IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA di Ninnj Di Stefano Busà, Ed. Tracce, Pescara, 2012
pp, 84
Come non rimanere abbagliati – va detto subito da parte mia - dalla prima lirica della suddetta silloge poetica? Essa, infatti, di cui cito il verso incipitario: “Non che io conosca la geometria dell’aria”, risulta a parer mio governata da una sicurezza del ductus poetico assoluta. Tant’è che, nei versi della poesia, si passa dall’io al noi per approdare al bellissimo infinito sostantivato “Rinascere poi…” in chiusa, attraverso un vorticoso moto centrifugo distante dall’immobile, verticalizzato io poetico in grado di sedurre tuttora poeti anche raffinati. No, nella lirica in oggetto la sintassi quasi scappa di mano (nel senso più positivo che si possa immaginare) con la stessa sapienza che riconosciamo ai grandi romanzieri indugianti su figure e dettagli apparentemente marginali rispetto alle ragioni ergocentriche di quanto vanno raccontando. Così dicendo, si dà per scontata la sprezzatura di Ninnj Di Stefano Busà nei confronti dei correlativi oggettivi; nel senso che, nella lirica in questione, la corrente poetica passa dagli umani alla “foglia che marcisce e alimenta la notte” senza divario ontologico; suscitando davvero l’impressione di una musica “sinfonica”; all’aperto, piuttosto che “cameristica”; in ogni caso moderna, tagliente, dinamica quanto più non si potrebbe. Il fatto che io indugi parecchio su questa prima lirica della silloge non deve sorprendere; avendo particolarmente ammirato, in essa, stilisticamente parlando, la splendida inarcatura “notte/incombente”: laddove la pausa metrica è talmente felice da indurre il lettore a sostare con il pensiero, mentre si allarga minaccioso l’abbraccio notturno (caso esemplare di un significante che irrobustisce non poco tramite il proprio plus-valore l’emissione di senso). Ma non posso neppure trascurare uno stilema piuttosto incisivo, della scrittura poetica di Ninnj Di Stefano Busà (sempre in merito alla suddetta lirica): alludo alle rime intra-verso (“Possediamo il godimento, il ramo stento”; “eppure è chiaro il giorno, c’è tanta luce intorno”)…quante bellezze, insomma, in questa prima lirica della raccolta! e quale marcata problematicità di pensiero fino all’esplosione finale di luce! raramente, mi spingo a dire, un libro di poesie parte così forte come IL SOGNO E
“Ci pensano gli anni a puntellare
l’agguato delle ali, la liturgia
che imporpora il sonno alle ortiche.
Vi è un dolore talvolta sottile che spacca
le argille, spande i suoi silenzi
nei grumi, come il vento tra i rami.
Vi rovista il cuore nella follia degl’interludi,
ha sandali di rovi, tutta la solitudine
degli oceani, qualche seme tenace di orgoglio
a incarnarsi al libeccio, a ferire
il disavanzo della carne che deterge il dolore”.
Ebbene, riguardo a questa lirica, andrà osservata la raffinata e sinestetica quasi rima “sottile/argille” (peraltro preceduta dalla suggestiva giuntura “l’agguato delle ali”); per tacere della annominazionerovesciata “Vi rovista…/ ha sandali di rovi” (laddove nell’azione del verbo “Vi rovista” è già concepito il nome, ossia i “rovi”. E dello stupendo verso di chiusa finemente allitterato non vogliamo dir nulla, tutto egemonizzato, sul piano fonosimbolico, dalla consonante D, a preparare il “dolore”, parola che suggella la lirica? Ma è tempo di abbandonarsi a una lettura tutta interiore della suddetta lirica, al di là della sua pur finissima trama sommariamente evidenziata…a Ninnj Di Stefano Busà va in conclusione il mio profondo ringraziamento per avermi offerto, con la silloge IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA, il dono di una grande, toccante e coinvolgente poesia.
Andrea Mariotti, agosto 2012
Stupenda esegesi del testo, svolta da un esteta di grande sensibilità e di forti risorse intellettive. Mi piace la sottolineatura di quella sinfonia musicale (vogliamo definirla wagneriana?) che coinvolge tutto il vivente in unitaria avventura, senza distinzione tra oggetti e soggetti umani. Un fuoco pirotecnico, quello della Busà, la cui onda poematica segue il dipanarsi di un pensiero non pensato, ma come colto nel vento (in "media res2, per l'appunto, come dice Mariotti). Una poesia che, in linea con quanto detto, da un punto di vista semantico si muove "tra umano calore e nichilismo del pensiero", Tra slanci e cadute, in un'altalena reiterante (ancora wagneriana?)che oscilla tra la gioia e il dolore per i doni elargiti e cancellati dalla natura. Complimenti per questa puntuale e profonda lettura.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Grazie, caro Franco, per il tuo gratificante commento. Sono consapevole del valore filosofico della parola "esteta" da te usata nei miei riguardi e te ne sono riconoscente (anche se io mi sento e rimango,credo, semplicemente un poeta attento al "labor limae" in virtù del quale l'emissione di senso, in poesia, risulta quanto mai potenziata). Il caso della Busà è esemplare al riguardo, come mi sono sforzato di mostrare nella recensione alla sua splendida silloge.
EliminaAndrea Mariotti
Andrea Mariotti è una mente fertile e sensibile alle grandi arti, a cominciare dalla musica e finire alla poesia. Grazie di questa nota molto precisa e dettagliata che fa di Mariotti un particolarmente attento alle doti intellettuali. Sono grata a Franco per averlo ricordato nella sua veste di critico che non lascia intentata nessuna analisi e indagine di grande caratura e di profonda osservazione intimistica e attitudinale.
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
La mia stima per il lavoro poetico di Ninnj Di Stefano Busà è grande; questo solo posso aggiungere qui (lo ripeto fino alla noia: trovatemi un'altra voce poetica contemporanea capace di abbattere il divario ontologico fra le varie forme di vita... evocate in modo così istintivo, direi!).
EliminaAndrea Mariotti