poetica; in picchi di conturbante soluzione intimistica che trovano nella realtà la concretezza del Bello: petali colorati, stelo, giorni, notte, nubi, laghi di gazzella; suoni, colori, battiti diastolici, fiotti di vertigini, di suppliche ad una limpida fonte per Jessica:

Mia fonte,
fa che essa danzi nel mondo
senza calpestare il sentimento;
che la pace squilli tra le sue corde,
che il seme maturi nel suo corpo
senza conoscere la falce

Nazario Pardini 



I bambini

I bambini
hanno il sole dentro gli occhi
e tra le mani
la forza del mattino.
Corrono incontro al mare
come pellicani al nido
e non temono uragani
né  il tuono che ferisce il cielo.

Essi
che hanno ali tese a cieli di conquiste,
sono gioia
agli angoli del mondo,
usignoli di strade, ruscelli sonori.
A volte arrivano  orchi.
Bambini passano
per il buio. Perdono
le ali.



Al bivio del nostro andare


Forse
ci incontreremo
ancora
al bivio del nostro andare:
i nostri corpi
oppressi da scommesse mai vinte
imbruttiti dall’ombra del dubbio,
dall’evanescenza di passioni
che definimmo amori.



Marilù
              

Mi rifugio
nella tua freschezza,
nella tua tenerezza.
              
Nelle tue braccia
che stringono tanto
senza stringere troppo.




A  Jessica
              
Sei anni,
sei petali si sono colorati
sul tuo stelo,
sei grani sono scorsi tra le dita,
sei anni ha alimentato l’amore.

Sei anni!

In giorni bui
ti ho dato la fantasia;
in notti chiare
ti ho mostrato la ruota
in balzi di nubi.
In laghi di gazzella
mi sono bagnata d’innocenza,
ho pescato poemi d’amore.

Sei anni!

Il dolore
ha già tirato lievemente
lo sbrigliato sorriso,
la lacrima scorre veloce
sul volto senza ricami.

Mia fonte,
fa che essa danzi nel mondo
senza calpestare il sentimento;
che la pace squilli tra le sue corde,
che il seme maturi nel suo corpo
senza conoscere la falce.