Antonio Spagnuolo su "La poesia oggi"
Sempre e
ancora poesia -
Parlare sempre di poesie è veramente cosa ardua per diverse ragioni. Innanzi tutto perché non si sa se il pubblico che legge, con tanta pazienza ed attenzione, è veramente interessato alla poesia, argomento questo che, nel mondo contemporaneo, tutto teso all’approssimazione, alla fretta, al menefreghismo, all’incultura, alla scostumatezza (e chi più ne ha più ne metta!), non sembra essere seguito con quella diligenza necessaria, sia per la comprensione dei testi, sia per il godimento intrinseco delle metafore. Ciò specialmente in Italia, a differenza degli altri paesi come
Che cos'è la poesia? Facile a dirsi! A me piace
immaginarla come un virus, ancora sconosciuto alla scienza, che si insinua nella
psiche e corrode giorno dopo giorno le circonvoluzioni cerebrali, per penetrare
nel subconscio e dettare quelle visioni ritmiche che il comune mortale non
riesce ad elaborare se non nel verso. Una malattia capace di rendere immortale
ogni pensiero e capace di manifestarsi nel caleidoscopico fulgore del
fantastico. La poesia quindi è legata all’inconscio e
l’inconscio è il luogo della poesia. Ma una così esplicita professione di fede
psicoanalitica non si limita affatto al regime della poetica. Essa comporta da
parte dello scrittore una vera e propria assunzione di contenuti e mitemi
anch’essi di origine psicoanalitica: che a dirlo più chiaramente, entrano
massicciamente nei versi, fino a diventarne radice e sostanza, nel ben noto
binomio di eros e thanatos,l’endiadi-opposizione di libido e
morte, assunti per via di una estrema semplificazione, con un’intensità quasi
aggressiva e sofferti per converso fino allo spasimo e allo sgomento: lo spasimo
che si aggrappa all’eros in nome della vita, lo sgomento di chi da esso
regredisce, per stanchezza magari e sazietà, verso immagini vertiginose. Il poeta cerca di nobilitare l' esperienza attraverso la
poesia, andando alla ricerca di un senso. Ci riesce? Sì, ci riesce, perché il
rapporto tra la sua esistenza e le "parole" viene offerto al lettore con
sincerità, con dolore, con forza. Temi e lingua sono quasi "basici", in altre
parole il poeta non ha la pretesa di scrivere cose di grande impatto. Una
quotidianità , che continua ad apparire irrimediabilmente destinata a corredare
una vita senza alte vette concettuali o di sentimento. Come non accettare che
la poesia abbia, nel suo intendimento di colloquio con l’altro, una funzione
sociale che sia capace di indirizzare, modificare, suggerire le flessioni
morali, che dovrebbero caratterizzare l’uomo nella sua più alta espressione di
individuo psicologicamente e culturalmente elevato ?
Nell’idea che siamo tutti scrittori oggi si entra in
una terrificante alterazione letteraria, mentre invece la letteratura è luminoso
specchio della vita di tutti i giorni, una cosa seria, altrimenti non varrebbe
la pena che ci fossero cattedre universitarie e facoltà in cui si formano i
giovani, per studiarla e coltivarla. L’aspetto industriale delle edizioni dalle
più piccole editrici alle più importanti, conferma che si stampa in eccesso , un
numero esagerato di copie, che rimangono in giacenza invendute, proprio perché
purtroppo ancora oggi metà degli italiani legge appena appena un libro all’anno.
Ecco lo spunto per parlarne e sottolineare che al giorno d'oggi non si fa più
poesia vera, perché troppe sono le proposte che vengono offerte da un sottobosco
incapace, e la preparazione ad una poesia alta è trascurata specie nella scuola,
ove i giovani in particolar modo sono sempre meno stimolati e sensibilizzati in
tal senso. E’ un'occasione, allora, per il tramite di queste riunioni e
presentazioni, di creare la possibilità di una chiacchierata da parte di esperti
e studiosi verso gli esordienti, verso i giovanissimi e verso i profani in
materia, ma che,in qualche modo, ci auguriamo possano, almeno per brevi ore,
essere toccati dalla nostra illusione poetica.
Desiderio e o solo speranza di trovare un appiglio, prima o poi, con questa cruda e spietata realtà. Ma questo è un discorso che ci porta lontano… Candide sono, infatti, le prospettive della poesia: la sua trasparenza, la sua obiettività, la sua mancanza di finalità che siano diverse dall’azione culturale, la sua purezza, il suo candore, la sua ingenuità, perfino, non sono in discussione. I poeti non sanno (o non dovrebbero sapere) che cos’è la malizia e la mancanza di lealtà, dovrebbero essere i bianchi paladini di una visione della cultura e della scrittura che non appaia insidiata né dalla corruzione morale né dalla macchia di azioni interessate e fraudolente. Il poeta è colui che si limita a riprendere, tematizzare, interpretare, chiarire, inquadrare orizzonti diversi, quegli che altri non riesce a puntualizzare. La scoperta di un senso ulteriore intorno a temi che sfuggono al dispersivo. Le vecchie idee in relazione ad una nuova idea cambiano in una sorta di entropia tendente a nuovo equilibrio che, pur contenendo quello precedente lo trasforma nella sua essenza. Le parole della poesia sono candide e la nerezza dell’inchiostro con cui sono stampate dovrebbe essere soltanto il loro segno tipografico, non spirituale. Le parole del poeta sono candide e la loro natura ancora virgo intacta dal loro contatto con alcunché di negativo. Esse sono bianche e tali vogliono restare. Il sacrificio più intelligente che possa chiedersi a un poeta: quello della rinuncia all’autocontemplazione, della riduzione assoluta dell’esibizione della propria maestria, della consapevolezza che ogni intelletto ha un limite oltre il quale non bisogna agognare. I cristalli sono ormai schegge di vetro, puntute e laceranti, e non gli appartengono più: appartengono al deserto paesaggio della illusione, ne costituiscono i residui fatiscenti. Egli deve proporsi come gioco testamentario, e come gioco furioso, giocoso, egli potrebbe essere luminoso programma di comunicazione, per saper dire l’indicibile, al di là di una poetica del frammento, rintronata e dentellata, urtante e folgorante, che va informando, con una prospettiva inconsueta, sulla relazione opera-industria-culturale-produzione, sull’enorme buco, nero e profano, da cui escono guizzi, scintille dell’adorazione, dell’allegoria o del rifiuto. La parabola stilistico esistenziale che riusciamo a carpire tra verso e verso dovrebbe sempre essere di una attualità sorprendente, che riflette con luminosi cambiamenti un percorso attento e sottile, una disincantata stesura capace di suggestionare ad ogni pagina: nulla di complicato o sfuggente che metta al rischio di immaginari attraversamenti degli spazi. La scrittura poetica, con una intensità del tutto personale e sensibilmente fascinosa, rompe l’isolamento dell’io ed invita al recupero del tempo, un’alterità che può essere mantenuta dal rapporto, nei confini di ogni brano, ove suoni e voci allestiscono la scenografia del tempo che trascorre, scomponendo lo scivolare delle polveri tra senso e senso. La poesia in genere è sempre il frutto di un incontro o di uno scontro tra l’io sprovveduto e assetato ed il mondo, agguerrito o sonnolento, tra l’io e la storia, con le occasioni multiple che ci condizionano o ci disorientano. Un dato di coscienza della sostanziale solitudine dello scrittore, per il quale nessuno riesce ad attraversare una tessitura tale che lo scenario possa realizzarsi senza polverizzarsi in segregazioni o scommesse inconsistenti. Continuità del flusso del linguaggio e densità della rete, che si dispone tutto intorno al foglio bianco, propongono il mistero sempre vivo della poesia, che vive del fecondo narrarsi, scandendo l’isolamento o il deserto che l’autore incontra, entrando ed uscendo con disinvoltura dal sipario di ogni testo, per portare alla luce gli accordi scelti con preziosa cura ed essere costantemente sul filo delle pieghe. Vivere nella poesia allora potrà consolidare ogni tipo di riconoscimento filosofico della personalità.
Desiderio e o solo speranza di trovare un appiglio, prima o poi, con questa cruda e spietata realtà. Ma questo è un discorso che ci porta lontano… Candide sono, infatti, le prospettive della poesia: la sua trasparenza, la sua obiettività, la sua mancanza di finalità che siano diverse dall’azione culturale, la sua purezza, il suo candore, la sua ingenuità, perfino, non sono in discussione. I poeti non sanno (o non dovrebbero sapere) che cos’è la malizia e la mancanza di lealtà, dovrebbero essere i bianchi paladini di una visione della cultura e della scrittura che non appaia insidiata né dalla corruzione morale né dalla macchia di azioni interessate e fraudolente. Il poeta è colui che si limita a riprendere, tematizzare, interpretare, chiarire, inquadrare orizzonti diversi, quegli che altri non riesce a puntualizzare. La scoperta di un senso ulteriore intorno a temi che sfuggono al dispersivo. Le vecchie idee in relazione ad una nuova idea cambiano in una sorta di entropia tendente a nuovo equilibrio che, pur contenendo quello precedente lo trasforma nella sua essenza. Le parole della poesia sono candide e la nerezza dell’inchiostro con cui sono stampate dovrebbe essere soltanto il loro segno tipografico, non spirituale. Le parole del poeta sono candide e la loro natura ancora virgo intacta dal loro contatto con alcunché di negativo. Esse sono bianche e tali vogliono restare. Il sacrificio più intelligente che possa chiedersi a un poeta: quello della rinuncia all’autocontemplazione, della riduzione assoluta dell’esibizione della propria maestria, della consapevolezza che ogni intelletto ha un limite oltre il quale non bisogna agognare. I cristalli sono ormai schegge di vetro, puntute e laceranti, e non gli appartengono più: appartengono al deserto paesaggio della illusione, ne costituiscono i residui fatiscenti. Egli deve proporsi come gioco testamentario, e come gioco furioso, giocoso, egli potrebbe essere luminoso programma di comunicazione, per saper dire l’indicibile, al di là di una poetica del frammento, rintronata e dentellata, urtante e folgorante, che va informando, con una prospettiva inconsueta, sulla relazione opera-industria-culturale-produzione, sull’enorme buco, nero e profano, da cui escono guizzi, scintille dell’adorazione, dell’allegoria o del rifiuto. La parabola stilistico esistenziale che riusciamo a carpire tra verso e verso dovrebbe sempre essere di una attualità sorprendente, che riflette con luminosi cambiamenti un percorso attento e sottile, una disincantata stesura capace di suggestionare ad ogni pagina: nulla di complicato o sfuggente che metta al rischio di immaginari attraversamenti degli spazi. La scrittura poetica, con una intensità del tutto personale e sensibilmente fascinosa, rompe l’isolamento dell’io ed invita al recupero del tempo, un’alterità che può essere mantenuta dal rapporto, nei confini di ogni brano, ove suoni e voci allestiscono la scenografia del tempo che trascorre, scomponendo lo scivolare delle polveri tra senso e senso. La poesia in genere è sempre il frutto di un incontro o di uno scontro tra l’io sprovveduto e assetato ed il mondo, agguerrito o sonnolento, tra l’io e la storia, con le occasioni multiple che ci condizionano o ci disorientano. Un dato di coscienza della sostanziale solitudine dello scrittore, per il quale nessuno riesce ad attraversare una tessitura tale che lo scenario possa realizzarsi senza polverizzarsi in segregazioni o scommesse inconsistenti. Continuità del flusso del linguaggio e densità della rete, che si dispone tutto intorno al foglio bianco, propongono il mistero sempre vivo della poesia, che vive del fecondo narrarsi, scandendo l’isolamento o il deserto che l’autore incontra, entrando ed uscendo con disinvoltura dal sipario di ogni testo, per portare alla luce gli accordi scelti con preziosa cura ed essere costantemente sul filo delle pieghe. Vivere nella poesia allora potrà consolidare ogni tipo di riconoscimento filosofico della personalità.
Antonio
Spagnuolo
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