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mercoledì 22 giugno 2011

Prefazione a "Mitologie di metamorfosi" di Luana Innocenti Lami

Prefazione
a
Mitologie di metamorfosi, Edizioni ETS, Pisa 2006. Pp. 32 
di
Luana Innocenti Lami

                                      "Ti chiedo allora la pietà / o uomo!
                                       Se puoi
                                       Se vuoi
                                       tra le tante possibili uccisioni
                                       sopprimi
                                       l’amarezza del mio pianto."




E’ interessante notare fin dalle prime battute della silloge la continuità dello stilema dell’autrice, che ne garantisce compattezza, organicità, e personalità stilistica. E ritengo essenziale, per convalidare questa tesi, ricorrere ad una esegesi stilistico-contenutistica prendendo spunto proprio dalla prima pièce dell’opera: Mitologie di metamorfosi: “Come Dafne in alloro trasformata / o in ragno Aracne / io muterò le mie sembianze umane / se / sui tracciati di un moderno mito / incontrerò furente un nuovo Apollo / o in sfida altera / l’opera emulerò di una Giunone antica. / Dirò alle membra di cambiarsi in rami / di foglie sempre verdi / dell’amore l’inganno allontanando. / ... / Ma il tentarlo è pazzia. / Contrastare è vietato / il dio che ha già deciso”. Ne emergono tutte quelle motivazioni che caratterizzano la produzione artistica della Innocenti Lami: panismo esistenziale, attrazione verso un’ispirazione di carattere umanistico, simbolismo, musicalità, memoriale indiretto (la poetessa dice di sé attraverso le rappresentazioni esterne), coscienza della precarietà umana e versificazione che sa contenere il forte flusso emotivo in ripe che ne evitino esondazioni stilistiche.
          Ma soprattutto questa nuova silloge si caratterizza, come da titolo stesso, per la grande possibilità e facilità di trattare una materia che potrebbe presentarsi scabrosa, ma che al contrario diventa motivo di indagine e di analisi psicologica più che descrizione psicologica. L’animo umano è scandagliato in tutte le sue inquietudini, in tutte le sue manifestazioni, perché attraverso questo ricorso simbolico ai personaggi principali della mitologia, quello che ne vien fuori è proprio il patema esistenziale che da soggettivo si fa oggettivo in questa grande capacità estensiva e comunicativa dell’autrice. I problemi stessi che affliggono il mondo, i più concreti, scaturiscono da queste similitudini, che si intersecano con le narrazioni mitologiche. E questo dire non si fa mai sovrabbondante di particolari, ma sfiora appena il motivo del mito, perché l’autrice si possa introdurre con la sua visione del mondo in una coesione di avventura e pensiero: pathos che denota la grande maturità artistica dell’autrice: “Fossi nuova Cassandra impedirei / con maggior forza e acuta persuasione / che l’inganno assumesse forme umane / ... / Ma non sono Cassandra / non sono profetessa / sono soltanto semplice mortale / che scorre nei giornali d’ogni giorno / fiumane inesplicabili di orrori / - i più impensati e assurdi - / ( Il cavallo, al confronto, è un Teddy Bear / morbido di peluche / il compagno dei sogni dei bambini)”. (Non si crede a Cassandra).  Grande capacità di interagire fra tecnica e contenuto. Uso di appropriati significanti metrici a creare una simbiotica fusione fra versificazione e significato. L’alternarsi di versi più ampi a settenari accosta le modulazioni dell’anima che a volte si rattiene per esplodere poi in cascate endecasillabe. E l’endecasillabo stesso, trattato in maniera personale, e diluito nelle molteplici aperture di enjambements, sa alternarsi a  misure brevi, a incisi, per accompagnare l’altalena del grande flusso emotivo. E in Dedalo ancora “Dovrà l’uomo procedere d’astuzia / inventarsi le ali del pensiero / solide - non di cera - / dell’anima evitare i labirinti / non impiccarsi a paralisi di noia. / Libero si staccherà dalle pastoie / degli assalti intriganti alla coscienza / per rubare lo spazio e poi godere / - Icaro non più audace rinsavito - / proiezioni di sé della sua ombra / sullo sconfinamento della terra”. E in Lady Prometeo: “Fiamme eretiche bruciano pire / legna secca / faville guizzanti / e l’ardore che cresce / succhia lento la mente / e la cenere calda / dentro un canapo è infine riposta. / Nuova attesa di vita sensata / si sfarina in un pugno di nulla” dove il prevalere dei decasillabi, sul costrutto in aumento dal quadrisillabo, al senario, e ai settenari,  accompagna con grande abilità tecnica il senso di questa progressiva lentezza con cui l’ardore succhia la mente e la nuova attesa di vita sensata si sfarina in un pugno di nulla.
            E il re Pescatore, Macbeth, Crono, Pegaso, Morgana, Ippocrate, Salomè non costituiscono affatto il piacere di sciorinare cultura e conoscenza, ma soprattutto raffigurano tanti momenti dell’animo di un’autrice alla ricerca odissaica di se stessa e di un mondo entro cui si svolge la sua avventura esistenziale.
               E la cornice nella quale si snoda lo stilema di questa silloge è rappresentato dall’attaccamento a una natura che la Lami ha sempre amato e a cui si è sempre ispirata, affidandole non di rado il compito di espletare i chiaroscuri che incorniciano il susseguirsi delle vicissitudini umane: “La notte è inondata di luna / viscerale il profumo di stelle”. (Il re Pescatore). “Vigile / dea del limine vegliava / sopra le transumanze dell’inverno / e sul risveglio / dolce-nascente della primavera / ... / Le brume si dissolvono / accecate dal tepore del sole / e per le brezze / che singhiozzano lievi sopra i nidi”. (La dea del limine). “Sfilaccia il vento l’orlo delle nubi / sulle correnti eoliche / veloci / e miraggi di luce ci regala” (Fata Morgana). “L’acqua ruscella al muschio della roccia / brividi azzurri in trappole di cielo / Con tremore gorgoglia / e si fa nenia / lo spartito del canto della vita). (Non più Tantalo vinto). “Pendulo / il vischio ai rami d’alti pioppi / nidi di filtri magici / il ricordo emoziona / di pozioni e druidici artifici”. (Druidica). “Di rosa si pulviscola la sera / e nell’aria che sapida profuma / del remoto saccheggio del passato / si mimetizza l’anima col vento / ... /” (Sfidando Petra). E la natura così variabile, così brulla, così esplosiva è quasi il controcanto di un’anima che tanto aspira alla totalità, e tanto rassomiglia allo dipanarsi della vita. 
            E’ il raffronto col tempo, è il suo scorrere assillante, martellante che ci ammonisce su quanto siano labili le nostre passioni: “Nel passato lontano / senza tempo / da misterioso oracolo ammonito / Crono temette i figli / e a ucciderli si accinse / Io / figlia sua / lo temo”. (Crono). “Forse soltanto siamo / snebbiate oscillazioni di passioni / rarefatti momenti di furore / stelle vaganti e perse / sopra sacrificali altari d’illusioni”. (Che identità è di noi). E il senso della danza di morte di Salomè non è altro che il leit motiv che percorre le pagine dell’opera a denotare il dilemma esistenziale dell’essere e dell’esistere, anche nelle loro manifestazioni più eclatanti: “Non è più Salomè quella che danza / certo un’anima nuda allo scoperto / il resto del banchetto della vita / forse è danza di vizi capitali / di turbolenze occulte / di afasie / che impalpabili rodono il pensiero / audaci ritmi insegue / e nel livore / di un odio radicato / e mai sopito / vortica Salomè come impazzita / la sua danza di morte”. (In danza con Salomè)
             C’è anche nell’autrice l’aspirazione a perdersi in qualcosa di più vasto, di immensamente grande, forse anche perché è proprio dell’umano aspirare ad avvicinarsi il più possibile all’irraggiungibile. Ma per la Lami è un momento di grande slancio lirico, quasi amore oblativo, nirvana edenico, ricerca di un annullamento di sé in ciò che più di ogni altra cosa rassomiglia al tutto: “C’è un sussurro aramaico questa sera / - o tale sembra a me - / dentro spire di vento che serpeggia / sulla pelle affannata del mio corpo / con ettici sviluppi di memorie. / ... / L’anima spersa / - prestata al corpo da un geloso dio - / abbraccia il vento e ascolta. / ... / Poi il sussurro si sfuma / e prigione si fa / del mio spirito inquieto ed errabondo / il fragore serotino del vento / il sospeso miraggio delle palme / un labirinto diamantico di stelle / come polvere cosmica dispersa / nella notturnità invadente del deserto”. (Sussurri a Palmira). Il registro lessicale dell’opera è prezioso e a volte aulico (ettici, feminino, serotino, notturnità, refola, cornucopie, citaredo ...) a denotare, con l’uso anche di unità sintagmatiche e fonico-verbali, la perizia tecnica nel sapere accostare contenuto e parola, dimostrando che il denominatore comune della poesia è questa simbiosi fra dire e sentire, da cui non si può prescindere. Il linguaggio è coinvolgente per la grande spontaneità da cui è dettato, e il suo ricorso a figure quali sinestesie, anastrofi, geminatio, enjambements, assonanze, costrutti per diminuzione, e inversione fa della sua arte la musicalità come arma vincente. E se per J. Borges: “Vivere è un sentiero futuro già trascorso. Niente ci dice addio, niente, niente ci lascia” lo è anche per Luana Innocenti Lami che fa della memoria una rappresentazione scenica di grande intensità plastica ed umana.


                                                                            Nazario Pardini
Arena Metato 07/07/006     



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