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lunedì 27 giugno 2016

SALVATORE CASTIELLO: "IL SENTIERO DEL MARE" DI MARIA RIZZI

Il sentiero del Mare
di  Maria Rizzi

Maria Rizzi collaboratrice di Lèucade


Carissimi, voi non lo potete sapere, ma in questo momento stiamo riallacciando, io e Maria Rizzi, un racconto di vita, iniziato da ragazzini, sospeso e mai interrotto. Confesso di essere emozionato, oltre che per codesto mio momento personale, anche per questa prestigiosa location.
Essa rinnovella in me cari ricordi passati di quando ero ragazzo.
Anche io, come Maria, ho vissuto la mia giovinezza a Portici.
Diceva Hercule Poirot: “Per chi ha buona memoria il passato non è mai passato”.
Veniamo al tecnico.
Posso racchiudere tutto lo scritto di Maria Rizzi fra due parametri o colonne fondanti: emozione ed umanità.
Mi spiego.
“Il sentiero del mare”.
Nella sua logica, il titolo del libro suona come una contraddizione dialettica, quasi un’assurdità, ma essa svanisce non appena si cominciano a scorrere non le prime pagine del libro, ma già nella prima pagina, dall’ottavo al dodicesimo rigo.
La ragazza lasciata sul tavolo potrebbe essere sua figlia. La figlia mai avuta e tanto desiderata. Una belva l’ha tenuta in ostaggio due giorni, per abusare di lei tante e tante volte e poi ucciderla nel più assurdo dei modi. Lasciando sui suoi occhi una benda nera. …..”.
Quattro righi devastanti, assurdi, spaventosi, raccapriccianti.
Quattro righi che sospendono il respiro, ma, nel contempo, ti rapiscono e ti stimolano. Sapete perché?
Perché è la vita di per sé stessa ad essere più o meno assurda, spaventosa ed affascinante ad un tempo.
I protagonisti, vittime e carnefici, complici ed artefici delle vicende, presentate dalla nostra Maria, sono i giovani.
I giovani ed il loro mondo, tanto vicino e tanto lontano.
Diceva Bertrand Russell: “Fortunatamente e sfortunatamente, i giovani non sono una categoria sociale. Fortunatamente e sfortunatamente, poiché, con la loro spinta emotiva e la loro forza prorompente, attuerebbero delle riforme sociali in meno di una generazione, senza, però, dare alla generazione precedente ed a quella successiva il tempo di adeguarsi”. Un disastro sociale.
I giovani, dicevamo, e le loro emozioni.
Le emozioni, che grande motore e carica esistenziale!
Senza di esse, chiudeva un suo sonetto un poeta napoletano, “…sarriame tanta pupazze ‘e stoppa!”.
Un antico proverbio indiano recita: “Dimmi un fatto e apprenderò, dimmi una verità e crederò, ma raccontami una storia e vivrà nel mio cuore per sempre”.
Gli “anta” che mi porto sul groppone mi hanno fatto calare in codesta storia con il mio bagaglio di passato, donandomi delle emozioni, di cui antea.
Ma questo succede, a seconda del proprio vissuto, in diversa entità, misura, intensità ad ogni lettore che si cala nelle pagine del libro.
“Il sentiero del mare” a codeste emozioni dona un volto, un nome, un compito, un’attività, una ragione, una motivazione, ricoprendo di umanità, ripeto, tutti i facenti parte del caleidoscopio di vite, racchiuse in esso libro.
Questo fin dall’esordio, dalle prime battute.
Torno al capitolo I, al quinto rigo questa volta.
“….Luisa cerca tepore. Accelera il passo, si stringe nel giaccone di pelle e spera di trovare in casa Roberto. Per provare a stordire la nausea tra le sue braccia….”. Ciascun lettore, per le sue vicende personali, il carattere, la cultura, in sintesi, per tutto il suo pregresso storico, vede e si figura questo o quel personaggio, e lo immagina in un modo suo, personale e differente da ogni altro lettore.
Codesta premessa ne richiama un’altra.
Gli “anta”, come dicevo, che mi porto sul groppone, mi hanno imposto di aver un angolo di visuale ben preciso e determinato: quello di genitore.
A mano a mano che o “sorbivo” il caffè con l’anatomopatologa, Luisa, o “mangiavo” un panino con Segni o “stavo seduto” accanto alla psicologa Laura Perlaghi, mi sono messo nei panni dei genitori ora di Chiara Lanna, ora di Serena Alletti, ma anche di Francesco Lonardi, Elisa, Tiziana.
Mi ha agghiacciato, a pagina 55, l’apparire dei genitori di Chiara e, “…estranei alla vita della figlia…..barricarsi dietro la fiducia, l’apertura mentale”.
Albert Einstein metteva in prima posizione, sotto l’aspetto della difficoltà, il mestiere di genitore.
Codesto libro ne è un asseverazione e certificazione, nobile e monumentale.
E mi sono tenuto basso!
Nel mestiere di “genitore” non si va mai in vacanza e ancor di più in pensione.
Presso la mia tribù, nel bene o nel male, cascame ultimo di un processo di fusione fra le lave dell’Etna e le lave del Vesuvio, codesta fusione ha lasciato sempre una traccia nei nostri modi di essere, di pensare e vivere.
Ci ha segnati nel cuore e nell’animo.
Eduardo in “Filumena Marturano” mette in bocca a Filumena, una verità assiomatica per noi napoletani, frutto del processo, di cui antea.
Filumena dice: “ ‘E figlie so’ chille ca se teneno ‘mbracce…”. (Sembra una frase che si può facilmente trovare su F/B. Oggi, grazie a F/B, so’ tutte puete, ma si domande quaccosa ‘e Boccacio, te portane ‘e mulignane sutt’uoglio! Perdonatemi codesta bizza senile. Grazie).
In questo libro i figli (per non parlare dei nipoti, ca coceno cchiù d’’e figlie! Ma questo è un discorso a parte. Mio personale) i figli, dicevamo, sono presenti nella loro “essenza”.
Sono presenti per quello che sono o per quello che, a volte, nessun genitore, nel suo intimo più intimo, vorrebbero fossero: adulti, decisionali, indipendenti, autonomi. Maria Rizzi ci cala e ci accompagna, nelle vicende, che si sgranano nel libro, con amore, sensibilità e materna comprensione.
Quasi tocchiamo con mano quell’umanità, cui accennavo antea e che fa la cifra distintiva e caratterizzante di tutti quegli investigatori, i quali si ritrovano a scrutare e scavare all’interno della vita, vuoi delle vittime vuoi dei loro carnefici.
Codesta umanità smussa, a tratti, la ferocia degli avvenimenti, addolcisce quell’estrema crudeltà, la quale purtroppo scorre latente.
Quasi come il fenomeno del “niño”, con andamento discontinuo, questa ferocia sprofonda, risale ed aggalla, ora nella dichiarazione di un teste, ora nella scoperta di un nuovo delitto o nel referto dell’anatomopatologo.
Riusciamo quasi a vedere codesto manto d’umanità addosso all’Ispettore Segni, in uno ai suoi collaboratori, e permeare il loro vivere o mentre stanno al bar, a sorbire un meritato caffè, o in rosticceria a mangiare uno spuntino.
A cavallo fra fine-pagina 49 e pagina 53, Maria Rizzi delinea uno stupendo bozzetto di vita familiare. Un meraviglioso cammeo, si direbbe in termine teatrale, che prende corpo e vita, in modo scoppiettante, generato dalle pirotecniche asserzioni di principio della mamma di Francesco, la “virago”, dalla controscena del marito di questa e dalla pacata, quasi serafica, professionalità dell’Ispettore Stefano Segni.
Va, a latere, solo accennato che l’ottima Maria già ci ha dato le giuste definizioni e parametrazioni, in ordine alla professionalità degli organi inquirenti, nella sua “Anime Graffiate”.
All’inizio di codeste mie poche note, vi ho confessato la mia emozione.
La ribadisco e la confermo.
Essa travalica il momento storico, squisitamente personale che attanaglia il mio vivere a quello di Maria Rizzi, atteso che, purtroppo, ascoltando un qualsivoglia telegiornale o scorrendo un qualsivoglia quotidiano, la cronaca ci pone sotto gli occhi delle vicende, che giganteggiano e quasi annullano tutto quanto partorito dalla fantasia della Nostra.
Mi sostiene in tale asserzione, ripeto ancora una volta, purtroppo, il saggio Benedetto Croce, quando dice che tutto ciò che è pensabile è possibile.
Tornando alla parte tecnica ed affondando nel plot della vicenda poliziesca, va dato il giusto riconoscimento ai ritmi incalzanti delle indagini, senza nulla togliere alla accuratezza degli addetti ai lavori, nonché alla precisione ed alla padronanza di linguaggio.
Essa padronanza va ritrovata quando veniamo edotti sulla distribuzione dei compiti all’interno degli uffici di polizia. Oppure sui rapporti fra il Commissario ed il Questore. Oppure sulla presenza ed aiuto ora della psicologa o di quel collega particolare.
A proposito di tecnicismo.
Va riconosciuto onore e merito alla prolusione sulla trasmissione e lo sviluppo dell’AIDS.
Una decina di righi che di sicuro avrebbero fatto “arreccria’ “ il pisano Galilei, il quale asseriva che “E’ facile parlare difficile, mentre è difficile parlare facile”.
Mi avvio alla conclusione.
Un cenno a parte va fatto alla “poesia” presente nel testo.
Sì, perché anche se celati tra i “rovi” (si fa per dire) della stesura in prosa, i fiori stupendi della poesia riescono ad ergersi imponenti e monumentali.
Qui posso citare a profusione come voglio.
Umilmente e con il capo cosparso di cenere, chiedo venia se mi sono permesso di apporre delle “cesure”, dando una veste poetica alla tua prosa.
Ho peccato di presunzione.
Lo ammetto e riconosco coram populo et ceteris.
Pagina 63.
“….Una notte bellissima,
sembra che Dio abbia infilato un soldino
nella fessura più remota del cielo
per allestire quella volta imperlata di stelle…”
Poche parole che sanno di magia.
Pagina 85.
“…La città è avvolta
in una sottile nebbia argentea,
una mezza luna
appena sbocciata
sembra dondolare.
Il fiume del tempo trascina le parole
nel suo vapore bianco….”
La metafisica si fa musica.
Pagina 151.
“Il fragore delle onde
è l’unica voce rimasta
e le stelle somigliano
a corde silenziose 
di una viola gigante….”
Qui la musica si fa metafisica.
Chiudo, per non abusare della vostra pazienza, ma chiudo in bellezza.
Pagina 191.
“….Tutto è immobile nella notte.
Persino le stelle paiono essersi smarrite,
solo la luna nuova,
vermiglia,
si staglia nelle tenebre
come tizzone di fuoco….”.
Una potente forza cromatica che trascina.
Affermava Pablo Picasso: “Io non cerco, trovo”.
Questo è quello che succede, avendo tra le mani “Il sentiero del mare”.
Al di là degli uomini, dei fatti, dei sogni, nonché dell’età e della storia di ognuno, ne “Il sentiero del mare” si trovano dei graditissimi compagni d’avventura, la maggior parte dei quali rimane invisibile al lettore, ma che assicurano cortesia, conversazione, ispirazione, sostegno e premura.
Un lavoro, punto apicale di tante vite, le quali hanno dato il loro apporto per farne vedere la luce ed a cui vanno di tuoi ringraziamenti finali.
Fra di esse spicca la figura tuo padre, Nicola Rizzi.
Unisco ai tuoi i miei ringraziamenti ad una persona, che vedeva lontano, molto lontano.
Una persona che ho avuto l’alto onore di conoscere personalmente, anche se, essendo io in età giovanile, non ho potuto averne piena e compiuta coscienza.
Auguri di poter vedere e vivere tutte le aspettative, tue e di chi ti ama, ca nun so’ ppoche.
Con profondo affetto e convinta stima.

Salvatore Castiello





1 commento:

  1. Ringrazio ancora, commossa, l'amico d'infanzia Salvatore Castiello, l'unica radice che mi resta, insieme ai suoi fratelli, dei primissimi anni di vita. Ritrovarci al Caffè Letterario Le Scuderie della Favorita di Ercolano... mi ha permesso di calarmi nel romanzo, ma soprattutto nell'importanza del passato, di quel passato, che come ha scritto qualcuno, ci sta davanti, non dietro. Ti voglio bene, Sasà e ringrazio infinitamente il Professor Nazario per avermi concesso la gioia di vederti sull'isola più famosa d'Italia!
    Maria Rizzi

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