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mercoledì 27 giugno 2012

Cristiana Attinà, dal romanzo "Tutto da ricominciare"


Sono alla mia prima esperienza letteraria, per cui non ho biobibliografia degna di nota. Sono nata in provincia di Torino, dove risiedo, nel 1969. Mi sono laureata in Scienze Biologiche e ho esercitato la professione di informatore medico scientifico, fino al 2008, quando l'Azienda di cui ero dipendente pose l'intero organico in Cassa Integrazione Staordinaria. E così che in questo periodo di inattività professionale decisi di rispolverare dei vecchi appunti e provare a trasformarli in romanzo. In verità, senza molto impegno, decisi di inviare la prima stesura che ne seguì, all'editore Gruppo Albatros che la trovò degna di pubblicazione.
La ringrazio per l'ospitalità e Le invio cordiali saluti.
Cristiana Attinà 

TUTTO DA RICOMINCIARE


Camminavamo fianco a fianco, con lo sguardo rivolto verso la sabbia che si faceva mano a mano più granulosa, fino a diventare ghiaia e poi ciottoli. Scalammo le collinette sassose che il corso d'acqua dolce aveva creato con il continuo accumulo di detriti che portava al mare e che questo, con insolenza, gli restituiva. Giungemmo sulla sommità di quella più alta, ancora riscaldata dagli ultimi raggi del tramonto ma con l' incombente sagoma delle ombre dei pini marittimi che avanzava lentamente. La invitai a sedersi, ricordandole di fare attenzione ad eventuali aghi di siringhe nascosti fra le pietre. Una leggera brezza ci accarezzava il viso e fra le ciocche dei miei capelli scorsi quel suo ginocchio sbucciato. Era stata colpa mia, quella notte: era tardi e stavamo rientrando di corsa a casa in bicicletta. Io ero talmente euforico, come tutte le volte che mischiavo lei con l'alcol, che persi il controllo del mio mezzo e infilai la mia ruota sotto la sua. Qualche secondo e finimmo rovinosamente a terra sull'asfalto ruvido e a tratti ricoperto di sabbia, schiacciati dalle bici e incastrati sotto la siepe. E lei, invece di arrabbiarsi per la mia imprudenza, rideva così tanto da non riuscire a sollevarsi. Adoravo questa donna che alternava momenti di assoluto candore e dolcezza infantile, ad un fascino malizioso e maliardo. Ogni tanto desideravo di averla con me, nella mia Terra, di mostrarle i deserti e gli immensi spazi, di trascinarla sulle mie montagne, con i miei cani. Le confidai che avevo nostalgia dei miei paesaggi e glieli descrissi, rievocandone i profumi. Lei mi ascoltava quasi commossa, come se la condivisione di un momento per me così intimo, la gratificasse. Mi voltai verso il suo sguardo che era colmo di tenerezza e sembrava volesse dirmi “Abbi cura di te”, ma le sue labbra non parlarono, si poggiarono con delicatezza sulle mie. Il sole scomparve dietro la collina, lei infilò una mano tra il pantalone e il suo fianco ed estrasse un foglio bianco ben piegato. Mi pregò di leggere quella lettera l'indomani. La riaccompagnai alla bicicletta e continuai ad osservarla allontanarsi sinuosa sul lungomare finché il giallo della bici e il nero dei suoi capelli non si persero nell'imbrunire.


Naturalmente non ascoltai la sua richiesta, mi piazzai su una vecchia barca rovesciata sulla spiaggia, illuminata dal faro dello...

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