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mercoledì 19 giugno 2013

PAOLO SANGIOVANNI: TRE POESIE



Paolo Sangiovanni

 
OMBRE






Squillò la suoneria da un’altra stanza
di un telefono forse inesistente
certo ignoto. Spergiuro. Ti cercai.

Ma il trillo sparve . E mi rimase l’eco
tutta la notte nella mente . E di
quel tuo ricordo che talvolta avevo
abbandonato fra i relitti in un
vecchio cassetto: tante meraviglie
rimpicciolite per le sciabolate
quotidiane dell’essere sul cuore. 

Tutta la vita insomma e le sue pene.

Così mi parve come se tu fossi
scesa a cercarmi dal tuo mondo ignoto
per richiamarmi all’ordine. O persino
per vendicarti della mia sguaiata
dimenticanza . E piansi per la mia
memoria truffaldina. Di truffato.

Ti affacci per tanti anni su un cortile
fatto di teste bionde e di gerani
e credi che sia quella la tua vita.

Ma poi ti accorgi lentamente che
dall’inizio alla fine quelle teste
sono tutte mutate. E quei gerani
sono morti e fioriti mille volte.
E tu non l’hai saputo. Raggirato
da una fretta abbagliante. E allora sai
che non era il cortile la tua vita
ma che sei stato tu con quelle teste
e quei  rossi gerani e quei pupazzi
un pezzo della vita del cortile .

                                                               


 
ELOGIO DEI DECIMALI




Non chiedermi inconsulti atteggiamenti
da uomo forte. Che decide a braccia.

Io non decido niente. Non so farlo.
E la mia debolezza è la mia forza

Io non sono un intero. O nessuna altra
cosa che può rassomigliargli ma
sono soltanto  un decimale. Un resto
posto dopo una virgola soltanto.

Ma questo mi dà forza in ogni caso.

I decimali sono l’avventura
nella numerazione,quel che sfugge
ai sentimenti rigidi segnati
dentro il rigore delle tabelline.

Sono così. E mi protegge il fatto
di essere decimale.
                               Io resto intero
quando gli interi in una divisione
o fra le righe di una sottrazione
smarriscono la loro umanità.

E si fanno sperduti, impreparati,
poveri decimali. Alla deriva.







STRADA FACENDO
Dal nuovissimo al nuovo


            
Ti dirò di mio padre questa sera
che rileggeva Sàlgari sul tardi.
E poi si addormentava con la testa
sul tavolo in cucina
                                  .Ti  dirò
di lui,dei suoi rimorsi. I suoi peccati
così veniali da stupirne adesso.

Perchè un padre è un’ellisse che ritorna
al punto di partenza ogni stagione.

Con le rondini,i crochi,gli ombrelloni.

E io penso che occorra ricordarlo
una volta ogni tanto nella vita
alla ricerca di quelle radici
che abbiamo lacerato nel cammino,
mendicanti di questa società
senza più Società. Destrutturata.

Deragliati,dispersi, ci accaniamo
sul povero più povero .E la notte
dentro i nostri lettucci immaginiamo
con invidia le vite dei più forti.

Degli assassini,dei lenoni,degli
usurai che ci smerciano parole
false,inutili,ambigue. A tradimento.

Ma dei perdenti,ma di nostro padre
no. Noi di loro non parliamo mai.

E invece poter dire qualche volta
del proprio padre quando non c’è più

senza false emozioni, solamente
con la turbata tenerezza di
chi sa che sta seguendo la sua traccia
inavvertitamente,è come fare
un cedimento al Buono. Al naturale.
Cadere mentre si parlava d’altro.

Come quelle fortezze medievali
definite imprendibili che poi
aperto solo un varco in qualche punto
i nemici invadevano a migliaia.

E non è una questione di vecchiaia,
di confusione ,di navi attraccate
ai porti del buon senso o della resa

Strada facendo mentre pedaliamo
credendo di redigere importanze
la catena si allenta e ci stanchiamo.

E all’improvviso diventiamo vecchi.

E un modo nuovo di lettura allora
più ragionato e tenero ci prende.
Ci regola la vita. E riviviamo
accanto  all’orlo del cratere che
sembra  ci stia inghiottendo e non lo fa
prima dell’ora ignota che ci attende.

Strada facendo mentre il tempo passa
tutti abbiamo paura di morire.

Ma non si può negare di esser vivi,
di essere stati vivi. Così allora
per non fuggire anch’io,per perdonarmi
ti dirò di mio padre questa sera.

Dopo mi sentirò solo e distrutto.
Come una cosa. Come una barchetta
che il vento spinge o che rallenta e ferma.

E tutto non dipende mai da noi.




                                            NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE




Paolo Sangiovanni napoletano settantunenne è sotto molti punti di vista un irregolare. Ha svolto studi tecnici; è esclusivamente poeta con rare apparizioni nel teatro e nella  saggistica; ha partecipato raramente  ad  iniziative letterarie che non siano i concorsi. Ne ha vinto (parliamo solo di primi premi) circa un paio di centinaia nei più di quarant’anni di partecipazioni tutti di un certo rilievo; dal prestigioso TIRINNANZI al CASENTINO (due volte) da IL GOLFO al CITTA’ DI CAVA, da IL PORTONE (quattro volte) al LIONS CLUB MILANO DUOMO, dallo SPALLICCI al NOSSIDE (premio assoluto) dal RHEGIUM JULII all’OLINTO DINI, dal PONTE SAN NICOLO’ (due volte) all’OSTIA LIDO, dal MONFERRATO al CITTA’ DI FIRENZE, dal CINQUE TERRE al CITTA’ DI CORCIANO. Ha pubblicato attraverso alcune di queste affermazioni a titolo assolutamente gratuito e ricevendone in premio le copie necessarie per l’espletamento di una reale attività consorsistica, 23 libri e libricini. Con alcuni di essi ha vinto anche interessanti  premi per l’edito superando nel confronto personaggi “autorevoli" della poesia italiana contemporanea. Ha anche concorso per la poesia dialettale (NAPOLETANO) nella sezione inediti vincendone  tutti i più noti premi nazionali. Per il teatro ha partecipato ai concorsi solo rare volte ed alla spicciolata. E’ stato comunque finalista al premio TRAIANO (Benevento,1989) e al Premio ANTICOLI CORRADO ( Roma,1994) cui si era già segnalato nel 1989. Nel 2004 ha vinto il premio LAGO GERUNDO (Paullo – Mi). Ha vinto anche premi per la saggistica. Non scrive racconti o romanzi.








Pa   
















































































1 commento:

  1. Paolo Sangiovanni è poeta di vaglia. Il mondo artistico a cui dà vita non è mai banale, perché intriso di eccezionale quotidianità, di folgoranti e stranianti soluzioni verbali. L'essere umano che è al centro di ogni creazione poetica di Sangiovanni è consapevole della sua precarietà e minimità, sa il limite invalicabilie della sua condizione e ne prende atto doverosamente (e talvolta ironicamente).
    Si tratta di una poesia senza orpelli, raccontata con sapida umanità e accentuata fascinazione.
    Questa è l'impressione che ho ricavato nel corso tempo dalla lettura di testi racimolati qua e là.
    Complimenti a Paolo!
    Pasquale Balestriere

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