Cesare Baldi non è più giovane, ma non
è neppure vecchio, ha solo tanta stanchezza sulle spalle e sulle ginocchia, che
si piegano da sole.
Molto ha lasciato di sé sui solchi del
campo, dove con precisione ogni anno mette i semi a dimora, molto ha faticato
per falciare l'erba, per sradicare la gramigna; la sua schiena si è ingobbita
con le stagioni ,nella lunga fatica di cavare le patate dai solchi, di
strappare i cavolfiori dalla terra indurita dal freddo…
E' sempre stato un uomo semplice e schietto,
devoto alla tradizione e ai costumi degli avi, contadini esperti da
generazioni.
Ha sposato in età matura Lucia,
ragazza timida e devota, molto più
giovane di lui, una brava ricamatrice che si è volentieri adattata a fare la
moglie del contadino, il quale non ha mai preteso che lei andasse a lavorare
nei campi.
Una coppia tranquilla i coniugi Baldi,
anche se non propriamente bene assortita, comunque in accordo sempre; lei
attenta alle necessità di lui, rispettosa nell'osservare scrupolosamente gli orari a cui l’uomo tiene
moltissimo, impeccabile nelle faccende di casa e nell'accudimento degli
animali.
Cesare a sua volta cerca di non
dimenticare mai le date delle feste per i regalini ai quali Lucia sembra essere
stata abituata. Quando si avvicina il compleanno della moglie, oppure per
Natale e Pasqua, lui si veste elegante e va in città per sceglierle il dono;
quando torna si chiude in camera da letto per nasconderlo fino al giorno della
ricorrenza.
Una volta Lucia ha scoperto che Cesare
in quelle occasioni comprava sempre una cosa anche per sé, quasi in segreto; si
trattava generalmente di orologi, di tutte le fogge: da tavolo, da polso, a
muro... anche una sveglia, finché un giorno vede comparire un oggetto sconosciuto.
- Cos'è? - chiede al marito.
- Si chiama Clessidra -, dice lui , e
subito la mette in tasca.
Con queste parole il discorso sembra
concluso.
Ma Lucia resta con la curiosità,
soprattutto per la ritrosia dimostrata dall’uomo. Nei confronti di lui conserva
un senso di soggezione, sia per la differenza dell'età, sia per il suo innato
rispetto per il marito.
Cesare,
in effetti, è un contadino stanco, ma anche saggio e profondamente
intelligente: ha sperimentato per anni il mutare del tempo di ora in ora, di
giorno e di notte, dai grandi slanci e dai declini delle stagioni. Il periodo
che predilige è da sempre l’inizio dell’autunno, anche se coincide con la
fatica della vendemmia. Tutto ha i toni dorati della terra: un collage mutevole
di foglie bagnate, che si rispecchia nei riflessi del cielo.
La
passione per gli orologi esula dal senso della tradizione dell’uomo, è legato a
una tendenza tutta sua, che non saprebbe spiegare, ma che ha provato il giorno
in cui nel comprare un pacchetto di dolci alla moglie, scoprì, per caso, un
negozio di orologi.
Il
contadino avvertì la necessità di comprarne uno, economico, classico, con le
lancette grandi… Nell’indossarlo provò emozioni mai immaginate, potenti,
destabilizzanti. Ebbe la sensazione di specchiarsi nel quadrante, di scoprire
la misura del tempo reale e soprattutto delle proprie ansie recondite. Erano
lì, nel quadrante, miniaturizzate.
Cesare
da quel giorno conosce il mistero del tempo reale, quello che non necessita di
sottomissione all’ordine della natura, e che non ha come mezzo d’azione le
preghiere e le pratiche superstiziose.
Il
contadino ha sviluppato a poco a poco la sua ossessione verso quello strumento,
che rivoluziona i suoi punti fermi e sa che le lancette di ogni oggetto
acquistato - sveglia, orologio da taschino, da polso -, rappresentano frecce
che viaggiano in una sola direzione, per dirla nel linguaggio a lui consono,
dal seme al frutto… alla polvere. Il passato non torna, se non nei sogni, nella
nostalgia.
Il
tempo rappresenta la lotta perpetua dell’uomo e lui ne possiede meno di Lucia.
La
donna non comprende che in tutti quegli orologi si celano le nuove paturnie del
marito, che all’apparenza è l’uomo taciturno di sempre.
Cesare
ha sempre ammirato la puntualità della donna nello svolgere le mansioni
domestiche, ma da tempo ha sviluppato una tendenza al controllo sui ritmi
quotidiani e alla fretta.
Lei se
ne è accorta nel corso dei pranzi, che hanno perso ogni aspetto di convivialità
e nella volontà dell’uomo di accelerare i lavori mattutini con gli animali.
Vivono
rincorrendo le ore, continuando a conoscersi poco e a rispettarsi.
Fino
al giorno della clessidra.
Quando
il contadino torna con lo strano oggetto e si limita a dirne il nome alla
moglie, lei evita di fare domande, ma avverte la sensazione che la loro vita
cambierà.
Cesare,
in effetti, desidera riprendere il senso del tempo che possedeva prima di
scoprire gli orologi, per non sentirsi schiavo di quei giorni sospesi e di
quell’esistenza che corre sempre più velocemente di lui.
Lucia
è giovane, graziosa, ha atteggiamenti più filiali che da moglie, e lui li ha
solo incoraggiati con l’indole solitaria e introversa. Il loro matrimonio è
sempre stato una semplice consuetudine, non una storia di amore, di complicità
e di confidenza.
Il
negoziante d’orologi aveva in esposizione lo strano oggetto di vetro colmo da
un lato di granelli di sabbia, e quando Cesare aveva chiesto cosa fosse, gli
aveva risposto:
- Una
clessidra. Molto diversa dagli orologi. Uno strumento antico, legato alla
memoria, alle esperienze fatte nel tempo -
Il
contadino non aveva compreso molto, ma al collo del bellissimo oggetto era appeso un foglietto
con le parole: “Vedere il mondo in un
granello di sabbia, / e un cielo in un fiore selvatico, / tenere l’infinito nel
palmo della mano / e l’eternità in un’ora”.
- Bah,
‘l’eternità in un’ora’, - aveva
bofonchiato l’uomo
-
Rallentando la corsa è possibile, noi non possiamo capirlo, perché siamo nella
morsa del caos, ma lei dovrebbe insegnarlo, visto che vive i tempi della
campagna - , gli aveva risposto il negoziante.
Cesare
decise di comprare la clessidra, mentre avvertiva qualcosa di fastidioso
muoversi nel petto.
Lucia
si accorge quasi subito che il marito è diverso. Ha un atteggiamento più
tenero, tende a guardarla negli occhi, a sorriderle.
Un
pomeriggio, mentre sono seduti sotto al tiglio, intenti a togliere i fagiolini
dai baccelli, di colpo le solleva il mento con la mano e la bacia.
Non
era mai successo.
E
Lucia mentre annega in quell’odore di fieno secco, sudore e carne morbida
sente
le guance avvampare e il cuore aumentare i battiti.
Restano
seduti fino al vespro, ignari delle faccende da sbrigare, della cena che deve
essere consumata alle diciannove.
La
donna, stordita, pensa alla clessidra e si convince che sia un oggetto magico.
Cesare
scopre che la ‘danza lenta’ allunga i tempi importanti della vita e, con
pensieri suoi, sente ‘ l’infinito nel palmo della mano’.
Lillà e Margherita
Desidero ringraziare il Prof Pardini per aver pubblicato questo racconto che mia madre ha scritto a quattro mani con la scrittrice, amica d'anima, Maria Rizzi. Ringrazio Maria stessa che continua a dare voce a Edda, dimostrando di non dimenticare mai il rapporto spirituale che le ha legato, la loro affinità, la gioia dello scrivere che le ha unite nel dare vita a diversi racconti. Sotto gli pseudonimi di Lillà e Margherita, Edda e Maria continueranno eternamente a raccontare le loro storia, con un perenne sorriso su bocca e anima
RispondiEliminaGrazie
Isabella Conte
Cari tutti, sono io a ringraziare il mio Nazario per aver pubblicato uno dei racconti scritto a quattro mani con la mia Edda. Leggerlo mi procura emozioni forti e dolcissime al tempo stesso... la famosa sensazione che lei sia 'nella stanza accanto' e vegli sui suoi figli e su tutti noi. Mi ha lasciato l'eredtà di Isabella e non potevo ricevere dono più grande. Per uno strano gioco del destino da un anno scrivo con lei e l'ho vista esprimersi in tutto lo straordinario talento del quale mi parlava Edda. La vita è davvero incredibile. Vi abbraccio tutti con immenso amore.
RispondiEliminaQuesto bel racconto, scritto a quattro mani da Maria e dall'indimenticabile Edda, mi ha emozioata. Il ricordo di Edda sarà sempre vivo. Grazie, Maria, per averlo proposto e un abbraccio a te, donna sensibile e amica cara.
RispondiEliminaMarisa bella, il avoro a quattro mani con Edda era diventato il coronamento di una grandissima amicizia. Si scriveva e si parlava tantissimo e, pur non avendola mai abbracciata, mi sembrava di conoscerla da sempre. Ho scritto al passato, ma il patrimonio artistico lasciato dalla nostra amica le consente di afferrare la coda dell'eternità. Grazie a te, alla tua sensibilità nota a tutti e a Isabella Conte, che ha proposto il racconto ed è la meravigliosa donna alla quale la mamma ha lasciato il testimone. Vi abbraccio entrambe insieme al Nume Tutelare.
EliminaGrazie dal profondo del mio cuore a Lillà e Margherita. Grazie per l'impronta lasciata sulla Terra.
RispondiEliminaCorrado Casabuoni
L'impronta è quella di Edda, Corrado, io ho avuto l'onore e la gioia di camminare nella sua ombra lunga. Un abbraccio forte a te, tanto caro a lei e... a me!
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