A un anno dalla scomparsa della poetessa Anna Maria Galasso la scrittrice Luisa Martiniello gradisce ricordarla facendo conoscere agli amici una sua recensione (pubblicata sul quaderno quadrimestrale "I fiori del male", anno VI, n°49, maggio-agosto 2011), sull'ultimo lavoro della stessa poetessa "Nell'alba di una nuova vita", prima che il male la ghermisse definitivamente. La Galasso avrebbe voluto partecipare nuovamente al Premio Letterario "Aeclanum", di cui la Pr.ssa Luisa Martiniello è animatrice e degna erede del padre Prof. Pasquale, illustre scrittore e fondatore, ma non ne ha avuto la possibilità né la forza. Un mese prima di morire ha chiesto di vedere Luisa in ospedale e le ha affidato tre sue liriche da leggere in occasione della premiazione, come suo omaggio e impalpabile presenza, cosa che Luisa puntualmente e affettuosamente ha fatto. Oggi, (afferma la scrittrice) le manca un'altra voce al telefono.
Anna Maria Galasso : “Nell’alba
di una nuova vita”, Laceno 2010.
“Nell’alba di una nuova vita” può
considerarsi il diario di un percorso, di una opportunità, che, tra pagine di
densa prosa riflessiva e altre di levità lirica, trasforma la malattia da
dramma personale in “grimaldello”, porta che apre su una nuova dimensione di
vita, in ricchezza d’amore.
Quando la sentenza è chiara,
netta, con lucidità si prende atto del tempo sprecato in gesti di una
quotidianità scontata, privi di significato. Quanto più il baratro del non
essere afferra le caviglie, tanto più insistente è la liana della sfida che si
offre quale appiglio per la “fermentazione”, la “trasformazione”. E ciò che è
negativo immediatamente si pone come opportunità di conoscenza, ma anche di
crescita soprattutto spirituale.
E’ condivisibile il pensiero
dell’autrice: “…si diventa adulti solo nelle difficoltà. E’ vero che il dolore
ostacola la serenità della vita, ma è altrettanto vero che solo l’incontro con
il dolore e con la morte ci rendono più forti e capaci di cogliere il senso
della vita, il senso di tutto ciò che accade”. E il dolore va accettato,
vissuto come prova nella volontà di Dio, per scoprire nuovi ritmi di vita,
perché dopo ogni tramonto il buio nasconde solo e sempre un nuovo giorno. Ogni
alba è lo slancio
primigenio per il malato che deve
rendere migliore l’io “definito e temporale”. L’occhio coglie la bellezza
dell’universo e la finitudine finisce per far sentire l’io parte di un progetto
infinito in un abbraccio cosmico. La colpa di essere sopravvissuta a chi troppo
presto se ne è andato non è più “sardonica irriverenza alla morte altrui, è
coraggio di confronto e di sfida” per non avvilire l’esistenza.
Nella malattia si scopre che il
silenzio fra veri amici “è la più bella
delle conversazioni”, che averli vicini permette di “tenere a bada le tenebre”, sì che parlare di
arte, musica, poesia diventa il lievito per alleviare dolori e l’attimo di
scoramento che vorrebbe risucchiare dolcemente tra le braccia di chi non c’è
più finisce per essere in contrasto con una struggente sofferenza che si legge
negli occhi di chi condivide la stessa camera d’ospedale, lo stesso corridoio
ed è in trepidante attesa dell’uno di turno dalla sala operatoria e fa battere
il proprio cuore all’unisono nello
smarrimento, ma anche vittorioso ad alimentare un legame d’amore e solidarietà
senza distanze o differenze di età. Solo, infatti, guardando oltre se stessi
non ci si sente “amputati”, ma “vivi”, confidando in Dio e nella Scienza.
E Cristo è quel Padre che resta
vicino al dolore di ogni figlio, perché il dolore “non merita la fuga”, ma è il
pedaggio da pagare per ricevere negli occhi una
stilla della Sua rugiada e ritrovare nel cuore una dolce melodia che distrugge
l’inquietudine, fa fiorire l’anima per “un nuovo mattino,/nel più felice di
tutti i risvegli”, “testimoni /dell’unica verità”. Più alta diviene la
sensibilità, la capacità di cogliere il vibrare e fremere nelle cose sì che si
può essere ammaliati dal “ messaggio del vento e di un prato ammantato
di rugiada”, dalle promesse d’amore nelle “guance infuocate”dei papaveri, dalla
delicatezza degli affetti che promettono continuità nelle braccine tese e nelle
“ manine con le dita a stella marina” della
nipotina Giulia.
La bellezza della Natura è il
pane quotidiano del cuore e dell’anima in un connubio di raccolta intimità nel
piacere del “non –pensiero”, è la fonte di serenità, di preghiera, luogo da cui
si parte senza partire, da cui l’anima nuda si apre a echi d’infinito per
essere colmata di beatitudine, di quella beatitudine “che danno le
cose/semplici ed eterne”. Le rughe del viso se rispecchiano “una levigatezza
interiore”sono segno che il tempo non è più sentito come dolore, che ci si è
riappropriati del piacere del sentirsi pensare, che è tempo di agire non di
reagire, si è liberi di essere , beffandosi del tempo reale. I solchi
dell’anima possono coltivare sentimenti migliori per aprirsi al senso “magico”
della vita, al “prodigio del mondo”, perché solo l’Amore fa scorgere “la luce oltre l’ombra,/l’aurora oltre il
crepuscolo;/…//la speranza oltre lo sconforto” e solo “l’Amore trionfa sempre
sul tempo e sulla morte”.
Luisa Martiniello
Nessun commento:
Posta un commento