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martedì 15 gennaio 2013

A. G. Pessina: Commento alla intervista di G. Vetromile

Più che d'intervista, parlerei di voce controllata e sincera di un poeta sollecitato alla retrospettiva di un percorso di storia personale di vita vissuta in amalgama con un contesto (anni Settanta - inizio prima e seconda decade del Duemila) prismatico, problematico: in esso la poesia ha registrato, sotto la frusta della tecnologia imperante, momenti di eclissi e di consensi moderati e mediati. Motivo la stanzialità nella nicchia della cultura elitaria ufficiale con scarsa circolazione tra il pubblico adulto ed il pianeta giovane, bollato di insensibilità e renitente a percepire le emozioni che possono trasmettere liriche, che racchiudono le vicende dell'individuo, sorpreso nella riservatezza del proprio io o calato nel marasma del mondo. Trattasi di mera pregiudiziale. Quando ad una mia scolaresca di maturandi, a conclusione di un ciclo di lezioni su nevrosi e crisi esistenziale, prodotte anche dalla meccanizzazione, tra le varie letture, inserii anche il tuo Cuordileone nella città automatica, ne scaturì un dibattito variegato e poliedrico, segno che i giovani sono ben disposti a recepire il messaggio in versi. Ergo, come ti ho sempre detto, la tua poesia ha aperto una finestra sugli aspetti contingenziali del vissuto, senza mai infrangere il dettato lirico, perchè le tematiche, anche di scottante attualità, sono state sempre inverate e ri-create dalla tua scrittura sperimentale, vivificata dal lessico senza tortuosità cervellotiche, mutuato anche dalla scienza e dalla tecnica, un'operazione che, all'epoca, avrebbe fatto rizzare i capelli a linguisti come Zingarelli e Devoto-Oli. Avverti nel tuo itinerario di poeta un mutamento adducibile al fatto che, ad un certo punto del nostro cammino, siamo inconsapevolmente portati a privilegiare più il mondo interiore con le piccole, care gioie del privato, che quello che ci circonda. Questa svolta, evolutiva od involutiva che sia, non tange la tua produzione, nella quale la storia interiore, la speranza, la presenza del Divino sono state delle costanti, oggi, più visibili e manifeste, ieri adombrate da velature, assumendo quel ruolo che Flaubert attribuisce all'autore, come Dio nell'universo, ovunque presente, e in nessun luogo visibile. Concordo su tutti i punti sui quali sei stato interpellato, in particolare su quello inerente alla speculazione, nei nostri riguardi, delle Case Editrici. La mia Invectiva in editores si allinea a quanto da te espresso.

Con l'affetto e la stima di sempre.
Anna Gertrude Pessina

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