Miriam Luigia Binda: ARGENTO
47 e altre poesie. Edizioni Helicon. Arezzo. 2010. Pp. 110.
Miriam Luigia Binda: IMPROVVISO
PROFONDO…. Edizioni Helicon. Arezzo. 2007. Pp. 128
La precarietà di un
tempo che secca ogni ricordo
M’amerai così
d’ora in poi
resterai di pietra.
Come nuvola
troverai
un giorno felice
se così ti penso
fioriranno le pietre.
La poesia di Miriam Binda è
tutta nella parola; sì!, nel suono che accompagna, alleato e fedele, le
modulazioni di un’anima sempre alla ricerca di se stessa e del mondo, nuovo un
mondo, che vada oltre la parola stessa. Perché
il sintagma e la cifra verbale della Nostra non sono solo malizia tecnica,
ma anche, e soprattutto, spontaneità,
che con una maturità sconcertante riesce ad amalgamare suoni, voci e spiriti in
una icasticità poetico-rappresentativa di grande impatto umano e dis/umano, di
grande impatto lirico-speculativo. La realtà viene macerata da un sentire così
irrazionalmente razionale, così impossibilmente possibile che si coniuga con
estrema facilità al sogno, all’immaginifico, all’unicità del personale. E di
grande aiuto è la natura con la sua vigoria, con la sua presenza tenue e
sfuggevole, ma efficace: una natura disposta e disponibile ad accompagnare il
gioco poetico, a volte drammatico, a volte ironico, a volte anche umilmente
felice: “Oggi è domenica e sono felice”. E tanti i tocchi naturali: “Io e te
stasera/ sappiamo di latte/ nel giardino dell’infanzia…”, “ricordo la
tua rana / e la mia lumaca bianca…”, “In viuzze di
lordure/ schegge di cemento…”. L’uva
della luna, Angela, L’usciere, la
domenica: sono tutte rappresentazioni che concretizzano stati d’animo
disposti a farsi vivi per esistere: “il giardino”, “la rana”, “la lumaca”, “le
viuzze”, o “le schegge di cemento”. Un animo cosciente della precarietà del
tempo, della sua inaffidabilità, di un’ora
che secca ogni ricordo. Ed è
pregna questa vèrve poetica di innesti filosofici, di concetti profondamente
metabolizzati e tuffati nel dipanarsi dei sentimenti (d’altronde la poetessa è
un filosofo, e i suoi studi hanno influenzato in qualche maniera e l’organicità
e la linearità del suo pensiero che, anche se personale e perspicacemente
razionale, è ben innervato di fatti vissuti e rivissuti, pensati e decantati da
tradursi agevolmente in poesia). Ma anche se un senso eracliteo dell’esistere
pervade la poetica della Nostra, non meno efficace è il proposito di slargare
lo sguardo oltre le cose, per ricavarne una verità che si regge, poi, sulle
incertezze dell’essere e dell’esistere.
E d’altronde quale terriccio più fertile per la poesia del dubbio; di
quel dubbio che l’alimenta e la spinge all’azzardo dei confini. Ed è proprio
l’azzardo, quello della parola, del verbo, è proprio lo sforzare i termini e la
sintassi oltre la cifra verbale a fare del racconto di Binda un’aspirazione
continua all’oltre; sì!, all’oltre, pur tenendo di conto della quotidianità, di
quella che serve all’autrice, sfoltita, per il suo messaggio di vita e di
pensiero: “Una parola, non te l’ho mai detta/ forse ti bastava t’amo/ senza
fine/ ora te la direi/ luminosi raggi/ l’artificio nelle vetrine/ è quasi
Natale/ non c’è attenzione per dolore”. Siamo
nomadi e non riusciamo a superare i limiti della nostra stanchezza. Riprendiamo
il viaggio ma non sappiamo dove andare (l’incertezza del vivere). Ma sono
sufficienti pochi tratti di una visione superlativa per slanciare l’anima oltre
quella realtà che ci rende labili nello spazio ristretto di un soggiorno.
Nazario Pardini
Nessun commento:
Posta un commento