Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
"Oltre":
la memoria profonda
Mostra di
pittura del Maestro Vito Lolli a Marino
Sabato 1 ottobre, in occasione della novantaduesima Sagra dell'Uva di
Marino (Roma), si è inaugurata, presso il Museo Civico Mastroianni, una mostra
del pittore Vito Lolli che resterà aperta fino al 30 ottobre. Nell'esposizione,
che s'intitola "Oltre", balza evidente l'impianto fortemente
visionario del noto pittore. Sembra di trovarci di fronte ad un gioco esoterico
ricco di allusioni metaforiche, di rimandi e riferimenti coltissimi, ma bisogna
sgombrare il campo da molti luoghi comuni. Vito - chi lo conosce lo sa - è
senza dubbio un intellettuale di grande spessore, ma la teoria che porta avanti
è susseguente all'espressione artistica. Non la precede, la segue. Non ne è il
prologo ma l'epilogo. Per ognuno di questi
quadri ci sarebbe da parlare per ore, tanto sono ricchi di contenuti simbolici.
Sottolineo che sto parlando di simboli, non di metafore. La distinzione è
sottile ma profondissima: le metafore sono similitudini, comparazioni, e dunque
giochi intellettualistici, per non dire di peggio: giochi da settimana
enigmistica. Symbolon invece significa
unione, relazione tra cose diverse e contrastanti, altro che analogie!
Il Simbolo è il
mistero in carne ed ossa, è la realtà pura e semplice, fisica ed ultrafisica, in
cui siamo immersi e da cui siamo circondati. Quella realtà coglie di sorpresa
il nostro intelletto prima che inizi a ragionare. Osserviamo il dipinto
"Mater Materia". Vito mi ha
detto che la figura che apre il mantello e rivela la meraviglia del mondo visibile
ha ronzato nella sua testa per almeno due anni, e lui la disegnava. Poi,
successivamente, leggendo del mito di Ferecide di Siro, ne ha ritrovato la
medesima descrizione. La stessa cosa gli era accaduta anni addietro con la tela
intitolata "Gioco divino". Gli mancava un dettaglio conclusivo che aveva
atteso circa quattro anni, e quando improvvisamente gli venne in mente e lo
dipinse, qualche giorno dopo fu folgorato dalla lettura della sentenza
eraclitea dove si afferma che l'eternità è il regno di un bambino che gioca ai
dadi: la stessa immagine. E che dire di "Veritas", un altro dipinto dove
una figura femminile è posta all'interno di un panneggio disposto nella forma
del simbolo metafisico dell' 8 aperto? Quell'immagine gli è balenata mentre
stava andando in farmacia!
Questo per dire che
il lampo della visione artistica è imprevedibile. Non è l'evoluzione di un
linguaggio, di un pensiero. Ogni immagine fa a sé e non è un passaggio di un
discorso.
Queste visioni non sono illustrazioni di una teoria, ma sono schegge di una
memoria ancestrale che viaggia negli spazi mentali e giunge da chissà dove. Poi
interviene lo studio, la comparazione, l'esigenza di farsi un'idea di quanto
avviene nel folgorante momento creativo. Ma l'arte in sé non è costruita a
tavolino, non è un gioco intellettualistico. E' mitopoiesi, è ispirazione, è
ascolto della Musa. E chiarisco che non uso il termine nel senso tradizionale, idealistico-romantico,
di trasporto sentimentale o di trastullo onirico. Né tantomeno in quello, caro
ad alcune avanguardie, di automatismo psichico. L'ispirazione non è opera del
caso. Non basta aprire la bocca e darle fiato, eliminando ogni fatica intellettuale e fisica. Ispirato non è
l'arcade che ozia tra gli augelli ed i fiori olezzanti di un prato. Ai
nullafacenti nulla regala la Musa.
Basta dare
un’occhiata a questi dipinti per capire l’enorme importanza del lavoro tecnico,
della fatica intellettuale e fisica. Se ci soffermiamo a considerare la
luminosità di queste tele, o anche la profondità spaziale vertiginosa delle
visioni, possiamo intuire di quale eccezionale bagaglio tecnico disponga
l’autore (autodidatta e oggi maestro di pittura). Va tuttavia detto che qui la
tecnica torna ad essere un mezzo e non un fine. Un mezzo, si badi, non al
servizio delle Idee (ne andrebbe di
mezzo l'autonomia dell'arte), ma al servizio della Musa, della sapienza universale dimenticata. L'ispirazione è qualcosa
di molto profondo. E' il frutto problematico di un azzeramento culturale, di un
processo di pulizia mentale che libera dalle pastoie, dalle sovrastrutture e
dai pregiudizi culturali, facendo apparire la realtà pura e semplice delle cose. Quello che Vito dipinge non è il risultato di
un'elaborazione razionale e meno che mai di una spinta onirico-emotiva. E' la
riproduzione di immagini accese nell'intelletto da questa memoria profonda,
caduta in oblio.
Non memoria del
tempo passato, ma risveglio di un tempo che è fuori dallo scorrere del tempo: il
tempo della Creazione perenne, il tempo delle origini sempre originanti che mai
ci hanno abbandonato. In questo blog letterario abbiamo avuto modo di leggere,
di recente, un saggio di Lolli molto interessante, dal titolo Cos'è l'arte, dove filosofia, mistica,
scienza e analisi del linguaggio si fondono in modi insoliti tra di loro. Quale
è la matrice delle visioni artistiche?, si chiede l'autore. Da dove nascono le
immagini che si animano nella mente del poeta e dell'artista? Da una Memoria,
egli dice, anteriore alla nascita del Tempo, una Memoria dimenticata (e
addirittura "fatta per dimenticare"). Una sorta di Eterno Presente o
di Coscienza Cosmica. Parliamo di quel Logos che, secondo l'etimo, raccoglie e
tiene unite tutte le cose prima della loro caduta nello spaziotempo, ovvero prima
del loro smembramento. Da qui l'esigenza del ri-membrare, del riunire gli elementi dispersi, che è tipica del
fare artistico, quando sia autentico.
Lo sguardo di Vito, allora,
come di ogni artista autentico, non si distrae nelle variazioni del molteplice,
nella frivolezza del mondo esteriore, ma è tutto puntato sull’unità del
molteplice, o, se si preferisce, sulla molteplicità dell’uno. Ciò che
all'artista interessa è di immergersi nel mondo fenomenico per prendere
contatto con la radice da cui la vita viene. Pittore appartato e fuori da ogni
moda, da ogni circuito ufficiale, egli compie percorsi inediti e innovativi.
Non in linea con la cultura visiva dei nostri tempi, questi dipinti sono
tuttavia legati all’uomo d’oggi, alla sua imprescindibile esigenza di
ristabilire un contatto con l'Essere. Una figurazione inusuale, un simbolismo
misterico che irrompe dall’Oltre e non ha nulla a che vedere con l'elaborazione
culturale. Che poi, a ben guardare, l'Oltre
sta qui. Siamo
noi che ci bendiamo e non riusciamo a vedere quello che un bambino vede
benissimo, quello con cui dialoga costantemente. Noi parliamo di rivelazioni,
parliamo di risveglio, ma risveglio diventa perché ci addormentiamo.
Se non ci addormentassimo, faremmo come il bambino che vive il mistero
della Creazione e dialoga con ciò che è nascosto, invisibile: parte integrante e
imprescindibile della realtà. Tuttavia l'animo umano è fatto così. Ha bisogno
di questo movimento altalenante. Ha bisogno dell'oblio e del risveglio, della
grazia e della disgrazia, dei tramonti e delle aurore. Ha bisogno di
distruggere per costruire, e viceversa. Tutto
ciò è detto splendidamente nel mito di Mnemosyne
(la Memoria), madre di tutte le Muse,
che è anche il nome di una delle due fonti cui è d'obbligo bere per avere
accesso agli Inferi. Lei consente di ricordare ciò che si è visto nell'aldilà,
mentre l'altra fonte, intitolata a Lete
(la dimenticanza), fa scordare le
cose del passato. Senza il Vuoto non c'è neppure il Pieno. Senza il Nulla,
l'Essere non appare. C'è bisogno, di tanto in tanto, di un blackout, di un cortocircuito, di un'inversione cardiaca.
Osserviamo il teatro
del Vuoto dechirichiano: gli ideali sono ridotti a manichini e gli dèi sono
fuggiti dal mondo. E' l'intero percorso della cultura occidentale, metafisico e
nichilistico nello stesso tempo, a crollare miseramente. Non a caso il nichilismo
dechirichiano ha preso il nome di Arte Metafisica. Ora la domanda è: la fine è
definitiva, oppure è il prologo di un nuovo inizio, di una nuova avventura?
Ebbene, questi dipinti mostrano quale alta tensione morale e vitale possa
svilupparsi nei territori del silenzio, nei domini del vuoto e del nulla. Il
silenzio è l'unico vero valore da coltivare nella torre di babele in cui oggi
viviamo. E' dal silenzio che da sempre germogliano i nuovi linguaggi, le nuove
culture, le nuove idee. Le immagini che qui vediamo nascono dal vuoto mentale, da
quel nulla che è la condizione indispensabile
affinché possa rifarsi il pieno, garantendo la
rigenerazione dell'animo umano.
Lo sguardo di Vito è
tutto puntato in questa Dualità, in questo mistero della Creazione universale.
Ed è oltremodo interessante, in
questa visione, il rapporto rivelato tra Luci e Tenebre, tra Maschile e
Femminile, tra Fisico ed Ultrafisico, tra Finitezza ed Infinità. C'è sempre una
coppia di opposti in armonia, una Dualità appunto che chiama in causa l'Uno. Un
Uno tuttavia non monadico, ma inteso come Tutt'uno, come
Riunione delle Parti, come Armonia dei Contrari, come Complementarità. C'è un
simbolo ricorrente, fra i tanti che nella mostra è dato vedere: il Sole Nero.
Guardiamolo attentamente e lasciamo stare le tradizioni esoteriche che ne
parlano a sproposito, finendo per collegarlo addirittura alla Svastica e al
Nazismo. Aria fritta, astrusità. Qui il Sole è Nero semplicemente perché anche
il Nero è splendente, esattamente come il Bianco, e tutt'e due concorrono all'Armonia.
In "Mater Materia" vediamo che Madre Terra discende direttamente da
quella luce oscura, dando origine al mondo di capovolte armonie in cui viviamo:
luogo di equilibri violenti, dove tutto si afferma e nega, tutto s'avviva e
muore.
Franco Campegiani
Ottimo saggio critico, illuminante lettura -guida alla conoscenza dell'artista V. Lolli, che tra l'altro ho avuto modo di apprezzare anche in un suo commento ad un mio racconto comparso proprio su "Leucade". Sento peraltro di dover sottolineare , tra quanto scritto da F. Campegiani, il concetto che segue: "L'arte in sé non è costruita a tavolino...è mitopoiesi, è ispirazione, è ascolto della Musa...ecc" .
RispondiEliminaCondivido in tutto. Esprimo il mio sentito augurio di meritato successo al Pittore e complimenti al critico e scrittore franco Campegiani. Edda Conte.
Ringrazio vivamente Edda Conte per questa sentita condivisione del mio scritto, certo di interpretare anche il pensiero di Vito.
RispondiEliminaFranco Campegiani