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martedì 4 dicembre 2012

N. Di Stefano Busà su Ciro Vitiello


L’Opera poetica di Ciro Vitiello è proiezione e trasfigurazione delle forme che la caratterizzano
 

                                           di Ninnj Di Stefano Busà

 

É un corpo unico la poesia di Ciro Vitiello, come roccia di minerale durissima che taglia nettamente il traguardo da altre forme di linguaggio, nel riformulare una voce che unifica e trasferisce il messaggio lirico nella sua limpidezza, nonché nel poematico spazio di un pensiero che si fa di volta in volta riflettente, immaginifico, recettore di un mondo apparente che però ha la capacità di trasformarsi in tensionale, sentimentale, inquieto, interpretativo di processi mentali che hanno il senso della realtà, ma l’attitudine ad essere altro da sé, in un altrove immaginico, fino alle massime punte della visionarietà. È un procedimento mentale che sa cogliere la visione del mondo e orchestrarla per suo conto, con l’emotività che gli è congeniale, attraversando tutte o quasi le occasioni di percezioni valoriali, morali, sociali, amorose.
Il componimento si erge con tutta la carica prorompente del tratto fisiologico-biografico. Una stesura essenziale, una inquietudine e un travaglio che gli derivano dall’essere per tentare elementi di reinvenzione iconografico-espressive.
Vi sono tensioni a livello emozionale nella sua produzione poetica. Ciro Vitiello si mostra in tutta l’ampiezza del suo territorio interiore, fatto di travaglio e di tormentato stupore, di abbagli e consapevolezza, di apparenti sondaggi all’interno della propria esperienza di vita che direttamente si connettono alla matrice profonda del suo verso. Invece che interpretarla egli la determina la parola, in una scrittura ampia e ben dosata nei dettagli, che sa ottenere un esito compiutamente e felicemente raggiunto a mezzo di un lessico visivo, sofferto, senza essere mai destabilizzante, vigile, maturo, fruibile in tutta l’ampiezza del contenuto metaforico e dell’apparato correlativo, attraverso adeguate e trasfigurative rappresentazioni.
La scansione e il ritmo sono l’antefatto di una sigla letteraria perfettamente autonoma che sa variare la scrittura a seconda delle circostanza e delle esperienze, evidenziandone una puntuale e acuta totalità d’intermediazione tra i vari elementi. Colpisce di questo autore la grandiosa e sapiente modalità di concatenazione che avverte in profondità un rapporto privilegiato con la poesia, e ne sa conquistare l’anima mundi, ne sa estrapolare e agglutinare l’esemplificazione verbale, attraverso il gioco interferente dei raffronti delle componenti lessicali, aprendosi all’indagine a 360° per approfondire le dinamiche delle immagini, donarsi alla vita con tutta la carica ontogico/ sperimentale che ne moltiplica la potente e definitiva sintassi espressiva. Si evince la compostezza del verso che riproduce in motivazioni vaste e ben delineate le istanza amorose più intime, così come quelle sociali, morali, coniugandone l’archetipo della pagina con le modalità delle diversificate sinergie liriche. “Quando il sole taglia il viso e s’inerpica sugli aranci,/ tu non fingerti eco di pene, ma rivèstiti di luce, Jole-/ circoscritta di grazia nella bionda chioma”. (pag.30, Todestrieb).
Vi è in tutta la produzione lirica di Ciro Vitiello ben delineata la configurazione allegorica che si mostra ad un andamento costitutivo dell’io e del noi, una formula felice che contempla l’esistenza di un altrove, di un abbinamento tra noi e il Nostos, tra l’impianto erotico e la vita, tra il bene e il male, tra la verità e il dubbio. Ben individuati sono i raccordi e le concatenazioni di pensiero che cercano il congiungimento metafisico con la realtà circostante, trepidanti giochi di solarità appaiono certi enjambement, certe controversie che detengono andamento di narrazione, nella cangiante partitura delle accensioni testuali.
L’invenzione immaginifica resta sempre alta e presuppone un’astrazione di riverberi talvolta abbrividenti, altre solari: “Mi fonde alla luce la soave luce/ del crepuscolo” (Rflesso magico e anche in Ripiegamento).
Molto ben costruiti questi versi che sanno coniugare stratificazioni e significati di una introspezione non secondaria, che si ricollega al processo mentale attraverso la scomposizione degli elementi di saldatura: “ Dissolversi è destino, ma basta una sillaba, /una sola, perché il tempo si ripeta e duri! //...// dissipo le fervide vocali, sfioro l’amaro/ istante, ritaglio le forme del nostro fiato per incidere” ( Dissolversi è destino).
Notare il continuum tra la simmetria dell’insieme e la rarefazione di certi stadii preesistenti, la quasi vivisezione, che determina la scissione delle istanze simboliche e la trasfigurazione concettuale si articola dalla proiezione dell’io stesso dall’altro di sè nell’imperturbabilità mimetica della ragione antinomica che s’instaura, tra la verità e il suo nulla, in cui si dibatte l’io indifeso quando dall’assenza riformula la coesistenza del riscatto liberatorio, per superare l’analogismo della -- perdita e la dimensione morfologica metastorica del logos, dei simboli --
Vitiello è senza dubbio una voce ampia e forte nel diorama della poesia del secondo Novecento perchè la concrezione si avvale di procedimenti linguistici che sono percettivi e ispirativi di tutta la sua soggettività individuale.

 

                                                                                                      Ninnj Di Stefano Busà

1 commento:

  1. Eccellente profilo critico che sa vedere oltre le potenzialità liriche dell'autore preso in esame. Una indagine a 360° su un autore che è testimonianza di una voce autentica quale quella di C. Vitiello

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