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martedì 3 luglio 2012

Marina Pratici su "Dell'amore" di Anna Magnavacca


Marina Pratici su "Dell'amore" di Anna Magnavacca


Anna Magnavacca, Dell’amore, Guerra Edizioni, Perugia, 2011

  Nelle lunghissime, roventissime, dolentissime Lettere di Pirandello a Marta Abba- insensatamente poco esplorate- il sommo Maestro, sommamente innamorato della sua giovane prima attrice, la lombarda Abba( gli occhi sporgenti..la bocca risoluta e carnosa, e un bel mento di ostinata) che tiepidamente e interessatamente corrispondeva, condensa e compendia, in un epistolario che non ha eguali nella nostra letteratura, la summa di una passione amorosa illimitata e illimitante: abbandono fiducioso e sottile perfidia ricattatoria, esaltazione e scoramento, tormento e appagamento, travalicamento e contenimento.  
  Lo stesso trasporto, con morbidezze declinate tutte al femminile, la stessa, ricchissima, unicità di voce, sembra rinvenirsi- nell’eleganza stilizzata di contrattura di verso- nel poemetto Dell’amore, ultima, felicissima uscita di Anna Magnavacca, poeta nota dalle tante, meritate affermazioni.
Poema esile per paginatura, ma potentissimo per ossatura contenutistica e collaudata dominanza lessicale e stilistica.
  Per il tramite di una fermentata carica scritturale, levigata da un uso aggettivale minimale e finitissimo, Magnavacca edifica e vivifica catturanti inquadrature, dal mobilissimo effetto filmico e sequenziale, dove l’ordinario, domestico e quotidiano, si trasmuta in straordinario amoroso, so che l’amore non dà spiegazioni, totalizzante e tormentante, e il tarlo tornerà a rodere/ il mio cuoreamore e la mia pelle. In tensione che mai decresce, mai decanta, ma- sapientemente- calibra e indirizza i codici poetici: pronunciatura chiara di un accurato e sedimentato labor di limo e raschio, caro a un Flaubert in forma massima.
Tutto svolto per istanze separate ma concatenate, con lievi- sostanzianti- accenni al mito, al dramma, alla farsa, alla pochade, in notevoli alternanze fraseologiche e azionali. 
  Focus of narration, angolo di ripresa privilegiato, nucleo fondativo e fecondativo, protagonista assoluta, è la donna; Penelope( La mia porta di casa/ né si apre né si chiude./ Non cambio stanza ) e Diana( Vestirò io armi di fuoco/calzari appuntiti/ e al posto dei cembali il corno di Orlando), in pari grado. E, ruolo primo, madre che stringe al seno il figlio con qualche soffice dolore. Donna sempre e comunque, giornata settembrina/ che non si dimentica, in cui si baciano furia e mitezza, e che, in schiarita di chiusa, detta le regole e ricompone il giuoco. Trionfando.  
  Agile e suadente è il verso: ricercato, affinato e puntualizzante in taluni passaggi, libero e vagante -in arpeggio di punteggiatura a sospendere- in altri, a imprimere sulla pagina, e farne immagine dicente, quel canto d’emergenza dei pensieri generato dal memorabile sentire di Celan.
  E davvero si avverte l’esigenza, quasi urgenza, dello scrivere in questo poema; esigenza che è propensione e piacere mai fine a se stesso- come coltivare le orchidee, direbbe Rex Stout- ma funzionale a un processo di decostruzione e di recostruzione gemmante. Per addivenire e farsi parte,  interagente e integrante, di quel luogo dell’anima, vivente ed esprimente in totale assenza di dimensionalità spaziali e temporali, dai molti alfabeti ma dall’unica pronuncia: poesia.
  In Dell’amore, il viaggio si compie, si fa meta ultima, approdo. In suprema sintesi di una grande, purissima, natura lirica. 
                                                                                            Marina Pratici 

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