Amore e catrame
Greta
guarda fuori, attraverso i vetri della finestra, cercando di vedere oltre lo
spettacolo cittadino frenetico che le si presenta ogni mattino.
Preferirebbe
uno scenario naturale, un bel bosco dorato dal sole con prati di smeraldo,
oppure neve mai calpestata, o la distesa del mare che cambia colore solo se
passa una nuvola.
Ma
tutto questo rimane nella sua fantasia.
Qualcuno
se ne è andato dalla sua vita, di botto, come quando un vecchio disco di vinile
viene graffiato dalla puntina che scivola via e cancella la musica, come
un'ultima goccia di pioggia che si concede di cadere da una ramo quando stiamo
aspettando invece, da tanto tempo, una pioggia liberatoria.
Lo
scirocco soffia polline, petali e polvere nell’aria. Attraverso le tende entra
il frastuono del traffico e l’odore di asfalto: lei si isola mentalmente
dal
presente e torna agli anni leggeri e liberi, sospesi sulla soglia dell’identità
e della vita. Greta amava studiare, frequentare l’università,
stare
con gli altri, in particolare con lui… Marcello. Ventotto anni, fragile,
immaturo.
Continuava a ripetere. “La nostra è un’età che bussa alla coscienza non con le
nocche, ma con le unghie”. Ma la coscienza era un’idea, un concetto vaghissimo
per il giovane dal sorriso candido e accattivante, che non si accordava con gli
occhi verde fiume vacui, persi, ai quali l’alcool, forse non solo l’alcool,
aveva già chiesto il proprio tributo. Greta lo amava incondizionatamente. Non
si poneva domande,
non ascoltava
consigli. I genitori nel sentirla parlare di Marcello asserivano che stava
precipitando in una sconsideratezza dadaista. Un grande pittore il padre,
esponeva nelle gallerie più famose; un’esperta di moda la madre, sempre
impegnata con la sua boutique. La ragazza pativa la loro assenza e la rara
presenza priva di ogni forma di tenerezza.
La
verità non cambia nulla di ciò che proviamo: è la grande tragedia dei
sentimenti. Greta lo comprende solo ora.
Per
amore di Marcello, Greta si era annullata completamente e aveva abbandonato
tutto ciò che le dava gioia e soddisfazione: lo studio, i libri, l’Università.
La sua
realtà era naufragata nel fiume degli occhi di Marcello, di verde opaco e polvere
d’oro, che alle volte si riempivano di gorghi, di abissi che si traducevano in
pensieri poco sensati e progetti senza costrutto.
Ma per
lei, cresciuta senza amore, il giovane rappresentava tutto, e lui era
abilissimo a riempirla di parole, tante parole….a cui Greta si aggrappava per
paura di perderne anche solo una, come alla coda di una cometa…
O di
una chimera.
Perché
di quello si trattava, anche se allora non poteva saperlo.
Il
loro momento decisivo fu sulla spiaggia, in una notte di settembre, vicino a
una barca semicapovolta, tra le reti dei pescatori.
Greta
ricordava un cielo pieno di stelle…non ne aveva mai viste tante, e una luna
bianca e immensa che illuminava il loro sogno.
E poi,
il ricordo cambiava: lei cercava un momento speciale per dirglielo, ma quel
momento non arrivava mai, perché Marcello diventava sempre più sfuggente.
Quando
finalmente gli aveva detto del bambino, lui aveva sorriso come sempre, in quel
modo così accattivante. Ma i denti bianchissimi ricordavano un ghigno da lupo,
e gli occhi verdi erano sempre più assenti.
“Devo
metabolizzare l’idea, piccola, dammi tempo”, si era limitato a dire dopo alcuni
istanti che le erano sembrati infiniti. Non poteva accorgersi che la giovane
stava morendo di mille morti in un solo secondo. Aveva perso tutto per
rimanergli accanto, per provare a costruire qualcosa con lui e i loro giorni
erano scanditi dall’improvvisazione. Lei lavorava come commessa in un pub e
viveva nella stanza in sub - affitto che Marcello aveva procurato senza
chiedere come riuscivano a pagarla. Si era allenata a non fare domande. La
grande casa dei genitori, i quadri del padre, i modelli della mamma le
ossessionavano le notti. Per un amore che stava inventando si era allontanata
definitivamente da loro. Li sentiva una o due volte al mese, con distacco e
dolore.
Dopo
la frase sibillina l’uomo la strinse a sé e le sussurrò con fiele e dolcezza:
“Il sesso e i soldi sono le scarpe che servono per camminare nella vita.
L’inganno sta nell’aver trasformato il sesso nella ragione del viaggio”. Greta
si accorse di avere accanto un essere scivoloso come un’anguilla. Il bambino
non gli interessava e voleva indurla a stare dalla sua parte, come sempre. Lei,
invece, era smarrita: una pietra, una foglia, una porta spalancata sulla paura.
Di
colpo si rese conto di non aver mai dato segni di personalità. A ventisette
anni era una bambola di stracci in balìa di un drogato. La notte sul mare gli
errori le caddero addosso con una violenza brutale e l’alba le regalò una nuova
consapevolezza. Avrebbe avuto il bambino. E Marcello sarebbe scomparso dalla sua
vita. Nulla distrugge più dell’autocommiserazione e della dipendenza.
Lo
guardò mentre le sue placide palpebre si schiudevano nelle fiamme del nuovo
giorno e disse: “ Da oggi so qual è la ragione del mio viaggio. Non mi
interessano il sesso e i tuoi soldi sporchi. Ho un lavoro e troverò una
sistemazione. ‘Mio’ figlio nascerà”.
Greta
si guardava imbambolata allo specchio appeso alla parete, osservava il sangue,
denso e nero, colarle giù tra le cosce sode e abbronzate.
Nelle
mani tremanti un ferro da calza. Si era bucata dentro, fino alle viscere, come
facevano le mammane di un secolo fa per procurare un aborto.
Nello
specchio si riflettevano i suoi occhi, non più limpidi e azzurri ma verde
bottiglia, con un fondo limaccioso, di fanghiglia. Le sembrava di sentire un
olezzo di palude, di volatili imprigionati in un impasto mortale.
Come
lei.
Si
svegliò con un urlo, coperta di sudore, istintivamente mise le mani sul grembo,
come a rassicurare il suo bambino.
Si
alzò, era il suo giorno di libertà e la doccia serviva a lavare mille volte
quel sangue, come se fosse davvero sgorgato da lei.
Si
ripromise di fare presto la valigia e lasciare la stanza, avrebbe trovato
qualcos’altro, aveva già letto un annuncio di una signora che affittava una
camera della sua grande casa.
Le
soluzioni arrivano quando le vuoi, altrimenti resti a girare a vuoto, come un
criceto sulla sua ruota, come aveva fatto lei per paura di perdere Marcello.
Marcello….
perchè si sentiva così inquieta quel giorno al solo pensarlo?
Non
aveva ancora chiamato…il cellulare vibrò, non era lui. Era la polizia.
Meccanicamente
ascoltava la telefonata che, con un tono assolutamente asettico, le comunicava
(il suo era l’ultimo numero che era partito dal cellulare di Marcello) che il
giovane era stato trovato morto di overdose in uno scantinato e che….
Greta
si ripiegò su se stessa e cadde in ginocchio, il cellulare finì sul pavimento e
svenne battendo la testa. Comprese che stava succedendo veramente, lui trascinava
lei e la sua creatura nel suo mondo oscuro, fatto solo di nebbia grigia…
I
desideri non bastano a eludere la realtà della vita. Nel torpore che seguì lo
svenimento si rivide quando lo conobbe: indomabili riccioli scuri, le fossette,
il sorriso facile, quel certo modo di inclinare il mento e di scrollare in modo
baldanzoso le spalle. Si era trasformata. In soli cinque anni. Il dolore al
ventre diventava reale, fortissimo. Greta pensava alla sofferenza per la
notizia ricevuta. Marcello si era dissolto nel suo universo di fumo, alcool,
droga e amore, sì amore, in quanto non avrebbe mai potuto affermare di non
averlo amato e di non soffrire per la sua fine disperatamente. Sapeva di dover
comunicare la notizia ai parenti e cercò sul cellulare il nome del padre del
giovane, un uomo distrutto dalla china presa dal suo unico figlio, una brava
persona, come spesso accade. Chiamò e cercò di trattenere i singhiozzi senza
riuscirci. Piangeva come una bambina e peggiorò la condizione del pover’uomo,
travolto da un dolore che lo paralizzava. Greta mentre lo salutava pensò
all’espressione ‘mi si è spezzato il cuore’ e comprese il significato reale
della frase: al cellulare le era sembrato di aver sentito il suono di un vetro
rotto e aveva la percezione che l’essenza del suo essere si stesse disperdendo,
lasciandola vuota, senza memoria del passato, senza coscienza del presente, e
purtroppo, senza speranza per il futuro. I dolori al ventre aumentavano. Erano
contrazioni violente. Le lenzuola si sporcarono di quel sangue scuro, denso,
che poche ore prima aveva sognato. La vita continuava a scorrere come un
respiro e Greta sperimentava quanto la sofferenza potesse trasformare,
scorticare l’anima. Il bimbo stava tornando nel suo cielo, sembrava proprio che
la morte di un angelo cominciasse quando gli altri non si mostravano in grado
di sognare il suo arrivo. La ragazza non aveva la forza di chiamare
un’ambulanza, era squassata dai singhiozzi, si distruggeva per due amori
impossibili. Una radice può attecchire anche nel catrame, basta una micro -
fessura per far penetrare la vita al suo interno con la volontà, ma poi la
piccola pianta va irrorata, seguita ogni giorno… presumere che dia una talea è
spingersi troppo lontano con l’immaginazione.
Greta
prese il cellulare e telefonò alla madre.
Riuscì
solo a singhiozzare “Mamma!..Mamma!.. da quanto tempo non la chiamava così?
Quell’assurdo vezzo di farsi chiamare con il nome di battesimo, da parte di
Enrica, perché tutto nella loro vita doveva essere moda, stile, forma.
Greta
riuscì a darle il suo indirizzo, poi perse i sensi di nuovo.
Si
svegliò in ospedale, accanto le era seduta la bella signora elegante dai
capelli lisci e castani e dallo sguardo dolce..
Nel
catrame c’era una micro fessura, non era mai sparita. Era lì, in attesa, di un
seme, di acqua sorgiva, di una nuova occasione di vita.
Di una
nuova vita.
E il
viso che vide Greta vicino a sé era completamente diverso.
Travolto
dalle lacrime e dall’emozione per aver ritrovato la sua piccola dai tanti “no”
imbronciati e dai riccioli sempre arruffati, la sua bambina testarda e volitiva.
Enrica
non sapeva che Greta si era svegliata e continuava a ripetere “Mamma è qui,
mamma è qui”.
Una
mamma non abbandona mai, ora la figlia lo sapeva.
Lo
sapevano tutte e due. Enrica ci sarebbe stata anche quando non avrebbe abitato
più sulla terra, non avrebbe lasciato mai, mai più la sua ragazza ribelle.
Un medico
entrò per raccomandare riposo assoluto e le mani di madre e figlia, strette in
una morsa convulsa, dovettero separarsi.
Il
dottore riflettè anche sul fatto che la signora era stata davvero tempestiva
nei soccorsi e che per un vero miracolo il bambino era salvo… E’ vero, il
miracolo era doppio, ma portava un solo nome: Amore.
Greta,
in stato di torpore e di choc, ricevette anche i poliziotti, che dovevano
interrogarla sugli ultimi due giorni di Marcello. “Non ero con lui. L’ho
lasciato all’alba di sabato sulla spiaggia”, rispose, mentre il mondo riprendeva
a vacillare. Quell’uomo, che aveva sempre rappresentato una ferita, era diventato
parte integrante di lei, come un soffio al cuore. Nel ricordarlo avvertiva solo
il sapore quotidiano dell’inganno: di tabacco, alcool e altro. Sapore di
desiderio e di disperazione … e di una tristezza fatale. Gli agenti incalzavano:
“Lei non sa nulla dello scantinato dove è stato rinvenuto il corpo?” La giovane
sentiva la vista annebbiarsi e disse meccanicamente: “Mi ha telefonato un
poliziotto, ero a casa, e rischiavo l’aborto” . La madre si impose affinchè la
lasciassero in pace. “Signorina dovrà comunque deporre ancora. La vittima le ha
telefonato due ore prima della morte”. Ogni parola contribuiva a farle perdere
il controllo. Il dolore era sempre più pesante e solido, lo avvertiva al centro
del petto. E tornarono le contrazioni, più violente di prima. La madre l’aveva
ripresa nel grembo, ma la morte di Marcello aveva riaperto la cerniera lampo
del dramma. Cadde la membrana che la separava dal più potente urto emotivo
della sua vita.
Enrica
l’aveva salvata, i ricordi la annientavano. Il bimbo era stato concepito mentre
la donna combatteva contro un naufragio. E nonostante le parole di Marcello non
aveva mai pensato che la loro fosse una storia di sesso e soldi sporchi.
Le
donne sanno inventare l’amore .
Mentre
osserva dietro le tende della casa dei suoi il traffico della città, continua a
temere di non aver difeso abbastanza quella radice cresciuta nella micro -
fessura. E’ trascorso più di un anno. Non ha ripreso a vivere. Sa che deve
farlo. Sa che continuare a guardare indietro non serve a nulla: ci è già stata.
E ha visitato l’inferno, anche se è ancora convinta di aver conosciuto un
grande amore, un sentimento che ritorna in una tempesta di colori, di forza, di
sensazioni. Lo strazio più grande va al saccheggio del suo ventre. Potrà
ricucire la trama della sua giovane esistenza?
Il
rumore del mondo dei vivi è forte; le risate si alzano come vapore, ruotano
intorno alle finestre.
Freme,
inizia a piangere, e sente che qualcosa di nuovo comincia a muoversi nel suo
cuore.
Loredana D’Alfonso e Maria Rizzi
Ringrazio di cuore Nazario per aver pubblicato il racconto scritto a quattro mani con la mia Lory in questo periodo. Il tempo sospeso si sconfigge solo continuando a coltivare le proprie passioni. Da molti anni mi dedico ai testi scritti con altri, perché rivelano sacrificio personale e, al tempo stesso, arricchimento reciproco. Ringrazio anche la mia amica carissima e li stringo forte forte entrambi.
RispondiEliminaRingrazio di cuore la mia amica Maria per questa bellissima esperienza di scrivere un racconto " a quattro mani".
RispondiEliminaE io direi anche "a due cuori"...
Ci siamo alternate nella scrittura ed è stato emozionante, il racconto veniva su come un vaso modellato dalla creta.
Ringrazio e mando un caro abbraccio al nostro Condottiero che permette questi incontri e favorisce questi scambi preziosi.
La sua Isola è veramente una gemma preziosa per tutti noi!
Loredana D'Alfonso
Care "ragazze"! Complimenti per la perfetta intesa nella stesura di questo racconto. E' drammatico e commovente , di una veridicità che pare una realtà di vita vissuta.E' scritto con stile sobrio, elegante , privo di lungaggini alla ricerca del sensazionale; tutto scorre senza indugi o tentennamenti che possano rivelare un alternarsi di autore....insomma brave! (ma è proprio necessario dirvelo?)
RispondiEliminaAuguri e dunque avanti col prossimo!
Vi abbraccio!
Edda.
Grazie Edda mia adorata! Sei un raggio di sole che illumina la vita ogni giorno. Con le amiche scrivere a due cuori è più facile, in quanto i diversi contributi si incastrano senza difficoltà. Ma è stimolante anche con gli amici dà il senso della sfida. Ci esercitiamo e ci teniamo avvinte, tesoro, come facciamo con te leggendoti, commentandoti, abbracciandoti idealmente...ecco ora lo faccio!
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