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sabato 14 luglio 2012

Nazario Pardini "Poesia e non poesia"


Poesia e non poesia 
a cura 
di 
Nazario Pardini


Scrivere di poesia oggigiorno è una cosa abbastanza difficile. Prima di tutto perché ci sono migliaia di poeti, per così dire, che si avventurano in questo campo tanto variegato; e tanti ne sminuiscono certamente l’affidabilità. Si leggono poesie, di frequente, su antologie varie, che danno un chiaro esempio di cosa non dovrebbe essere la poesia. E anche a proposito di tali antologie, tanto ci sarebbe da dire. Un’abbuffata. Editori improvvisati che bandiscono concorsi editoriali il cui premio è la pubblicazione in un libro che l’autore senz'altro acquisterà a prezzi, direi, non vantaggiosi. Un vero commercio e una vera speculazione sulla testa di queste centinaia di concorrenti che, per vedersi pubblicati in un’opera, che poi è destinata al macero, chissà cosa farebbero. Io stesso ho avuto l’occasione di misurare le vere intenzioni di uno di questi pseudo editori. Ho inviato una poesia, la più brutta possibile, senza capo né coda, senza un contenuto preciso, con un linguaggio ovvio e scolorito, e, naturalmente, sono stato prescelto per la pubblicazione. Mi si potrebbe osservare che ciò che per me è brutto per altri può apparire bello. Ma io penso che una base di dignità sia necessaria a livello etimo-fonico e contenutistico. Non avendo acquistato l’antologia e avendo rivelato le mie intenzioni con interventi sul blog dell’editore, mi sono attirato l’ira dell’uno e di quella di tutto il popolo dei prescelti.
         Quindi cosa è mai questa poesia? Si possono delineare alcuni confini fra quello che è e quello che non è?  Io credo che uno degli elementi portanti e comun denominatore di ogni espressione poetica sia una forma suggerita da un’anima disposta per inventiva e creatività a un “aveu” sincero e spontaneo. Ma è estremamente necessario possedere un substrato linguistico non indifferente per accompagnare la nostra interiorità e non cadere nel semplicistico. Una forma che si articoli in figure retoriche e significanti metrici compatti e originali. In parole povere, una forma che denoti padronanza del verbo e dei suoi legami. E’ senz’altro la parola lavorata, ritagliata, ricercata, armonizzata in un contesto a dire il tutto. Ed è la graduale e sostanziale maturazione che porta ad essere padroni di una forma che identifica l’autore. Intendendo per forma una simbiosi inscindibile fra dire e sentire. E quanto è più ampio il linguaggio, quanto più ricco il patrimonio lessicale, tanto più cresce la possibilità di parlare di noi. E non è detto che fare poesia libera, senza misure metriche predisposte, senza vincoli, sia sufficiente a far scavalcare i confini fra un fasullo e un vero poeta.
La stessa poesia così detta libera deve contenere al suo interno quella magica fluidità, quella ricchezza lessicale, quella compattezza armonica che può rivelare, ad esempio,un’alternanza metrica di endecasillabi, settenari e novenari. Alternanza che tenda ad evidenziare, dopo brusche rattenute, vere cascate musicali di versi adatti a tale funzione. Adatti ad accompagnare momenti di vita, moti esistenziali ora più intensi ora meno. La poesia allora deve essere guidata da regole?  ma non è che con le regole la si distrugge? se ne annienta  l’anima? Mi si potrebbe obiettare. Ma la regola è insita, non  estranea alla espressione poetica, nasce contestualizzata e col solito sangue  del vero poiein. Quindi è estremamente necessario formarsi su una solida cultura letteraria, arricchirsi di esperienze di vita e di lettura, di traslati e parole. E’ estremamente necessario conoscere la metrica, educare l’animo ai suoi strumenti, per fare nostra questa vena sonora finalizzata alla scoperta di noi stessi. Se sono in boccio dentro di noi vanno coltivati, attraverso un esercizio fonico-verbale, vanno indirizzati verso l’armonia che è il momento più importante dell’attività estetica, perché è proprio quello che avvince il fruitore, e lo rende partecipe del messaggio. Insomma, facendo il percorso inverso, non è certamente poesia una scrittura che stride all’orecchio, che non riesce a combinare la parola con l’interiorità, che non è all’altezza di creare quei guizzi folgoranti che sanno andare  oltre il testo. La musica è dentro l’uomo fin dalle sue origini. E deve essere partorita da uno spartito le cui note volgano a una composizione  umanamente coinvolgente. Quante volte diciamo: “Questa non è buona musica”. Perché è il nostro animo che tiene fin dalla nascita il germe dell’armonia, e questo germe va educato a più complesse orchestrazioni. Non si può fare poesia buttando giù frasi più lunghe o più brevi come fossero versi. Anche la poesia così detta libera deve attenersi a dei principi, e chi la scrive non è libero da vincoli espressivi e da conoscenze di armonia e fluidità; deve aver presente il valore del verso in tutte le sue funzioni di forma e di regole che la poesia stessa contiene in quanto tale, e che tiene nell’anima, innate, il vero poeta. E proprio su quel tessuto devono essere cucite parole che non sono più semplici grafemi, ma involucri che contengono immagini, frutto di realtà macerate nella nostra intimità. E quando si ricorre alla natura (ai suoi grandi spazi, ai suoi misteri, alle sue infinitezze o debolezze, ai suoi momenti ora fulgidi ora decadenti, ora brumosi, ora sfolgoranti) deve essere più vicina possibile al dipanarsi della vita umana. Al suo consumarsi. La natura deve aiutare, con il suo linguaggio, la confessione. Ed è sempre disposta, la natura, ad assecondarci, ad affiancarci con quello che vuole dire. Ed il binomio è fatto, la simbiosi è completata. Descriverla col solo scopo idillico-elegiaco significa partorire un prodotto senz’anima.
         Poi, per quanto concerne i contenuti, di solito si tende a delle suddivisioni secondo me piuttosto inutili: poesia oggettiva. d’impegno, poesia lirica. La poesia tutta deve essere lirica, sia religiosa, sia oggettiva, sia laica, sia civile. Se non la si sente e se la si deve fare solo per una missione religiosa o politica o civile o altro non raggiungerà mai le vette del Parnaso, ma sarà solo, tutto al più, una semplice manifestazione di pensiero. Ma mai una forma artistica. 
        E lirico può essere qualsiasi contenuto, qualsiasi argomento, sia politico che religioso o erotico, è indispensabile che sgorghi dall’animo, è indispensabile che sia frutto di una passione, di un forte sentimento. Perché a indicarci le strade contorte, ora melmose, ora lucide di sole, ora tenebrose, ora albate di prima luce, a far riaffiorare  quei sentieri rimasti a decantare in silenzio per anni, è l’interiorità, anche quella portata agli estremi, quale la follia; e nasce da là la vera poesia: da quelle immagini irrobustitesi nel fondo della memoria, da quella realtà che si è fatta nuova, e riadattata e forgiata dentro noi dal fuoco dei sentimenti. Non certo dalla ragione che tende, semmai, a raffreddare quel fuoco, a dimostrare che la strada dell’arte è dettata da impulsi, da moti eccessivi, anche se rivissuti, su cui la ragione stessa non ha avuto né il tempo, né la forza d’intervenire.
         E tanti sono i poeti contemporanei che dimostrano padronanza linguistica e originalità intuitiva. Ma fra i tanti che rispettano i cardini fondamentali della poetica, un po’ frettolosamente espletata,  ci sono nomi degni di un percorso letterario da tramandare; quelli le cui opere per forma, contenuti, significanti metrici, stili, cultura, motivazioni umane, e soprattutto linguaggi, esemplificano i fondamentali della poesia. Se si dovesse citare ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. E forse ci avventureremo, in seguito, anche a stilare dei nomi da inquadrare in indirizzi stlistico-letterari. Lo faremo! Un po’ di tempo e vedremo.  
       Certamente ognuno misurabile per un suo stile ben preciso, unico e inconfondibile, ma tutti accomunabili per alcuni punti fondamentali: spontaneità, ricerca linguistica, naturalismo intimistico, motivazioni esistenziali, simbologia panica, rappresentazione di una modernità che, ereditata dall’altro secolo, fonda insieme tradizioni classiche e inquietudini della società dei consumi; e quindi lavoro, lavoro e lavoro, che non è affatto in antitesi alla spontaneità. E per intenderci dico di un mondo in cui il messaggio poetico, pur personale e liricamente valido, faccia, nella forma più accessibile per una platea, di una propria storia una missiva di vita e di afflato universale. Una ricerca verbale inglobata nel mistero della poesia. E raffiguri, in questo spazio ristretto, l'inquietudine di un Uomo labilmente umano e impossibilmente ultra/umano. Naturalmente sarebbe necessario, attraverso un lavoro filologico, effettuato sulle opere dei singoli, estrapolare degli indirizzi che emergerebbero con connotazioni ben precise: alcuni più propensi ad un discorso idillico-elegiaco in forma metrica ben calcolata; altri ad una visione più intimistica ed esistenziale in forma libera, ma rigorosamente ricercata nel verbo e nei suoi intrecci; altri strettamente legati ad una poesia più vicina ai nostri poeti del novecento per il répechage della funzione del memoriale legata alla visione di una vita fuggevole e ingannevole. Già, prestando attenzione alle varie forme espressive utilizzate, e alle poetiche personali sarebbe possibile questa suddivisione. Ad esempio una buona parte di scrittori fa dell’endecasillabo la base metrica con cui combinare pensieri e sentimenti: ed è già un buon gruppo accomunabile. Anche perché questi poeti fanno della natura una voce importante per simboleggiare  stati d’animo e poetiche. 
           Sì!, cercheremo di farli questi raggruppamenti, anche se in questo blog esiste già un lavoro avviato con tanto di nominativi che primeggiano nei premi letterari.

Nazario Pardini

1 commento:

  1. Anche se ci vedo alcune contraddizioni, il saggio è lineare, ben costruito, e al solito, cosa che ti contraddistingfue, è espresso con un linguaggio chiaro, preciso, ed arrivante. E non ti perdi nei meandri imnpossibili della filosofia ad uso e consumo di pochi addetti ai lavori. (Che si parlano spesso addosso)

    Ciao e complimenti
    Antonio

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