PIETRO RAINERO
La vera storia dell’isola
L’ispirazione non veniva. Niente da fare. Eppure era a Parigi, metropoli crocevia di razze
diversissime, calderone di eventi i più disparati, situazioni le più stravaganti. In quale luogo più stimolante poteva
desiderare di stare un artista quale lui, uno scultore? Ma……non si comanda all’estro! Nessuna idea, nessuna statua. Camminava per gli Champs Elysées, nulla! Girovagava per Montmartre, nulla! Visitava la stazioni del Metrò, nulla! Era salito perfino sulla sommità della Tour Eiffel, nulla! NIENTE DI NIENTE.
Sconfortante. Era uno scultore famoso, che aveva donato ai suoi simili
opere immortali, ammirate in tutto il mondo: le ballerine, il portiere durante il calcio di
rigore, la capra, l’orologio a cucù.
Ma da qualche mese………zero assoluto. Non poteva lavorare su commissione, non l’aveva e l’avrebbe
mai fatto. Non era in grado di scolpire senza la giusta convinzione, senza la spinta
dell’ispirazione. Prese la grande decisione: partire. Forse la vista di luoghi nuovi, remoti, l’avrebbe scosso,
avrebbe fatto scattare la scintilla apportatrice di nuove idee.
Forse l’esilio in paesi esotici avrebbe caratterizzato una
nuova fase della sua produzione artistica, come era accaduto a Gauguin. E scelse proprio un’isola sperduta del Pacifico. Vi ci arrivò otto mesi dopo, al termine di settimane e settimane di impervia navigazione su di
un’elegante goletta. Si accordò col comandante della nave affinché quest’ultimo
ritornasse a riprenderlo dopo 12 mesi. Sperava che quel lasso di tempo potesse essere foriero di
rimarchevoli opere. Scaricò l’equipaggiamento costituito da martelli, scalpelli,
pennelli, tele ( abbozzava sempre i suoi soggetti in un quadro prima di scolpirli ) e pochi indumenti leggeri ed infine si
congedò dal capitano del vascello.
Gli indigeni gli riservarono un’accoglienza degna di un Re.
Collane di fiori al collo, danze di leggiadre fanciulle poco
vestite, coktails di succo d’ananas e, meraviglia delle meraviglie, si vide assegnare come dimora
la capanna posta nel luogo più alto dell’isola, da cui si godeva un panorama a dir poco
incantevole.
In poche settimane diventò amico di tanti isolani e tutti
questi, circa un migliaio, lo conoscevano di vista o di fama.
Spesso si recava al mercato ad osservare l’andirivieni della folla, i
gesti e le espressioni dei venditori, le lunghe contrattazioni prima
degli acquisti. Sovente passeggiava
sulle alture dell’isola a scrutare il lontano orizzonte, le
molteplici sfumature del blu dell’oceano, i minuscoli catamarani cullati dal vento, le albe ed i
tramonti. A volte si coricava sulla
sabbia finissima delle stupende spiagge a crogiolarsi al sole
studiando le mutevoli forme nelle quali si trasformavano le nuvole che giocavano nell’azzurro del
cielo.
Chiudeva gli occhi e respirava profondamente, espirando ed
inspirando lentamente, cercando l’ispirazione. Potremmo dire che ricercava l’ispirazione con l’inspirazione. Ma l’inspirazione c’era, l’ispirazione ancora no.
Ancora niente da fare, anche la vacanza- lavoro non serviva
a nulla. Il nostro artista era molto depresso. Gli abitanti dell’isola erano
invece felici ed eccitati dalla prospettiva di festeggiare l’anniversario della
scoperta di quel fazzoletto di terra abbandonato nel vasto mare, scoperta fatta dal loro popolo esattamente
cinquecento anni prima.
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Un evento importantissimo, storico. Gli sguardi erano radiosi, i modi gentili, la collaborazione totale. Si respirava ovunque ( sia inspirando che espirando ) un’aria di gioiosa attesa del giorno dei grandi festeggiamenti, con le parate, la gara delle piroghe, il grande banchetto notturno sotto il caldo, stellato cielo.
Tutti gli abitanti dell’isola avevano la felicità scolpita
in volto. La mattina di sabato 3 aprile, vigilia della storica ricorrenza, accadde un evento
straordinario. Tutti ( proprio tutti! ) i mille indigeni si svegliarono con
l’orecchio sinistro arrossato e molto gonfio. Quando si resero conto, uscendo dalle capanne con l’orecchio
bruciante, che la patologia era generale, si riunirono doloranti e preoccupati sulla spiaggia
principale a discutere l’accaduto. La situazione era disarmante. Essendo tutti con febbre alta e fastidi
vari, la possibilità di
effettuare la festa programmata era fuori discussione. La grande ricorrenza era sfumata. ( Come potete constatare le orecchie non
causano solo la sfumatura delle acconciature, ma a volte anche quella degli
anniversari ). Sulla spiaggia si accese una serratissima discussione: se i
festeggiamenti erano andati in fumo,
perlomeno i nostri amici indigeni volevano rendersi conto
del perché. Per l’artista, unico superstite del “contagio” ( chiamiamolo
così ), era uno spettacolo inconsueto: un migliaio di persone, tutte con un orecchio nella norma e
l’altro gonfio, che col morale sulla sabbia ed i nervi a fior di pelle parlottavano freneticamente.
Un medico prese la parola per dire: “ Lo so che state pensando tutti agli orecchioni, bene: la
parotite, come sapete, è fortemente infettiva, causata da un virus, e colpisce soprattutto i
bambini dai 5 ai 12 anni. Il virus si
localizza nelle parotidi, ma può propagarsi anche alle ghiandole
sottolinguali e sottomandibolari.
Il sintomo più evidente della malattia è il gonfiore sotto
alle orecchie, è quella infatti la posizione in cui si trovano le parotidi, che si ingrossano per
l’infezione provocando la sporgenza in fuori dei lobi auricolari facendo sì che il malato sembri avere orecchie
più grandi del normale. La guarigione completa si ha dopo 10-12 giorni e ci si
ritrova poi assolutamente immuni, cioè non si contrarrà mai più la malattia, per tutta la vita. Anche se nessuno di noi l’ha fatta perché qui siamo isolati,
manca comunque il gonfiore tipico del collo sotto le orecchie: no!
Non è parotite, categorico! ”. “ E cosa è? ” domandò il capo del villaggio saggiando con una mano il calore del suo
padiglione auricolare.
“ E’ indubbiamente una infiammazione dell’orecchio sinistro,
ma non posso precisarne meglio la causa. Potrebbe essere dovuta però a punture da insetti ”. “ Ridicolo! ” esclamò
un matematico con un’orecchia a sventola, anch’egli abitante sull’isola. “ Tutti noi veniamo punti da insetti una trentina di volte
all’anno, e quindi la probabilità che mi capiti un tale evento proprio oggi è circa di uno su
dieci. Questa però è anche la
probabilità che ciò avvenga al capo del nostro popolo od a chiunque altro
sull’isola.
Poiché il fatto è successo contemporaneamente a mille
persone, il verificarsi di questa cosa ha una probabilità espressa
da una frazione che ha uno come numeratore e al denominatore un numero grandissimo: di mille cifre. E badate che ho calcolato la puntura su
qualsivoglia lembo di pelle, senza discriminare fra orecchio destro o sinistro o altre
zone corporee. No, la probabilità è talmente esigua da risultare
ridicola! Non possono essere punture di
insetti ”. Alla fine di questo sfoggio di cultura fatto dal medico e
dal matematico, i poveri indigeni rimanevano dunque col loro grande mistero irrisolto ( ed un
grande bruciore ai lobi ). Ma il bello doveva ancora avvenire. Il giorno dopo, domenica 4 aprile, chi possedeva uno
specchio ci si guardò, appena sveglio, per controllare l’evolvere della malattia. E vide non uno, ma due padiglioni
enormi.
Tutti, dicesi tutti, gli isolani avevano l’infezione ad
entrambe le orecchie, che erano talmente grosse da poter venire usate come ventagli per rinfrescarsi. Il giorno innanzi si erano ritrovati tutti sulla spiaggia
con il viso lungo per il male e la delusione, ora si riunivano con il viso ancor più allungato
dall’incredulità per la situazione creatasi. Mille persone tristissime con due orecchie enormi ed il
volto allungato. L’artista ebbe il lampo!
( d’altronde era un artista ed intuì laddove altri avrebbero solo
osservato distrattamente ).
Un sorriso lunghissimo si dipinse in faccia allo scultore. Una miriade di isolani tristissimi……………. Ed un artista finalmente felice.
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Volete sapere la sua idea? Fermare l’attimo in cui, tornati a casa, gli indigeni dal
mesto volto si sarebbero dedicati alle proprie occupazioni, alle faccende di tutti i giorni, ai personali
pensieri.
Eseguire una statua di ognuno in quel preciso istante! Si mise subito all’opera con pennello e tele per fotografare
le espressioni di quella gente un tempo così spensierata, che le avversità della vita avevano reso
più riflessive e posate. Nei mesi seguenti, aiutato dai suoi amici i quali ormai si
erano perfettamente rimessi dalla strana infezione, eresse numerosi massi di pietra pesantissimi, dai
quali iniziò poi a togliere il di più, il superfluo che non consentiva di capire lo stato d’animo e le
sembianze di chi viveva quell’attimo peculiare. Non riuscì a scolpire tutti i mille abitanti
prima dell’arrivo dell’imbarcazione che doveva tassativamente riportarlo in patria, ma tuttavia, al termine
delle sue fatiche, 629 giganti di pietra erano disseminati in ogni località dell’isola. 629 enormi statue giacevano dove ognuno era stato ritratto
dallo scultore, 629 monumenti a testimonianza di un’opera unica, un capolavoro dell’arte,
l’ottava meraviglia del mondo, 629 pietre simili a menhir che si protraevano verso il cielo a ricordo
di una infezione senza spiegazione, di una infiammazione destinata a restare
misteriosa per sempre. Centinaia di rocce dislocate su quell’isola a 27 gradi di
latitudine sud e 109 di longitudine ovest nel Pacifico sud-orientale, a ribadire l’eccezionalità
di ciò che era successo quella domenica 4 aprile, festività di Pasqua.
Avrete sentito altri racconti su quest’isola. Vi sarà stato forse detto che il primo europeo ad approdarvi
fu l’olandese Roggeveen il giorno i Pasqua del 1722 e che ciò ne determinò il nome. Vi avranno raccontato che gli olandesi trovarono in quella
terra due popoli: l’uno formato da individui di statura alta e pelle chiara che si allungavano
i lobi delle orecchie forandoli ed introducendovi dei grossi pesi ( orecchie lunghe ), l’altro
di aspetto meno nobile e pelle scura, schiavo del primo ( orecchie corte ). ( Come se queste incredibili vicende potessero
spiegarsi con una banale storia di orecchini ).
Vi sarà stato narrato di come le “orecchie corte” furono costrette
al pesante lavoro di scavo nella roccia del Rano Raraku, il grande vulcano spento, ed
obbligate al trasporto delle opere ultimate trascinandole grazie a resistentissime funi. Di come riuscirono poi ingegnosamente ad innalzarle in
posizione verticale. Vi avranno parlato di quando infine le “orecchie corte” si
ribellarono ai dominatori e, in una guerra combattuta con estrema ferocia, sterminarono le “orecchie
lunghe” ad eccezione di un unico individuo. Bene, se qualcuno accennerà ancora a queste altre
interpretazioni della misteriosa storia
beh…. NON PRESTATEGLI ORECCHIE.
LA VERA STORIA DELL’ISOLA DI PASQUA E’ QUELLA CHE VI HO
NARRATO IO.
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