Antonio Spagnuolo, Il senso della possibilità, Nota
introduttiva di Carlo di Lieto, Kairós Edizioni, maggio 2013,
14 euro.
14 euro.
il páqoj dell’uomo Antonio Spagnuolo
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
(Pavese)
after death.
The undiscover’d country, from where bourn,
No traveller returns
(Shakespeare, Hamlet, Act 3, Scene 1)
Der Tod ist kein Ereignis des Lebens. Der Tod erlebt man nicht.
(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 6.4311)
Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schwelgen
.(Wittgenstein, Tractatus Logisch-Philosophische Abhandlung, 7)
e Spagnuolo, In memoria di Elena, in Il senso della
possibilità:
il giglio del tuo cuore cede alle notti
ed il mio canto piange un corpo eroso.
(III)
Adesso devo morire anch’io
per sparire nel nulla,
o per scoprire
dove si cela la tua sembianza.
(VII)
Muteranno i colori: il giorno mi riporta
quelle parole tue già nel destino.
Ripetutamente offuscate nel sudario del canto.
(XII)
(un
paragrafo, invano a mente fredda, ma che sía, al fine, l’unità
sintagmatica che da qualche tempo
mi
ossessiona scartabellando l’antico libro chiamato di volta
in volta vocabolario œ dizionario da questa parola a quella parola. saggezza ci
dice del prepararsi alla morte: saggezza che già ha trovato voce piena e
esortatrice in un mastro d’arte; per l’altra
faccia della vita.)
della
morte non si può dire, ma la si può pensare, e la vive quando a morire è una
persona congiunta, intima. medico - uno déi tanti medici e nel contempo validi
scrittori (per esempio, penso a Gottfried Benn -, fra i grandi poeti e
scrittori della prima metà del Novecento), il poeta Antonio Spagnuolo accade
nel morire di Elena - In memoria di Elena, tredici poesie in Il senso
della possibilità -.
Antonio
Spagnuolo: egli stesso, a ultimo capoverso della sua autobiografia in Autodizionario
degli scrittori italiani di Felice Piemontese, Leonardo 1990, pagina 335,
cosí si autopresenta quale scrittore poeta: «L’incontro fra
psicologia↓ e linguaggio è stato sempre come il substrato di
ogni sua esperienza poetica, dentro una lingua reinventata all’uopo
per la lapidarietà del verso folgorante, che procede per squarci immediati e
subito avanza alla scoperta di nuovi orizzonti.».
ora,
la sua psicologia↑ è terribilmente ferita,
dolorosa, mortificata, è páqoj, la
dipartita di Elena, la compagna del desolato Antonio, l’attesta il
poemetto In memoria di Elena I-XIII
posto a explicit del volume.
la
scrittura di Spagnuolo è incandescente - il Pablo Neruda dalla Terra del Fuoco
-, ma laddove nel volume si è in presenza della morte di Elena il linguaggio,
pur rimanendo acceso, per cosí dire si snoda ‘a fuoco lento’, snodo doloroso da esperienza
luttuosa; ‘a fuoco lento’, d’accordo, ma la materia linguistica non si
priva dell’infiammarsi, pur nell’addolorarsi.
il
lettore ha da immedesimarsi, gli è richiesto il grande sforzo, per cosí dire, ‘ermeneutico’
(… !), dovuto all’irrimediabile, una vita umana,
e cara a chi le è stata al fianco, stroncata.
¿‘parlare’
della Morte? ‘parlare’ alla Morte. nelle tredici sezioni del
poemetto, Spagnuolo ‘parla’ dell’esperienza che vive - l’esperienza -
della morte di Elena in lui, l’uomo Antonio Spagnuolo. il
tema, il protagonista è dunque umanamente e dolorosamente vivere dentro di
sé la morte della persona amata. la tematizzazione impone un compenetrarsi
di reciprocità fra il tema dell’umanamente e dolorosamente vivere dentro di
sé la morte della persona amata e il segno-sintagma dell’umanamente e
dolorosamente vivere dentro di sé la morte della persona amata.
*
non
nascondo l’imbarazzante situazione che mi sono ‘creata’ dopo aver chiesto ad
Antonio di poter scrivere - di … scrivere! (sic!) - intorno all’ultima
parte della silloge - Il senso della possibilità -, gentilmente
accondiscendente Antonio. ‘parlare’ della Morte, e per giunta, della
persona cara al mio amico poeta!
rileggo
le poche righe di cui sopra, ripensando agli eserghi che ho posto e che mi
paiono oltremodo confacenti con la ‘realtà’ e con lo ‘spirito’ del dramma
pervadente la poesia. ¿ma potrei mai arenarmi in una sorta di asettica
operazione da critica letteraria di fronte all’estremo di esperienza viva di
chi vive il páqoj ovvero
l’intensione pàtica com’è il morire
dell’altro che ci è stato congiunto nella vita di tutti i
giorni, da ciascun giorno a ciascun giorno? a
questo punto, vale l’uso del verbo all’infinito
e non il sostantivo, entrambi nomi, ma ¡quale e quanta differenza di
valenza attraverso le selezione e elezione del lessico! -.
ho
provato a trascegliere qualche verso dal testuale a mo’ non tanto di
costume stucchevolmente citatorio quanto a misura di exempla, di espressività
della significazione del segno, del senso come complessione; ma ho desistito
nell’abbondare, perché troppi e ancóra troppi i versi che
sarei stato costretto riportare causa il valore del complesso sia attinente
allo stilema sia attinente al grido del corpo d’anima ferito.
… e giammai potersi ‘smemorarsi’ in un
grido come l’Ungaretti del Dolore («Tutto ho perduto dell’infanzia / E
non potrò mai piú / Smemorarmi in un grido.» [da Tutto ho perduto,
il corsivo è mio]), un grido apparentemente liberatorio.
Elena
‒ ciascuno ha la sua Elena, la sua morte di congiunto œ amico, comunque
dell’altro, ciascuno con il suo lamento di essere vivente spogliato delle
possibili difensive categorie consolatorie a rinforzo del continuarsi a
vivere, come se Elena, o chi per lei, non fosse continuamente presente con il
suo morire, di morte. ma qui è bene tagliar corto, la Morte è l’altra
faccia della Vita; e si ripeta: se la Vita, che pur viviamo, suona enigma
alla comprensione della nostra conoscenza, ¿non lo è forse la Morte, sí da
esserne noi gl’ignoranti? e dunque valgono, a
pezze d’appoggio, lo Shakespeare e i Wittgenstein di questo
mondo cólto e da culto affrontato dalla loro saggezza.
Raffaele Perrotta
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