I Vitelloni
Noi, studenti
universitari di quel periodo, (primi anni ’50 del secolo scorso) soprattutto
quelli che avevano scelto una facoltà che non prevedeva la frequenza, non
avevamo impegni pressanti di studio per cui, coccolati dalla famiglia, con una
certa disponibilità finanziaria della quale si preoccupava in genere il padre
di ciascuno, potevamo spendere i nostri soldi ed il nostro tempo anche
inutilmente. Eravamo giovani
di buona famiglia di una città di provincia e passavamo la maggior parte della
nostra giornata bighellonando tra il caffé, il bigliardo, la passeggiata, il
cinema e qualche scherzo “da prete” che dispensavamo all’allocco di turno. In pratica,
caratterialmente, potevamo essere assimilati ai “Vitelloni” di Felliniana
memoria, nella cui rappresentazione cinematografica ciascuno si poteva
identificare, secondo l’ambiente e la circostanza specifica. Dei monellacci,
non abbastanza cresciuti, fortemente rappresentativi di una certa fascia
giovanile italiana di quell’epoca ma, forse anche attuale, chissà. Vivevamo la
nostra goliardia come un patrimonio vitale, nell’attesa di una lenta e
consapevole maturazione. Vivere quella “bella vita” era per noi come vivere un
sogno, lasciarsi andare con indolenza tutta “araba”, farsi cullare, dolcemente
e trasportare dal trascorrere della vita, come se questa fosse stata un fiume
che, scorrendo molto, ma molto lentamente, ci avrebbe portati fino al mare, ma
il più tardi possibile. Il mare,
simbolicamente, rappresentava per noi una sorta di traguardo della vita, oltre
il quale, sarebbe finito “il bello” e ciascuno avrebbe dovuto smettere di
sognare per affrontare, di persona, le reali difficoltà dell’esistenza,
consegnandosi alle proprie responsabilità di persone finalmente mature. Noi,
tuttavia, i “Vitelloni”, belli, grassi, spensierati, incoscienti e soddisfatti,
non ci curavamo di questo, tutto al più, forse, era l’ultimo dei nostri
pensieri.
Certo, il grande
Regista cinematografico, con i suoi film tutti impregnati di neorealismo, aveva
centrato il problema sociale mostrando un vero
e proprio spaccato di un’epoca, sicuramente irripetibile, che anticipava
un altro grande fenomeno sociale degli ultimi anni ’50, il boom economico che
fece volare l’Italia per un certo periodo. Forse, quel modo
di comportarsi della nostra giovane generazione trovava la sua motivazione
psicologica nel benessere, da poco acquisito, dalle famiglie dopo l’incubo
della miseria e della fame e delle paure di morte e distruzione generate dalla
guerra. L’importanza della famiglia nella società italiana, il suo ruolo, nello
stesso tempo protettivo e limitativo sui giovani, aveva portato a concedere
troppo ai figli e, per una sorta di rivalsa sociale, tendente al recupero di
una vita migliore, aveva deciso che essi potessero avere tutto quello di cui
essa, per tanti anni, si era dovuta privare.
Vittorio
Sartarelli
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