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sabato 2 luglio 2011

Prefazione a "Il grido della luce" e nota al libro "Sulla seta del cuore", di Lida De Polzer

Prefazione
a
Il grido della luce, Edizioni ETS, Pisa 1998. Pp. 32 
di
Lida de Polzer


 " ... noi

siamo l’eclissi, l’ombra sulle cose / noi l’opaco dolore di un esistere / che lamentando il lutto del suo buio / non s’avvede che il grido della luce / splende alle nostre spalle.”.


Poesia varia e articolata quella della silloge Il grido della luce, dove i versi di varia misura, ora più brevi, ora più ampi, ma soprattutto cascate di armonie endecasillabe, accompagnano le modulazioni degli spartiti dell’anima. L’autrice, in questa opera, caratterizzata da un leit motiv di sinergie fra interiorità e versificazione, mette in rilievo un importante uso del significante metrico, combinando il dipanarsi dello spleen esistenziale coi suoni e le figure dell’ordito poetico. E la luce grida verso di noi che non coscienti di esistere, trasciniamo un’esistenza “che lamentando il lutto del suo buio / non s’avvede che il grido della luce / splende alle nostre spalle” (Ombra di terra).

                Un invito alla vita, a godere di questa luce, a prendere coscienza del fatto che esistiamo e che viviamo un frammento irripetibile. Luce, simbolo, che domina e si ripete nello svolgersi dell’opera: “Vivere / minuto per minuto, ora per ora / sapendo ogni barbaglio delle stelle / ogni luce d’aurora, ogni speranza/ d’uno spirito chiaro che cammini / fra le ombre crudeli della terra: /.../ Sapere oscuramente quale luce / ci attende oltre le palpebre del cuore / e quale spazio d’anima / dai confini di vento e di stupore / e poi / conoscere nell’aria dell’eterno / il profumo del nostro essere vivi”.  (Quale luce).    

               La poetessa fa delle cose e della realtà che la circonda una vera concretizzazione dei suoi stati d’animo. Fa della natura un serbatoio a cui attingere per parlare di se stessa. Direbbe Zanzotto: “La poesia ha bisogno del paesaggio per parlare”. E’ il mondo che parla per lei coi suoi colori, con le sue voci, con le sue diacronie: Ombra di terra, Oceano, Mezzanotte, Acqua nuda, Erba, Vento di marzo sono tanti frammenti del suo sentire che trovano corpo nelle parvenze circostanti e si fanno panismo simbolico baciato da un dire allegorico e liricamente armonico. La grande abilità della Polzer sta tutta nel rendere universale tutto ciò che può essere strettamente personale e soggettivo.

         Si nota anche in queste pièces l’alto spessore di un poetare che nasce da malizia metrica, ricchezza interiore, e grande esperienza nel campo letterario. 

               E per l’autrice il dolore dell’anima non trova un limite su cui posare il capo: “Emergono da un magma di memoria / le ore dei silenzi in cui cercavo / una traccia di te / e la risposta muta che chiamava / il mio muto abbandono: e fosti / puro silenzio, immobile / tempesta di silenzio. Ora infinito / il mistero rinasce dalla notte / e la memoria è oceano d’abbandono / dove il dolore d’anima s’annega”. (Oceano). E’ la memoria che torna coi suoi silenzi, con le cose non dette, con le sue melanconie; è la memoria che dà un segno della precarietà del tempo e riporta alla luce immagini chiuse che tornano a gridare la loro esistenza; “e la memoria è oceano d’abbandono / dove il dolore d’anima s’annega”, necessità di trovare nella poesia, o nella natura stessa un riposo per l’anima, quasi un nirvana edenico ad uno spleen che comporta il fatto di esistere. 

Il vento folto, lo spazio della notte, le ombre del bosco, la bianca betulla si fanno alcova a cui abbandonare la nostra esistenza. L’essere e l’esistere quasi si annientano in questo palcoscenico di brividi naturali. Ma il tutto ha breve durata, e l’anima rincasa da questa fuga da se stessa e riprende coscienza della sua malinconia. Qui l’alternarsi di settenari e endecasillabi accompagna in maniera delicata e effusiva il contenuto di alto spessore lirico che scivola tra i versi. Momenti di alta poesia, dove ognuno ritrova se stesso coi suoi interrogativi sull’esistenza.

             In Sempre “Stanotte le nubi hanno un chiaro / di fate e mistero / la volta del cielo d’estate / è appesa agli spazi infiniti / da spilli argentati di stelle,” il succedersi di versi novenari e senari rafforza il senso di meditazione e d’abbandono alle maglie del tempo e della natura. E tutto si fa calmo, tutto si placa nelle espansioni endecassillabe successive: “Mi piace accanto l’ombra d’ogni notte / e attende quieta. / Le lascerò l’eredità del tempo / quando sarò alla soglia dell’eterno / Soffio d’ignoto, vento d’infinito / luce, la luce sempre.” E anche se tutto è ignoto e vento d’infinito, la luce sempre a gridare sulla vita e sull’oltre. 

Se il fatto di esistere comporta dubbi e interrogativi, se l’anima umana soffre dei suoi limiti, e degli spazi ristretti di un soggiorno, è umano ambire alla fuga, è umano cercare un segnale che ci porti oltre il tempo, che si renda sapore d’eterno, ove spegnere tutto noi stessi: “lasciatemi crescere / erba / che accolga la tempesta e la carezza / e non si stanchi mai d’essere viva / ogni volta falciata e rinascente / datemi le mani dell’nfinito / per nascondere il volto / della mia pena / e per spegnere piano / l’ombra di questo grido antico.”. (Erba).

               Vette liriche di grande tensione in questi versi che tanto simboleggiano il dipanarsi della vita di noi esseri coscienti del nostro breve esistere. Sarà allora la poesia quella parte di noi che più si avvicina all’inarrivabile?

Memoria, vita, infinito, spleen, panismo simbolico, anima, luce, eterno s’insinuano, come chiare correnti che brillano sul fondo, tra i versi di questa silloge. E tante le descrizioni di un panismo avvincente e canoro; ma mai la raffigurazione naturale è a sé stante, mai ridotta a semplice descrizione, ma sempre modo e maniera di concretizzare l’anima nei suoi vari momenti esistenziali.

E la Polzer, cosciente di questo nostro esilio, va in cerca di sprazzi di cielo a cui affidare la sua memoria: “...E quando i sogni tornano / così incantati e muti / a splendere d’ignoto nell’asilo / del nostro cuore, / è così azzurra l’ombra / di questa solitudine d’esilio.” (Azzurro) 


Nazario Pardini
                                                                                                                19/07/2008                                                                                                                                                      

 Nota
al libro
Sulla seta del cuore
di
Lida De Polzer




Poesia luminosa, aperta, profumata di cielo, di tramonto  e di sera quella della Polzer, che si apre al mondo e alla vita come un raggio di sole di luglio. E’ la natura nella sua poesia che si erge a interprete principale, la natura con le sue tonalità policrome, con i suoi accostamenti alle fasi dell’essere e dell’esistere. E la natura mai è vissuta come semplice elemento descrittivo o elegiaco, ma piuttosto come panismo esistenziale, come pentagramma di note a concretizzare allegoricamente i tanti frammenti dell’anima. Così il grano biondo, le ginestre, il vento, i salici, gli oleandri, gli eucalipti non sono solo configurazioni naturali, ma direi involucri di lampi interiori che si fissano in uno stile prevalentemente classicheggiante, metaforicamente e musicalmente piacevole per un endecasillabo vario e articolato; stile impreziosito da enjambements, quello della Polzer, come spinta  dell’anima all’azzardo di più ampi slarghi spirituali.



Nazario Pardini










































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