Pagine

venerdì 25 febbraio 2022

CINZIA BALDAZZI LEGGE: "RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA" DI IVO NARDI

 


Cinzia Baldazzi legge “Riflessioni sul senso della vita” di Ivo Nardi


Cinzia  Baldazzi,
collaboratrice di Lèucade


L’amore, l’individualismo, la sofferenza, la religione, la morte e molto altro. Nel volume Riflessioni sul senso della vita, Ivo Nardi pone una serie di domande a protagonisti della cultura e del pensiero di oggi: scrittori, filosofi, scienziati, docenti di storia delle religioni, maestri di meditazione, traduttori, esoteristi, guide spirituali, cineasti, psicologi.

Tempo fa pubblicai sulla rivista “Scenario” una recensione al bel lavoro di Nardi. Oggi, l’autore ha voluto riprendere quel mio scritto come prefazione alla seconda edizione del libro. Ripropongo qui di seguito il testo della mia prefazione/recensione, nell’auspicio che possa costituire un invito alla lettura di Riflessioni sul senso della vita, testo per sua natura singolare e avvincente.

https://www.riflessioni.it/riflessioni-sul-senso-della-vita-libro.htm

 

Ivo Nardi

Riflessioni sul senso della vita

Pubblicazione indipendente, 2022

pp. 250, € 14,90 edizione cartacea, € 7,99 e-book

 

 

Le domande di Ivo Nardi, le risposte della cultura e del pensiero

Appunti su “Riflessioni sul senso della vita

 

di Cinzia Baldazzi

 

   Ogni teoria critica, culturale e concreta, trova origine nel superamento dialettico della convenzionale opposizione tra materialismo e idealismo. Essendone sempre stata convinta, in una simile atmosfera di idee sono perfettamente d’accordo con la posizione di Ivo Nardi, fondamento della sua interessante raccolta di interviste Riflessioni sul senso della vita basata su un nodo logico imprescindibile: virtuale e reale, per inserirsi - e noi con loro - nello sviluppo quotidiano del pensiero capace di animarlo e contestarlo, è indispensabile si incontrino e confrontino, in misura il più possibile ampia, esenti da pregiudizi o da a-priori remoti dal complesso considerato.

   Almeno dal Novecento, è apparso chiaro quanto qualsiasi società possieda una propria specifica struttura libidica, vale a dire una particolare combinazione di bisogni umani fondamentali e impulsi sociali, in grado di dare spazio a una vasta gamma di intenzioni, desideri, aspirazioni, a metà strada, appunto, tra il realizzato e il divenire.

   Del resto, nella situazione attuale di informazione e comunicazione mass-mediale, la “dottrina delle giuste soluzioni”, da molti filosofi del passato indicata come cultura ingenua - identificata con la sapienza e ragionevolezza degli anziani, l’oracolo dei poeti, la cultualità dei sacerdoti - necessita di essere ridimensionata: essa infatti convergeva nell’attribuire supremazia ai valori ereditati dalla tradizione, mentre oggi essi vanno arricchiti (essendo prima stata allontanata dal giudizio la sua veste arcaica religiosa di stampo dogmatico) mediante una riflessione critico-soggettiva, collettiva, allargata. L’etica, in altri termini, non dovrebbe persistere nel cercare di ottenere una saggezza immediata, ma rinascere in qualità di criterio e attenzione psicologici, esistenziali, politici, economici, etc: avviata naturalmente in un profilo di partenza di esperienza interiore, nel proprio Io conscio.

   La verità in merito ai quesiti sul modo di essere o di voler essere di ciascuno deve insomma spezzare l’isolamento individuale e inoltrarsi nello scambio di opinioni mediale. Pertanto Nardi chiede ai suoi interlocutori, diversi per età, disciplina, professione: «Qual è il senso della vita?». Operazione condotta avendo alle spalle, e tuttora disponibile, il consistente materiale accumulato nei lunghi anni di gestione e direzione del portale www.riflessioni.it (creato con lo slogan «Dove il Web Riflette!»). Ancora adesso, in fondo alle pagine del sito, campeggia il sottotitolo riassuntivo della mission: «Per Comprendere quell’Universo che avvolge ogni Essere che contiene un Universo». In altre parole, l’inconscio collettivo diviene fattore di paragone indispensabile della dimensione privata, dell’ambito personale: per intendere, per intendersi.

   Lo studioso Maciej Bielawski suggerisce: «Il senso della vita è stare dentro tale domanda». E in effetti la risposta, per risultare adeguata - interessando, a rigore, la sfera intera dell’idea cosciente - implicherebbe innanzitutto la delimitazione del punto di passaggio tra la fissazione inconscia (analizzata da Charles Mauron), legata a traumi originari (nel nostro caso, di condizionamento del pensiero, di pregiudizi ancestrali), e la tensione (sempre inconscia) a svincolarsi da essa: soluzione davvero improbabile da trovarsi in campo psicanalitico, e soggetta a diversi ed equivalenti esiti.

   In una prospettiva analoga, Carlo Sini richiama Chauncey Wright, filosofo statunitense dell’800, quando ammoniva «La vita basta a se stessa»: a me ricorda di nuovo Mauron, nelle righe dedicate alla descrizione della fonte interiore coniugata con il concreto nella poetica del romantico francese Gérard de Nerval: «La immagino simile a una nebulosa, a una molecola organica assai complessa». Prosegue Sini: «Non c’è bisogno di aggiungere sensi posticci alla vita: è più che sufficiente ciò che accade ogni giorno».

   Ed ora la questione centrale nella libido di ognuno, in cima all’indice di Ivo Nardi: in cosa consiste la felicita? Ha ragione Theodor Adorno alla metà degli anni ’40: la metodologia strumentale per rivelare l’identità dell’essere felici non è diversa dall’itinerario ipoteticamente opportuno a scoprire “cosa siamo” (per lui, la “verità”): «Non la si ha, ma ci si è. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile».

   In sintonia con il lascito adorniano, rivissuto e arricchito da oltre mezzo secolo di ricambio storico, si presenta l’osservazione di Dacia Maraini: «La felicità non la si riconosce mai quando la si sta vivendo, ma sempre dopo. È una consapevolezza postuma. Salta fuori come rimpianto, e fa dubitare della sua reale esistenza». Il poeta Valerio Magrelli rievoca Manzoni, il quale vedeva la felicità indissolubile dall’impatto della sua scomparsa. «Nella felicità», afferma Magrelli, «si compie il nostro proprio anelito all’esaudimento». E propone l’esempio dell’estate, «il periodo più dolce dell’anno, che paradossalmente nasce morendo, diminuendo, perdendo luce. L’estate nasce dissanguandosi poiché, proprio dal momento in cui inizia, la durata della luce comincia a diminuire. L’estate è la propria fine. È la coincidenza di perdita e ottenimento».

   Riflessioni sul senso della vita scaturisce da un lungo e paziente lavoro di scavo compiuto da Ivo Nardi tra il 2009 e il 2014, esponendo dieci problematiche esistenziali a oltre cento personaggi della cultura, di cui alcuni noti al pubblico: da Umberto Galimberti a Corrado Augias, dal cardinale Ersilio Tonini a Massimo Cacciari, da Giorgio Faletti a Margherita Hack fino a Gabriele La Porta e Giorgio Odifreddi.  Le risposte selezionate nel libro provengono comunque in massima parte da personalità poco conosciute, tuttavia meritevoli di approfondimento: docenti di storia delle religioni, maestri di meditazione, traduttori, esoteristi, scrittori, guide spirituali, cineasti, psicologi.

   Luis Sepúlveda, coinvolto sulla naturalità o necessità di coltivare un progetto esistenziale, stabilisce: «Il mio è avere una vita da uomo giusto, decente, solidale, e questo è già un progetto assai grande». Personalmente, non sarei in grado di andare avanti in assenza di un progetto, poiché nei progetti ritengo vivano la loro attività ludica di maggior importanza le mie fantasie da adulta. Ricorro ancora a Mauron: «Nell’immaginazione l’anima che sta costruendosi fa e rifà la propria storia, mescolando ricordo e progetto, interiore ed esteriore. D’altronde l’anima comincia prestissimo, non soltanto a costruire, ma a riparare se stessa, poiché i contatti alterano e guastano gli oggetti interni, le separazioni vi scavano vuoti, l’odio saccheggia, la paura pietrifica parti più o meno estese dell’universo interiore e quindi della personalità».

   Nell’infanzia, dunque, l’immaginazione esercita quella funzione restauratrice in noi stessi per acquistare il “diritto al divenire” di quelle fantasie senza difese per affermarsi che non siano la loro potenza. In seguito, quando le possibilità realistiche di affermazione crescono, le fantasie, i desideri, non debbono però smarrire l’aspetto ludico, costruttivo, posseduto nell’età evolutiva, diventando un gioco nel tempo. Erri De Luca soggiunge: «Non credo nei progetti, nei programmi, sono giochi da adulti. Preferisco quelli con la sabbia, che un’onda più robusta cancellava, fatti d’estate a riva». Da noi bambini.

   La proposizione degli interrogativi stimola gli intervistati a misurarsi con temi apparentemente generali, al contrario abbastanza articolati: cos’è l’amore, il perché della sofferenza, gli obiettivi dell’esistenza, i rischi dell’individualismo, il terrore dell’ignoto e l’aiuto di religioni e filosofie. Dentro e fuori il libro, Ivo Nardi sembra avere le idee già chiare («Credo che non porsi domande sul senso della vita significhi rinunciare alla possibilità di comprendere pienamente la nostra esistenza»), al punto - presumo - di doverlo avvicinare a quanto ha confessato l’ontologo Leonardo Caffo: «Per i filosofi le domande sono sempre meglio delle risposte», in linea con il lavoro quotidiano di certa psicanalisi.

   Non in chiusura, bensì a metà del sommario, l’autore ha piazzato la carta migliore. Nardi incita a superare i confini precostituiti (e, se possibile, io accetto la sfida) con l’istanza assoluta, indiscutibile e imprescindibile. All’enigma «Cos’è, per lei, la morte?», l’attore e drammaturgo Moni Ovadia ribatte: «La morte è la destinazione della vita. Muore solo chi ha vissuto». E ricorda il memento mori dei frati: bussando alle porte e rammentando l’ineluttabilità del morire, invitavano a una vita sensata.

   Ma l’estrema conclusione, nella sua assolutezza, non può riguardare solo una parte del creato, ovvero gli uomini. Si determina infatti ovunque nel contesto dell’esistente. Da scienziato, Roberto Vacca la designa «fenomeno noto di ogni entità biologica. Per gli esseri umani, la morte del corpo è inevitabile e prevista».

   Sigmund Freud, nel saggio Al di là del principio del piacere, scrive: «Se noi accettiamo come verità, non passibile d’eccezioni, che ogni cosa che vive muore per cause interne - tornando allo stato inorganico - allora dovremmo anche dire che “la mèta di ogni vita è la morte, e, guardando ancora più indietro, che “le cose inanimate preesistevano a quelle vive”».

   Chi potrebbe negarlo? Infine, secondo il mio grande Ludwig Wittgenstein, sapientemente citato da Alberto Viotto, «La morte non è un evento della vita. La morte non si vive».

 

 

 

 

 

 

 

21 commenti:

  1. Cinzia Baldazzi entra nella lettura "Riflessioni sul senso della vita" di Ivo Nardi, sempre più attuale, per spingerci a nuove riflessioni in questo momento storico. Come possiamo non sentirci colpiti da quanto sta accadendo in queste ore tra Russia e Ucraina? Ecco perché tutti dovremmo interrogarci su quale sia il vero senso della vita. Cinzia sottolinea quanto dice il Nardi nel non fermarsi all'Io interiore come individuo unico, ma sondare lo scambio di idee e opinioni altrui.
    Cinzia Baldazzi coglie l'essenza delle domande che Ivo Nardi pone a personaggi di cultura e pensieri diversi e sottolinea che ognuno dà alla vita - propria o altrui - un senso diverso.
    Dal momento della nascita siamo destinati a morire, mentre nel mezzo c'è una gamma infinita di problematiche esistenziali. Un senso positivo è attribuito alla felicità che capiamo solo dopo che l'abbiamo già vissuta, non nel momento in cui la stiamo vivendo. "Viviamo la vita. La morte non si vive" (Alberto Viotto).
    Complimenti a Nardi per la scelta dell'argomento e a Cinzia per la prefazione del libro.
    Gianna Costa

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La ringrazio per i complimenti!
      Ivo Nardi

      Elimina
    2. Cara Gianna, condivido le tue opinioni, innanzitutto quella ispirata a un celebre passo delle lettere di Seneca: «Cotidie morimur: cotidie enim demitur aliqua pars vitae et tunc quoque, cum crescimus, vita decrescit» (“Ogni giorno moriamo, ogni giorno si perde una parte della vita e anche quando cresciamo la vita diminuisce”).
      Ma l’importante in tutto ciò - e tu lo sostieni - è considerare quanto la felicità sia compresa “solo dopo che l’abbiamo già vissuta”, in un rapporto di elaborazione successivo a essa. Uno dei maestri dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte (sai bene come la corrente di pensiero legata a quell’ambiente culturale sia per me un “must”), ossia Max Horkheimer, insieme a Theodor Adorno ne “La dialettica dell’Illuminismo” ha scritto: «Perché la felicità diventi sostanziale e dia tono all’esistenza occorrono il ricordo che identifica, la conoscenza che placa, l’idea filosofica o religiosa, insomma il concetto. Ci sono animali felici, ma come è breve il respiro di questa felicità!».
      Grazie ancora per l’attenzione che hai riservato all’autore e a me.

      Elimina
  2. Risposte
    1. Cara/o, non leggo il suo nome, ma l'autore e io la ringraziamo per la stima dimostrata.

      Elimina
    2. Non leggo il tuo nome, ma comunque grazie.

      Elimina
  3. Certo: muore solamente chi ha vissuto. Ma io dico, come i grandi Saggi affermano: Nessuno nasce, nessuno muore. l'immortalità è una condizione "terrena", l'eternità non è una condizione, ma è l'essenza di ciò che non è. Daniele Zangari

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È giusto, caro Daniele: l’uomo muore sempre - lo sosteneva anche Erich Fromm - prima di essere nato del tutto: qualcosa “che non è stato” rimane in ogni caso in noi quando varchiamo la soglia dell’ultraterreno. Di conseguenza, nel tentativo di avvicinarsi, anche se in maniera impropria, all’eternità, cioè l’“essenza di ciò che non è” (come suggerisci tu), suppongo sia utile tentare di vivere e nascere in continuazione.
      In epoca rinascimentale, Francesco Guicciardini dichiarava: «È certo gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fussimo certi avere sempre a vivere. Non credo sia la ragione di questo perché ci muova più quello che è innanzi agli occhi e che apparisce al senso che le cose lontane e che non si veggono: perché la morte è propinqua e si può dire che per la esperienza quotidiana ci apparisca a ogni ora. Credo proceda perché la natura ha voluto che noi viviamo secondo che ricerca el corso overo ordine di questa machina mondana: la quale non volendo resti come morta e sanza senso, ci ha dato propietà di non pensare alla morte, alla quale se pensassimo, sarebbe pieno el mondo di ignavia e di torpore».
      Ancora grazie, anche da parte di Ivo Nardi, e buon lavoro a tutti.

      Elimina
  4. Tlon cura l’edizione di “Riflessioni sul senso della vita”, di Ivo Nardi, nel 2016. Lo ristampa quest’anno, visto che c’è molto, ma molto da riflettere; e non è necessario essere uno specchio per farlo senza rimandare un’immagine, comunque virtuale, da restituire alla realtà, la quale si rimira o, se preferite, si dileggia osservandosi.
    Da allora, di acqua ne è passata sotto i ponti, come ebbe a dire Remigio Zena nel bel libro “La cavalcata”, mentre osservava con occhi straniati le eccentricità di una Palermo che … eccome se ne vede di acqua! …
    Leggendo il saggio di Cinzia Baldazzi sul ricco volume dell’autore che le conche abruzzesi prestano a Roma, solo le arcate del ponte restano immutate nel loro esser superiori rispetto al tempo che fluisce nel sottostante greto della vita.
    Ricordate “Le interviste impossibili”? Un fortunato “format” televisivo che riempì il mezzo dei “settanta”? Beh, non è necessario accendere lo stabilizzatore dei televisori “d’antan”; è sufficiente sfogliare i “verbali” di Ivo Nardi per accorgersi che, usando l’intervista, - resa possibile stavolta dal “format” più bello che esista, ossia il libro - mettere d’accordo scrittori, filosofi, scienziati, docenti di storia delle religioni, maestri di meditazione, traduttori, esoteristi, guide spirituali, cineasti, psicologi su qual è il senso della vita è un falso obiettivo, nonché pregiata e non so quanto agognata chimera.
    Il vero scopo che si prefigge l’autore non è tanto dare una risposta a questa domanda, quanto attenersi al suggerimento dello studioso Maciej Bielawski: «Il senso della vita è stare dentro tale domanda»; occorre quindi rimboccarsi le maniche e trovare il verbo giusto da anteporre al “senso della vita” stesso.
    Ivo Nardi, tanto per non sbagliare, prima RIFLETTE, corroborando con letture l’idea che con garbo maieutico egli coltiva tra sinapsi e memoria; poi CLASSIFICA, facendosi aiutare da fior di personalità che … idee del senso della vita? … Ah, se ce ne hanno!
    L’espediente funziona, e Ivo Nardi trae le sue conclusioni, affidandosi a Carlo Sini: «Non c’è bisogno di aggiungere sensi posticci alla vita: è più che sufficiente ciò che accade ogni giorno». Dunque Nardi INSEGUE nel suo divenire il senso della vita, cercando la felicità, questo indispensabile accessorio - perdonatemi l’ossimoro! - al primo posto fra le istruzioni per l’uso quando si viene al mondo.
    Soccorre Theodor Adorno: «Non la si ha, ma ci si è. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile». Ivo Nardi EDONIZZA dunque il senso della vita, in modo più cirenaico che epicureo; “step by step”, non già una volta per sempre.
    Ma saggiamente alla fine fa appello a Luis Sepulveda: «Il mio è avere una vita da uomo giusto, decente, solidale, e questo è già un progetto assai grande». E così STABILIZZA il senso della vita. E vi pare poco?
    Frattanto, amore … sofferenza … esistenza … individualismo … ignoto … berciano rumorosamente intorno. Come la Morte, con il digrignare dei denti e il vorticare del suo falcione, immancabile, appunto se si ragiona sul senso della vita, nel cui “dramma” (inteso da δράω, “sono sollecito, attivo”) essa precede indubitabilmente la chiusura del sipario.
    Moni Ovadia ribatte: «La morte è la destinazione della vita. Muore solo chi ha vissuto». E ricorda il “memento mori” dei frati. Probabilmente Ivo Nardi reagisce come Massimo Troisi nel film del 1984 “Non ci resta che piangere”: «Ora me lo segno!».
    Grazie, Ivo. Grazie, Cinzia. Massimo Moraldi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per la sua attenta analisi.
      La invito a leggere la postfazione al mio libro che troverà su questa pagina https://www.riflessioni.it/senso-della-vita/postfazione-francesca-bianchi.htm
      Grazie ancora,
      Ivo Nardi

      Elimina
    2. Grazie, Massimo, da parte dell’autore e mia, per questo tuo accurato commento, quasi una sinossi del libro. Alle voci illustri da te ricordate a proposito di vivere il senso della vita cercando di scovarne il perché, posso solo aggiungere quella di Giacomo Leopardi che nei “Pensieri” scriveva: «La morte non è male: perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza».
      Cerchiamo quindi, da parte nostra, senza sancire alcun patto faustiano, o seguire le orme di Dorian Gray, di rimanere “per sempre giovani”. Di quale canzone sarà mai il titolo? Questa volta lascio a te indovinare…

      Elimina
    3. "May God bless and keep you always
      May your wishes all come true
      May you always do for others
      And let others do for you
      May you build a ladder to the stars
      And climb on every rung
      May you stay forever young
      May you stay forever young
      May you grow up to be righteous
      May you grow up to be true
      May you always know the truth
      And see the light surrounding you
      May you always be courageous
      Stand upright and be strong
      May you stay forever young
      May you stay forever young
      May your hands always be busy
      May your feet always be swift
      May you have a strong foundation
      When the winds of changes shift
      May your heart always be joyful
      May your song always be sung
      And may you stay forever young
      May you stay forever young" (Robert Allen Zimmerman)

      Elimina
    4. Caro Massimo, sono certa che l'auspicio di Bob Dylan continui a essere valido ancora oggi. Chi, come te, ha commentato il libro di Ivo Nardi fa parte di quella generazione che per prima in Italia - anno più, anno meno - ha ascoltato e apprezzato Dylan. Un autore che a pieno diritto può essere annoverato tra coloro che cercano di spiegare "il senso della vita". Grazie.

      Elimina
  5. Riflessioni chiare su temi sui quali l'uomo s'interroga da sempre. Cinzia, con la sensibilità che la contraddistingue ne dà un assaggio invitando alla lettura di un libro che contiene il "senso della vita".

    RispondiElimina
  6. Nel controverso momento di questi giorni LA MORTE si presenta con la nostra compiacenza di essere vittime di noi stessi. Non ho il pensiero sereno per argomentare, anzi più volte e quasi da sempre il mio pensiero si rivolge a questo nostra vita a cosa sia l'anima e se noi siamo coscienti di essere parte dell'universo. Lascio una mia poesia tra le tante su questo argomento che tormenta l'uomo e il suo pensiero. All’ombra nascosi il volto e alla luce l’anima
    la morte quiete di pace e di dolore
    devastava la presenza del vivere .
    Crudele è amare nel giorno che non vedi
    dove sorge il sole il cuor non abita
    del domandar non puoi
    il silenzio vigila difende i suoi morti .
    Ombre e luci fin dove fuggite
    il respiro è sepolto nella terra del riposo .
    Nelle profondità inesplorate
    l’anima si processa chiede implora
    che del niente rimanga un lume acceso .
    Sopra la lapide un nome una data
    e un fiore per non dimenticare l’amore
    fragile eclissi di luce e di morte.

    RispondiElimina
  7. Forse la felicità consiste nel riuscire a capire il senso della vita. Una domanda che l’uomo si è sempre posto fin dall’antichità ed è stato così difficile trovare una risposta che, ancora oggi, nessuno ci è riuscito.
    Veniamo al mondo per morire e questo ci pone in una condizione di precarietà, di attesa, di insicurezza che neppure la più bella delle vite e i migliori orizzonti raggiunti possono appagare e permetterci di assaporare la felicità.
    La lettura come sempre sapiente e colta di Cinzia Baldazzi induce il lettore a trovare, in questo libro di Ivo Nardi, qualche risposta al difficile quesito, in modo da aiutarlo a capire quel “perché” che da sempre non trova una risposta.
    Complimenti davvero sinceri a Cinzia e all’autore.
    Daniela Vigliano

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Il venire al mondo per intraprendere questo cammino che si compie tra la nascita e la morte, è già di per sé il senso della vita. Qual è il fine ultimo della nostra esistenza?
      L’essere umano è strutturato per evolversi intellettualmente e socialmente, il suo fine ultimo dovrebbe essere quello di migliorare sé stesso e di conseguenza migliorare la società, quindi vivere la vita con questa consapevolezza.
      Tutti siamo in questo mondo per lo stesso motivo, percorrere un viaggio irripetibile di cui conosciamo già l’ultima fermata e per questo è saggio non sprecare questa unica, esclusiva opportunità.
      Dovremmo fare in modo che questa vita possa bastare a sé stessa, una vita fondata nel rispetto della propria e altrui esistenza."
      Grazie Daniela per i complimenti,
      Ivo

      Elimina
  8. Non leggo il suo nome, ma ringrazio anche per conto dell'autore per le sue parole.

    RispondiElimina
  9. Antonio Rolando Tatulli4 marzo 2022 alle ore 10:51

    Gentilissima Cinzia, mi complimento ancora una volta per la notevole competenza e per la bellissima recensione di "Riflessioni sul senso della vita" di Ivo Nardi.
    Nel mio piccolo posso provare a riflettere su temi di così grande importanza. Penso che nelle società moderne, con la globalizzazione, dovremmo avere a che fare con il principio di fraternità. L'abbondanza di informazioni ci rende infatti responsabili di ciò che sappiamo e se non diventiamo sensibili alla fraternità diventiamo immorali e colpevoli.
    Questo è quello che penso.
    Un abbraccio.
    Antonio Rolando Tatulli

    RispondiElimina
  10. Simone Luca Celano7 marzo 2022 alle ore 10:05

    La recensione di Cinzia Baldazzi a “Riflessioni sul senso della vita”, come anche le domande poste dall'autore Ivo Nardi, aprono scenari e interrogativi molteplici e molto soggettivi. Ognuno di noi crede di dare la corretta definizione, interpretazione o, perlomeno, quella più vicina alla propria visione della vita e al senso e ai fini della stessa. Per me l'interrogativo più grande è: i tiranni - e con questo termine abbraccio, a largo spettro, la maggior parte dei protagonisti (al negativo) del secolo scorso e degli ultimi decenni - sicuramente hanno creduto di fare il giusto anche quando emanavano leggi razziali o decretavano genocidi in virtù di chissà quale superiorità o arroganza di un popolo rispetto a un altro. La cosa ancora peggiore è quando gli ideali e i pensieri di questi fantomatici leader vengono abbracciati da chi li sostiene. A questo punto, il senso della vita qual è? Prevaricare gli altri? Deportarli in campi di sterminio? Commettere infanticidi? Invadere stati limitrofi? Eppure, sebbene il senso della vita non sia questo, per alcuni lo è. Questo è il dramma!

    RispondiElimina
  11. È un tema appassionante. Bravo Ivo Nardi e brava Cinzia Baldazzi. È un tema sempre attuale, che ha risvolti infiniti ed è bene trattarlo, è bene averne consapevolezza. Se è vero, come è vero, che della vita conosciamo l'ultima fermata è anche vero che non sappiamo quando arriverà quell'ultima fermata. Poi, alla fine, nonimoiets né conoscere quest'ultima fermata né avere una risposta, che comunque non ci può essere. Il fine ultimo è acquisirne consapevolezza, per liberarci dai pesi inutili che ci portiamo appresso, da ogni cosa negativa, che condiziona la nostra vita e quella di chi ci sta accanto e la rende peggiore. Solo attraverso la consapevolezza possiamo essere più felici, indipendentemente dal fatto che abbiamo capito o meno perché siamo al mondo. Grazie ancora a Ivo Nardi e a Cinzia Baldazzi, che ci aiutano nella ricerca di questa felicità.

    RispondiElimina