Prefazione
a
In urna di memorie, Il Portone/Letteraria, Pisa 2000. Pp. 32
di
Vera Cantini
Dalla solitudine dell'estraneità alla solezza esistenziale
in
Vera Cantini
La solitudine dell’estraneità, l’amore e il disamore, i figli, la rabbia, il dolore, la quiete, la natura, la scrittura, la metafora sono i punti cardinali di un percorso che dal contingente si eleva alle grandi interrogazioni che l’autrice scolpisce in lesene In urna di memorie. Poesia semplice, comunicativa, lapidaria e al contempo esperta a livello tecnico e lessicale quella di Vera Cantini dove le commozioni ben controllate e mai indulgenti nei confronti di soluzioni eccessivamente sentimentali si aprono verso orizzonti plurimi e di ampio respiro. “Patologia percettiva / è il miraggio nel deserto / come se mia certezza / cedesse all’illusione / di tenera carezza / di calor d’emozione / di profumo di parole” (patologia percettiva). Già patologia, miraggio, certezza ed illusione ci introducono in un dialogo quasi fisico non solo con l’anima dell’autrice, ma anche e soprattutto con l’anima dell’umano. I particolari profumo di parole, esausta, stanca, assurdo tamburo di rock, mi coprirò le orecchie, quest’emozione / che mi prende al risveglio, io aspetto che vieni..., Ma non trovo il coraggio non restano relegati alla sfera personale, né ci inganni l’immissione prepotente della prima persona, ma si amplificano fino a rendersi intuizioni oggettive. L’aspetto artistico sta tutto in questa rielaborazione di immagini improvvise, inconsuete che ne suggeriscono altre ad ampliare geometrie circolari la cui centralità sta tutta in uno scavo interiore. E la poesia si articola in una tessitura aperta ad ogni possibilismo interpretativo, lasciando il lettore libero ed interattivo nell’avviare i meccanismi dell’intuizione poetica. “Credo sia lì... / nel dolore dell’indifferenza /sia lì che si affina l’udito / sia lì che si sente di nuovo / sulla pelle una dolce carezza di sole / sia lì che cadono bende / e gli occhi tornano a essere / quello per cui sono: / due semplici sfere / per farti vedere / due mondi ingranditi”. Se la poesia classica ci offriva, narrandole con continuità il più delle volte endecasillaba, formulazioni precise di modo che la soluzione fosse chiara e descrittiva, la poesia della Cantini secondo schemi moderni si fa oggetto stimolante di scelte che possano anche esorbitare dalle stesse intuizioni del poeta e diventare plurime. “Dunque / Sarà silenzio...” (silenzio). “Sfiorando / il trascendente / avverto / il cosmico / abbraccio / di due corpi / ondeggiar / nell’Olimpo.../” (l’Olimpo). “su acque di fiumi / d’orgasmi e parole / di candide ninfe / in attesa di eroi / inghiottiti in naufragi / su antiche galee.../” (io aspetto che vieni). Ne nasce un’ambiguità che si apre alle molteplici risposte dei lettori. La conseguenza prima è che tutto ciò di cui si serve l’autrice - ogni oggetto che esamina, ogni figura che propone, ogni ambito sentimentale o fisico che tratta - si fa simbolo di un esistenzialismo ora più pacato ora più sofferto che riguarda il fatto di esistere. “Dove sarà / colui che avrei potuto amare? / Forse sul limitare / del campo di grano di Van Gogh / ...” (sopra un campo di grano). “Mi percorre in fremiti / dall’inizio alla fine del mondo / questa voglia d’amore senza oggetto / questa voglia di grida senza un nesso / questo scorrer di sangue / che evade dalle vene / fino a fermarsi in un ghiacciaio di rosse ombre” (fremiti). Il linguaggio è spesso aveu direct, allegorico e in funzione di molteplici soluzioni; il registro si raddoppia alternando il reale all’immaginario, il presente al memoriale, con una agilità di versi tessuti su un pentagramma di misure brevi che sanno spezzare l’endecasillabo con una maliziosa anticipazione o posticipazione del tonico “per invitarmi a una camminatina /...” (non so per voi) o raddoppiando il settenario “a far cader nei boschi rugiada dalle foglie” (buon compleanno) o unendo il settenario a un senario “che disperatamente cerca le sue mani” (non so per voi). A queste costruzioni si alternano endecasillabi che sembrano riportare il sentimento dell’esistere ad un senso più riposante dell’accettazione di una realtà. Complessivamente però il poeta sembra preferire una metrica in versi brevi, quasi per darci l’idea di voler giungere con maggiore velocità e incisività a conclusioni spesso amare come nel silenzio “Credo sia lì ... / nel dolore dell’indifferenza /...” o nella quercia “Ed io così piccina / che credo di sapere”.
Nazario Pardini
Arena Metato, settembre 2000
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