Nevicata
Raro un silenzio colmo mi si stilla dattorno;
o meglio uno sciamio,
che incrina il pettirosso coi suoi frulli
o gonfia l’alitare che dispiove
sul sentiero scomparso. Tutt’al più
un crepitio sfuggente che si adagia
indolente e leggero. E tutto è vano.
Mi appare solamente
quel candore sul mondo defilato
che lascia il posto a incanti. Pare pece,
a confronto, il ramoscello ch’è riuscito
a evadere il mantello e ancor di più
arrossato si stacca dalla trina
il racemo del sorbo. Nel mio orto
un merlo sfiduciato dalla vista
insolita ed ostile, ha ricamato
di zampatelle il soffice lenzuolo.
A un po’ di mica resta e non s’invola
né si distanzia. Obliqua un po’ la testa,
poi tra i piedi
cattura assatanato le mie briciole
che sembrano di miele. E vibra e scarta,
poi molleggia e vola al fico. Mi è svanito
il lembo di terra che stringe la casa:
il muretto, la vite,
l’orticello
col verde scarno che saziò il dicembre.
Ed io pavidamente ora disciolgo
nel lento sciamare dal senso di stasi
il conto del mio essere.
Nazario Pardini
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