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martedì 17 settembre 2013

FRANCESCO BUCCI: EUGENIO SCALFARI. L'intellettuale dilettante




Francesco Bucci: EUGENIO SCALFARI. L'intellettuale dilettante
Società Editrice Dante Alighieri. Roma. 2013. Pp. 158

Introduzione (parte) 
per concessione dell'Autore



Eugenio Scalfari1 è stato un grande direttore di giornale ed è tuttora un grande giornalista. I suoi editoriali di politica, di economia, di finanza, di costume sono esemplari per lucidità di analisi e chiarezza espositiva. Allorché, verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, ha lasciato la direzione di la Repubblica ed è andato in pensione, nella sua mente si deve essere accesa una luce che gli ha indicato un percorso nuovo e difficile, che egli ha subito intrapreso con giovanile entusiasmo ed ancora prosegue con instancabile lena. L’idea luminosa deve essere stata quella di lasciare ai posteri un’immagine di sé più alta e nobile di quella del semplice giornalista che, per quanto grande, ha pur sempre a che fare con la banale attualità. E, poiché il suo mestiere è quello di scrivere, il modo più semplice per raggiungere l’immortalità deve essergli sembrato quello di trasformarsi in saggista e di occuparsi in tale veste dei massimi sistemi. Fatto sta che ha iniziato a pubblicare un libro dopo l’altro,
con una forte accelerazione negli ultimi anni: Incontro con Io (Rizzoli, 1994), Alla ricerca della morale perduta (Rizzoli, 1995), Attualità dell’Illuminismo (Laterza, 2001), L’uomo che non credeva in Dio (Einaudi, 2008), Per l’alto mare aperto (Einaudi, 2010) e Scuote l’anima mia Eros (Einaudi, 2011).
Libri con i quali si inoltra, con piglio gagliardo e passo sicuro a dispetto dell’età, nei più vari campi del sapere: filosofia, letteratura, storia, psicologia, arte, scienza. Tutto, insomma, fuorché politica, economia e finanza, su cui – per nostra fortuna – continua a intrattenerci ogni domenica sul giornale da lui fondato. Non più, dunque, solo il giornalista costretto ad occuparsi di questioni che, seppur importanti, sono comunque di ordine “pratico" come le qualificherebbe il suo filosofo di riferimento, Benedetto Croce, ma l’intellettuale “puro” che, crocianamente appunto, frequenta lo Spirito nella sua forma teoretica e guarda pertanto le umane vicende non più nella loro volgare quotidianità, ma sub specie aeternitatis. Questo, sì, è davvero un bel modo per concludere una lunga vita già piena di soddisfazioni e di successi e, soprattutto, per passare alla storia (della cultura e non solo del giornalismo), finalmente a fianco dell’amico Italo Calvino. Ma c’è un però. Purtroppo per ES e per le sue ambizioni, e purtroppo per i malcapitati lettori, i suoi libri, se risultano qua e là di un qualche interesse sul piano autobiografico, sono privi di qualsiasi valore sotto il profilo propriamente culturale. E questo per il semplice motivo che sono opere di un dilettante. ES scrive infatti i suoi libri da giornalista, qual è e quale rimane. E il dilettantismo, lo sostiene ES, è caratteristica tipica di tale professione. Avendo praticato quella professione e conoscendola dal di dentro, credo che il modo giusto di definirla sia la parola “dilettante”. Il giornalista deve tradurre i linguaggi specialistici dell’uomo politico, dell’economista, del burocrate, del tecnico, dello scienziato […] in una lingua comprensibile a tutti, chiara dove il suo interlocutore è stato oscuro, decifrandone i tecnicismi e il gergo specialistico. È naturale che il giornalista non possieda conoscenze approfondite. Sarebbe un Pico della Mirandola e non un impiegato addetto alle notizie. La sua è dunque una cultura dilettantesca, un’infarinatura approssimativa […] E tuttavia è, a suo modo, un grande specialista: specialista di dilettantismo. (L’uomo che non credeva in Dio, p. 95).
La stessa tesi l’aveva già espressa, in maniera più sintetica, in un articolo (la Repubblica, 21 maggio 2004). […] la funzione di giornalista è quella di essere un dilettante di professione. Importa poco che tu possa conoscere il regolamento della Camera o il clima delle piante dell’Africa centrale e via dicendo: non è pensabile che tu sappia ogni cosa, ti si chiede invece una forte infarinatura di cultura generale […] Introduzione – 9 Se sostenuta da un maestro del giornalismo, la tesi sarà senz’altro giusta. Ma in un’intervista (L’Espresso, 13 maggio 2010) ES giunge a sostenere che anche l’intellettuale debba rifuggire dagli specialismi.
Chiede l’intervistatore, con riferimento a Per l’alto mare aperto:
Lei parla tra le altre cose del ruolo degli intellettuali e spiega come questa figura sia legata all’idea di modernità. Con il passaggio d’epoca avremo ancora degli intellettuali o solo degli specialisti in determinate materie?
Risponde ES:
Il rischio che sia la tecnologia a guidare l’uomo e non l’uomo la tecnologia, esiste. E lo specialismo aumenterà, ma a questa tendenza gli ultimissimi moderni hanno reagito. Basti pensare a figure come Paul Valéry, Eugenio Montale e Italo Calvino. Sono persone che hanno parlato di tutto, perché la modernità non è specialismo. Il pensiero moderno comporta l’universalità. Ecco subito un bell’esempio di teoria e pratica di dilettantismo intellettuale. In poche righe ben due errori: uno di tipo “linguisticoconcettuale” e uno di tipo “culturale”. Il tutto, ancora, all’insegna di un crocianesimo di risulta: se i tecnici sono condannati allo specialismo, gli intellettuali devono adempiere alla loro missione “universale” occupandosi e parlando di tutto. Peccato che il contrario di “specialismo” sia “generalismo” e non “universalità” (e che i contrari di “universalità”, a seconda dell’accezione in cui il termine viene usato, siano “particolarità” o “parzialità”). Si tratta, infatti, di parole che esprimono concetti non opposti ma eterogenei: “specialismo” indica il possesso di competenze circoscritte, ma approfondite; “universalità” indica o l’appartenenza all’intera umanità di un “qualcosa” (valori, diritti,
ecc.), o un insieme di “cose” considerate nella loro totalità. L’epoca moderna, inoltre, per l’enorme sviluppo e diversificazione delle conoscenze, non può che essere un’epoca di specialismi in tutti i campi, a differenza del periodo rinascimentale, che ha annoverato tra i suoi massimi intellettuali proprio quel Pico della Mirandola citato da ES. E quindi l’intellettuale moderno non può essere un 10 – Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante Pico, ma per il motivo opposto a quello per cui non può e non deve esserlo un giornalista: perché è tenuto a padroneggiare quella, e solo quella, porzione dello scibile di cui professionalmente si occupa. E proprio per ciò non può “parlare di tutto”, se non allo stesso titolo di un giornalista “generalista” ed allo stesso modo di questi: dilettantisticamente, appunto. Come quando, ad esempio, Antonino Zichichi parla di teologia e Gianni Vattimo di scienza.
Si potrà obiettare: ma si trattava solo di un’intervista!...
(...)
Intervistato dal Fatto Quotidiano (15 luglio 2011) sul Meridiano in questione, allora in cantiere, Giulio Ferroni si è ad esempio espresso in questi termini:
(Quanto ai Meridiani dedicati ai giornalisti) […] si tratta di un appiattimento sul presente. Scalfari è un grande giornalista, ma quale Scalfari verrà meridianizzato? Gli articoli o le opere di memorialistica
possono andare, ma il resto… Non mi faccia dire cose crudeli. E prudentemente, appunto, si astiene dal dirle. 
Le dice, invece, il libro che vi state accingendo a leggere. 


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