Ugo Piscopo, Familiari, Oèdipus,
2011
Carmen Moscariello, Oboe per
flauto traverso. Parole per Ugo Piscopo
Di
Biagio Scognamiglio
Finalmente! Finalmente
ho la raccolta completa delle Familiari
di Ugo e le parole per lui di
Carmen. Carmen, Ugo … Ma allora è proprio vero che nomen omen ? Carmen ha la poesia anche nel nome di ascendenza
indoeuropea (*canmen), un nome che
canta. Ugo mi richiama alla mente il nome di quel caro autore della “Divina Commedia del Romanticismo”, un nome dallo spirito guerriero di
ascendenza germanica (Hug). E c’è una
sintonia che mi sembra sorprendente fra i versi di Ugo e la sinfonia
interpretativa di Carmen.
Non solo sinfonia. Le
parole, oltre che note musicali, come mette in evidenza il titolo del
contributo critico, sono per l’uno e per l’altra colori di una tavolozza (non a
caso nel testo interpretativo troviamo un richiamo a Salvador Dalì). Le sillabe
sono diventate crome e biscrome e nello stesso tempo cromatismo dell’iride. Si
suona e si dipinge con le sillabe. Carmen si è collegata in questi modi ad Ugo
ed ha creato, anzi ri-creato un mondo (1). Siamo sfidati a cimentarci con una
semantica nuova, pura, vergine come la foscoliana Venere e anche il nostro sorriso, leggendo, ascoltando,
osservando, va impercettibilmente affiorando e delineandosi sul volto, si
rinnova, diventa un “primo sorriso”.
Nella postfazione alle Familiari Ciro Vitiello approfondisce
magistralmente i sensi reconditi della poesia di Ugo, mettendo in evidenza nel
solco del saggio su L’inno Andenken di Holderlin le ascendenze della “scrittura
memoriale” e della “dissoluzione costruttiva dell’esperienza”: di qui i rimandi
al tessuto intertestuale che è parte della struttura di quest’opera poetica
devota alla grandezza del passato e protesa a un futuro di riscatto dal sempre
più precario presente. Perciò una domanda finale conclude la postfazione:
“Siamo in una regressione ad uterum o
nello sforzo di un incominciamento?” Ebbene, è l’impegno della rinascita (ri –
nascita) che mi sembra emergere nei versi da un silenzio e da un vuoto
innamorati dell’armonia di canti simili a zampilli di fonte e di toni candidi, rosei, celesti in
un’aurora.
In un “biglietto di
viatico”, che a mo’ di preambolo apre le Familiari,
il nostro poeta definisce questa splendida opera “un lusso … quasi postumo”.
Posso essere d’accordo con lui solo nel riconoscere in questa creazione in limine ciò che dantescamente
configura un incipit. Per me si
tratta non già di “un lusso che uno si può concedere tardi nella vita”, bensì
di qualcosa di essenziale come l’aria pura per il nasino di un neonato.
Dissentire dall’autore, che è il detentore del copyright dell’opera? Certo:
una volta che ci si sia addentrati nella “foresta spessa e viva” delle Familiari, si è in possesso come per
incanto della password del cuore,
segreta per ciascuno, identica per tutti, cosicché si rende possibile dare la
propria interpretazione autentica di quella soglia come limen, come varco, come ingresso nell’al di qua della giovinezza.
Proprio così: è insieme che si crea.
Non a caso Carmen
riporta il perentorio giudizio di Aniello Montano su Ugo Piscopo: “Ugo Piscopo
è un creativo”. Lo è anche sul versante architettonico per gli incredibili
equilibri delle sue strutture fantastiche, ora sul punto di svanire
oniricamente, ora di nuovo più salde che mai quasi ironicamente: infatti Carmen
ricorda Gaudì. E a Carmen va riconosciuto anche il merito di aver mostrato come
la giovinezza di Ugo sia eterna, ricordando momenti biografici
dell’intellettuale sempre impegnato, mai evasivo, e ripercorrendo tappe
salienti della sua produzione letteraria: Quaderno
ad Ulpia. La ragazza in mantello di cane, Haiku del loglio e d’altra selvatica verzura, Le campe al castello … Opera teatrale, quest’ultima, animata di
“santo zelo” contro gli “schiattamuorti” al potere.
Ugo Piscopo può essere
inquadrato sul piano della storia letteraria del Novecento e oltre solo così,
ripercorrendo tutta la sua produzione, che non è solo poetica, ma anche
saggistica. Il suo è un contributo innanzi al quale tanta presuntuosa e
sedicente gente di genio potrebbe provare un certo disagio nel rendersi conto
di essere se stessa, se fosse in grado di studiarlo nel senso profondo del
termine e di comprenderlo.
Non ho citato nulla dal
testo critico di Carmen e dall’opera poetica di Ugo? Proprio così: si tratta di
un testo critico e di un’opera poetica
che sono i lettori a dover scoprire nella loro interezza, senza parziali
anticipazioni. Così sarà il ritmo di tutte le liriche, un ritmo che costituisce
l’unitarietà della raccolta, a sorprenderli, a stupirli, a rapirli. Posso dire
soltanto che la lirica Alla ricerca di
Pasolini mi ha particolarmente
commosso per il suo toccante impegno civile e umano.
In definitiva, come
riassumere in breve il valore di Ugo? Direi che, leggendo le Familiari, si potrà convenire sulla
definizione che diamo di lui Ciro ed io, quando parliamo, per l’appunto, familiarmente: “è un bravo ragazzo”. E che dire di Carmen? Io direi che,
ascoltando il concento sublime del suo Oboe per flauto traverso, i lettori potrebbero convenire, parlando con ammirato
rispetto, su questo giudizio: “è una
brava ragazza”.
Biagio Scognamiglio
(1) Sia consentito un excursus
dialettale, che mi sembra anche esteticamente suggestivo, alla faccia di certi
denigratori del Sud: non vi è forse un senso di
rinnovamento del mondo ab origine
nella colorita e melodiosa espressione partenopea: “M’hai fatto arrecrià” (=
“Mi hai fatto ricreare” ovvero “Mi hai colmato di gioia”) ?
Nessun commento:
Posta un commento