mercoledì 20 gennaio 2016

N. PARDINI: PREFAZIONE A "LA STELLA ERRANTE" DI PAOLO STATUTI

Prefazione a La stella errante
di Paolo Statuti


Ogni giorno vai smerciando astuta
il logoro corredo dei tuoi stracci,
ti sforzi di ridere e scherzare
ma ogni sera l’ombra ti fa muta (Vita).

Mi piace iniziare da questa citazione testuale per andare da subito a fondo nell’anima della silloge di Paolo Statuti; nella sua poetica fortemente umana e semplicemente complessa, dacché trae alimento da tutti quelli che sono gli input esistenziali, da tutto ciò che muove questa nostra avventura terrena, e che si riverbera in un canto “splendidamente monotono”, come sapeva dire, da par suo, Cesare Pavese, della poesia. E qui ciò che domina è quella semplicità espressiva che i poeti raggiungono solo dopo anni di pensamenti, di meditazioni, di rielaborazioni di dati e suggestioni. Sta qui la grandezza del poeta: saper spiattellare su un vassoio d’argento un’anima zeppa di ogni conflittualità interiore; nel saperla proporre con spontaneità, e con un linguismo accessibile e conturbante; diretto e arrivante. La cosa più difficile per uno scrittore è quella di saper tradurre l’intimità culturale e intellettiva in semplicità verbale. E’ quella la continuità, la monotonia che un poeta deve raggiungere perché ne divenga il marchio di fabbrica, il suo copyright; a ché nel tempo si faccia  originalità e compattezza del suo poetare. Vita, sì! Qui c’è tutta con il potere del sogno, dell’amore, del memoriale, dell’inquietudine, della saudade, e della coscienza del tempus fugit: “… ogni sera l’ombra si fa muta”. Luci ed ombre che nella loro simbiotica fusione offrono quel substrato di melanconia che fa parte del fatto di esistere. Ed è già presente, fin dai primi versi, la visione di un tempo che logora senza pietà, consumando le nostre speranze, le nostra illusioni:

(…)
La sera faccio il bilancio
della giornata:
non è mai poco
non è mai molto
è quello che mi aspettavo

Affrettatevi però
prima che mi scada
la licenza di vendita (La bancarella).
  
Un bilancio abbastanza triste che scaturisce da una visione obiettiva e oggettiva del mondo che attorno ci ruota senza sconti; un redde rationem ultimativo e finale sul nostro soggiorno umano; una licenza che non può essere rinnovata e che segna la scadenza del nostro esser-ci. Il Poeta parte da piccoli fatti, da realtà minime che ci stanno attorno, e con abilità metaforizzante, con giochi analogici, sa elevarsi al di sopra della stessa realtà per trarne conclusioni di generoso impatto emotivo; una fede che gli permette di trasferire all’azzurro le bellezze  del Creato. Sono tante le configurazioni fenomeniche, e le vicissitudini esistenziali accumulate negli anni. E’ lì che hanno covato; nel suo animo; trasformandosi in immagini di valore ontologico. Ed è da lì che l’Autore attinge per fare della sua storia un “poema” denso di intimi riflessi, di giochi di melanconica terrenità:

Lo sai che senza di te
non potrei vivere
che senza di te
non potrei nemmeno morire (Malinconia).

D’altronde gli ingredienti più redditizi per un canto di  effusione lirico-emotiva sono proprio la memoria e il sentimento: una fecondità con cui tornano in campo antiche primavere. E’ in quelle che il Poeta si rifugia per sfuggire alla tristezza della quotidianità. Ne fa un’alcova rigenerante, un mondo virtuale zeppo di volti e accadimenti di forte impatto umano:

A volte tornano immagini dimenticate
come nuovo stupore
a volte tornano parole dimenticate
come nuova scoperta
a volte tornano persone dimenticate
come nuova amicizia o nuovo amore
e ogni anno torna
il fresco odore della primavera
e il dorato sorriso dell’autunno
e ogni volta
l’anima ringiovanisce un po’
eppure è sempre più vecchia (Ritorni).

Ed è proprio la natura, con i suoi frammenti cromatici, con le sue parvenze simboliche, a farsi collaboratrice fedele nel ritrarre un esistere zeppo di sottrazioni, di autunni cadenti, o di soli imbronciati; nel farsi volume di un essere in cerca della sua consistenza:

Il fruscio delle foglie secche
punge il corpo
come vespa invisibile
sbatte una finestra
con monotona perfidia
oggi anche il sole fa il broncio
sbocconcellato da una grigia trina
che puzza di pioggia
se tu almeno fossi qui
mi diresti
che il fruscio delle foglie
è uno scherzo di Chopin
che la finestra che sbatte
è una tachicardia
e che una lettera non scritta
non è poi la fine del mondo (La lettera).
  
 Ritratto perfetto di un mélange fra sentimento e ricordi che, col suo procedere monotono, sembra voglia potenziare l’epigrammatica condizione intimistica del Nostro: l’abito chiaro, gli occhi spenti, i saluti plastificati, le avide occhiate, il clic degli interruttori, i sogni ronfi, le coscienze archiviate. Tutto si condensa in una spietata successione di fatti e momenti, di sguardi e profumi, di suoni e gesti che dànno luogo ad una continuità scontata; ad un persistere di accidents vissuti e rivissuti: 

… L’abito scuro della sera
gli occhi accesi delle case
le avide occhiate
il clic degli interruttori
il cigolio delle reti
i sogni i ronfi
le coscienze archiviate (Continuità).

Ma non è raro che l’attenzione e la sensibilità del Poeta si soffermino su visioni accattivanti; su oggettivazioni traslate con interventi di natura etimo fonica e simbolica di resa immaginifica per una sana poesia:

Roma, ogni notte
ti getti nei vortici
del tuo amante
e scorrete insieme
finché la draga dell’alba
non ti ripesca
grondante di luce
e di amore (Roma).

Una vera pittura suggestiva, una vera pennellata forgiata con ars inveniendi dove l’alba si fa draga grondante di luce e di amore: sinestetici tocchi ricamati di merletti fatti a mano; lavorati da mani artigianali aduse a tagli e ritagli; a fantasie di urgente creatività. Né mancano  sorpresa e meraviglia dinanzi al mistero che avvolge  e sconvolge un poeta cosciente della miseria umana quando prova a misurarsi col tutto; dacché c’è questo tentativo da parte sua di avventurarsi in navigazioni di difficile approdo; in contemplazioni di stelle e di infiniti che lo sperdono in mondi impossibili; in contemplazioni stranianti:

 …  Una strada buia
in montagna
camminando a testa in su
pensando
ora la Terra è inerme
sotto il fuoco incrociato
del Cielo
Stelle leggiadre e superbe
sprofondate nel baratro dell’infinito
sembrano sapere qualcosa
e di tanto in tanto strizzano l’occhio (Stelle).

E l’opera si dipana in confessioni di un lirismo accattivante ed energico, dove il verso, con plastica morbidezza, accompagna i picchi ispirativi, le vertigini paniche, e le meditazioni vitali:

da Ascoltando Bach
(…)
Il tuo sorriso
è il sorriso che Dio
ti ha rivolto
quando morendo
gli hai portato in dono
le tue armonie...
le Sue armonie! (Ascoltando Bach);

alla musica della pioggia:
(…)
Le foglie degli alberi
applaudono in silenzio
per non disturbare la musica
che scende dal cielo (La pioggia);

da La cantina dei ricordi:

A volte scendo
nella cantina dei ricordi
prendo una bottiglia
d’una buona annata
tolgo con cura la muffa
e levo il tappo
Già pregusto un sorso
di giovinezza –
il primo segreto
la prima promessa... (La cantina dei ricordi);

al Natale che ritorna:

(…)
- E’ Natale,
da oggi amatevi,
non fatevi del male! (Natale);

dall’Invito alla  Vergine:

Vergine Santa,
sei libera stasera?
Ascolta, ho un’idea... (Invito alla Vergine);

alla Preghiera:

(…)
Lo so, tante volte ho peccato,
ma per la tua pietà
oso sperare, mio Dio,
che mi perdonerai
e mi sorriderai
nell’ora del supremo addio
alla vita mortale.
Amen (Preghiera);

dalle foglie piangenti dell’autunno:

(…)
La pioggia
dietro i vetri
le foglie piangono
lacrime – cristalli (Autunno);

 A Il sorriso della rosa:

                                                 Ad Olga
Quando la rosa si schiude
sorride
e dai petali affiora l’anima,
come dal viso della Gioconda (Il sorriso della rosa);

dall’Amore:

                                             A Rosy e a Claudio
Amore, oggi pensavo...
quante belle parole scritte su di te,
che riempiono più la bocca
che il cuore (Amore).


alla Musica:

E’ l’alba. La luce
bacia le tenebre
e il silenzio del cielo
accoglie il risveglio
della terra, (Musica).

Fino a: Il pianoforte:

(…)
Vecchio pianoforte così scordato,
pieno di acciacchi e così forato,
la polvere che copre la tua armonia
è la cipria del tempo che vola via (Il pianoforte),

che, affidando un sentimento di nostalgiche reminiscenze ad una ballata sul tempo che fugge, chiude una silloge pregna di amore per questo miracolosa esperienza che è la vita. Un caleidoscopio di perlustrazioni emozionali e di incontri onirici che rende questo “poema” plurimo, polivalente, disteso su scarti semantici e soluzioni linguistiche lontane da insidie di luoghi comuni e epigonismi.
    
    

Nazario Pardini

4 commenti:

  1. Conoscendo la poesia di Paolo Statuti e letto in anteprima l'intera Raccolta: “La stella errante”, posso affermare con il massimo convincimento che il prefatore, Nazario Pardini, ancorché poeta di grande livello, non ha pari nel cogliere gli aspetti salienti della poesia altrui. Qui realmente Egli dà la prova concreta della sua finissima arte letteraria. Pensate che ad un certo punto della prefazione, dopo aver colto alcuni maestrevoli tocchi in ben individuati versi dello Statuti, afferma:
    “Una vera pittura suggestiva, una vera pennellata forgiata con ars inveniendi dove l’alba si fa draga grondante di luce e di amore: sinestetici tocchi ricamati di merletti fatti a mano; lavorati da mani artigianali aduse a tagli e ritagli; a fantasie di urgente creatività.” E così gli altri richiami ai colori, il mutare di certe gradazioni, e alle particolari immagini presenti in taluni versi.
    Essendo io la persona che li ha fatti, per così dire, “incontrare”, sono sobbalzato sulla sedia, perché so per certo che il prefatore, durante la stesura della nota introduttiva, ignorava che il poeta in questione fosse anche un eccellente pittore!
    Una volta dichiarato che ammiro Paolo, con il quale condivido la passione per la musica, Bach in primis, per il rispetto assoluto che nutre per la Poesia, in tutte le possibili forme di espressione purché derivate dal sentimento, quando si accoppia alla profondità e alla spontaneità, io, lettore, mi sposto di lato ad ascoltare.
    Questo perché vorrei dire tante cose che in questo momento fanno ressa e quindi preferisco rileggere i magistrali discorsi del Pardini e le parole poetiche dell'amico Paolo, nelle quali trovo quella sensibilità musicale pittorica e poetica che ho sempre istintivamente cercato negli artisti e quindi nei Poeti.
    Ubaldo de Robertis

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  2. Caro Ubaldo, a Nazario Pardini devo la magistrale interpretazione non solo dei miei versi, ma della mia personalità e sensibilità artistica. E' stata per me una grande fortuna questo nostro incontro a tre, forse propiziato dal mio solito "angelo custode", e non finirò mai di ringraziarvi. Nella vita non è mai troppo tardi per conoscere nuove persone di altissimo livello spirituale e intellettuale come te e Pardini. Un caro saluto a entrambi. Paolo Statuti

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  3. Forse l'amico de Robertis, essendo giunto su Lèucade da non moltissimo tempo, non sapeva appieno la bravura di Nazario come critico letterario. Io che lo conosco da una decina d'anni, che ho letto praticamente tutto quello che ha scritto (in prosa e in poesia) e che sono legato a lui da fraterna amicizia, posso serenamente affermare che Pardini è, innanzitutto e soprattutto, un amante della poesia e della bellezza, dell'arte e della musica (non sognatevi di toccargli Puccini!); e del suo metodo critico credo di aver individuato, nella mia prefazione al suo ponderoso "Lettura di testi di autori contemporanei" (770 pagine, di cui circa 650 di contributi critici), i movimenti essenziali. "Funziona così: Pardini lettore si cala nel testo con la sua fiduciosa curiosità intellettuale, caratterizzata - se così posso dire - da un ampio orizzonte d’attesa, ossia da una sua sicura disponibilità a positive rispondenze. E subito, per la passione che lo contraddistingue, intesse con l’opera (e con l’autore che vi è sotteso) un franco colloquio, instaurando un accurato confronto per indagarne ogni aspetto, ma, innanzitutto, per coglierne l’essenza e rivelarne la pregevolezza e la bellezza. Perché a me pare che nell’indagine pardiniana, per conformazione intellettuale e per humanitas dello scrittore toscano, l’aspetto estetico abbia qualche prevalenza sul dato puramente critico. Sicché il testo ri-vive, si ri-anima in tutta la sua sostanza e potenzialità creativa, fonica e cromatica. Il fatto poi che il Nostro sia dotato di spiccata sensibilità artistica e abbia dalla sua una lunga militanza poetica (occorre forse ricordare qui che la sua doviziosa e fascinante produzione lirica si sia coagulata in più di venti pubblicazioni?) gli consente di individuare elementi e risvolti che sfuggono talvolta anche a critici particolarmente avvertiti ..."
    Questo per quanto riguarda Nazario. Di Statuti sapevo ch'era un traduttore. Non lo conoscevo nella veste di poeta. Ma, dai pochi indizi che posso cogliere dalle citazioni dei suoi versi non faccio alcuna fatica a condividere il pensiero di Nazario.
    Pasquale Balestriere

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  4. Carissimo Pasquale, carissimo amico di avventure umane e letterarie. Quante telefonate ci hanno accompagnati nei nostri colloqui sulla poesia o sull'arte in genere. E quante amarezze abbiamo ingoiato per cose non giuste o per scritti ridondanti spacciati per voci calliopee; e quante gioie alla lettura di versi concreti, appassionati, nutriti di anima e di storia in alta levatura euritmica; e quanta franchezza nella tua indole di uomo ora ben disposto verso le cose belle, ora giovenaliano, rude e impettito, verso la falsità e l’arroganza. Ti ringrazio per lo stupendo commento che non fa altro che rassodare la nostra amicizia; mettere in luce il sentimento che ci lega e l'amore che ci accomuna per questa nobile arte. Un grande grazie, anche, a Statuti per la sua nobiltà d'animo e a Ubaldo sempre presente coi suoi generosi e sapidi interventi.
    Nazario

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