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domenica 1 settembre 2013

PIETRO RAINERO: RACCONTO

    

PIETRO RAINERO

            La vera storia dell’isola


L’ispirazione non veniva. Niente da fare. Eppure era a Parigi, metropoli crocevia di razze diversissime, calderone di eventi i più disparati, situazioni le più stravaganti. In quale luogo più stimolante poteva desiderare di stare un artista quale lui, uno scultore? Ma……non si comanda all’estro! Nessuna idea, nessuna statua. Camminava per gli Champs Elysées, nulla! Girovagava per Montmartre, nulla! Visitava la stazioni del Metrò, nulla! Era salito perfino sulla sommità della Tour Eiffel, nulla! NIENTE DI NIENTE.
Sconfortante. Era uno scultore famoso, che aveva donato ai suoi simili opere immortali, ammirate in tutto il mondo: le ballerine, il portiere durante il calcio di rigore, la capra, l’orologio a cucù.
Ma da qualche mese………zero assoluto. Non poteva lavorare su commissione, non l’aveva e l’avrebbe mai fatto.   Non era in grado di scolpire senza la giusta convinzione, senza la spinta dell’ispirazione. Prese la grande decisione: partire. Forse la vista di luoghi nuovi, remoti, l’avrebbe scosso, avrebbe fatto scattare la scintilla apportatrice di nuove idee.
Forse l’esilio in paesi esotici avrebbe caratterizzato una nuova fase della sua produzione artistica, come era accaduto a Gauguin. E scelse proprio un’isola sperduta del Pacifico.     Vi ci arrivò otto mesi dopo, al termine di settimane e settimane di impervia navigazione su di un’elegante goletta. Si accordò col comandante della nave affinché quest’ultimo ritornasse a riprenderlo dopo 12 mesi. Sperava che quel lasso di tempo potesse essere foriero di rimarchevoli opere. Scaricò l’equipaggiamento costituito da martelli, scalpelli, pennelli, tele ( abbozzava sempre i suoi soggetti in un quadro prima di scolpirli )  e pochi indumenti leggeri ed infine si congedò dal capitano del vascello.  
Gli indigeni gli riservarono un’accoglienza degna di un Re.
Collane di fiori al collo, danze di leggiadre fanciulle poco vestite, coktails di succo d’ananas e, meraviglia delle meraviglie, si vide assegnare come dimora la capanna posta nel luogo più alto dell’isola, da cui si godeva un panorama a dir poco incantevole.
In poche settimane diventò amico di tanti isolani e tutti questi, circa un migliaio, lo conoscevano di vista o di fama.         Spesso si recava al mercato ad osservare l’andirivieni della folla, i gesti e le espressioni dei venditori, le lunghe contrattazioni prima degli acquisti.   Sovente passeggiava sulle alture dell’isola a scrutare il lontano orizzonte, le molteplici sfumature del blu dell’oceano, i minuscoli catamarani cullati dal vento, le albe ed i tramonti.   A volte si coricava sulla sabbia finissima delle stupende spiagge a crogiolarsi al sole studiando le mutevoli forme nelle quali si trasformavano le nuvole che giocavano nell’azzurro del cielo.
Chiudeva gli occhi e respirava profondamente, espirando ed inspirando lentamente, cercando l’ispirazione.   Potremmo dire che ricercava l’ispirazione con l’inspirazione. Ma l’inspirazione c’era, l’ispirazione ancora no.
Ancora niente da fare, anche la vacanza- lavoro non serviva a nulla. Il nostro artista era molto depresso. Gli abitanti dell’isola erano invece felici ed eccitati dalla prospettiva di festeggiare l’anniversario della scoperta di quel fazzoletto di terra abbandonato nel vasto mare, scoperta fatta dal loro popolo esattamente cinquecento anni prima.

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Un evento importantissimo, storico. Gli sguardi erano radiosi, i modi gentili, la collaborazione totale.  Si respirava ovunque ( sia inspirando che espirando ) un’aria di gioiosa attesa del giorno dei grandi festeggiamenti, con le parate, la gara delle piroghe, il grande banchetto notturno sotto il caldo, stellato cielo.
Tutti gli abitanti dell’isola avevano la felicità scolpita in volto. La mattina di sabato 3 aprile, vigilia della  storica ricorrenza, accadde un evento straordinario. Tutti ( proprio tutti! ) i mille indigeni si svegliarono con l’orecchio sinistro arrossato e molto gonfio. Quando si resero conto, uscendo dalle capanne con l’orecchio bruciante, che la patologia era generale, si riunirono doloranti e preoccupati sulla spiaggia principale a discutere l’accaduto. La situazione era disarmante. Essendo tutti con febbre alta e fastidi vari, la possibilità di
effettuare la festa programmata era fuori discussione. La grande ricorrenza era sfumata.  ( Come potete constatare le orecchie non causano solo la sfumatura delle acconciature, ma a volte anche quella degli anniversari ). Sulla spiaggia si accese una serratissima discussione: se i festeggiamenti erano andati in fumo,
perlomeno i nostri amici indigeni volevano rendersi conto del perché. Per l’artista, unico superstite del “contagio” ( chiamiamolo così ), era uno spettacolo inconsueto: un migliaio di persone, tutte con un orecchio nella norma e l’altro gonfio, che col morale sulla sabbia ed i nervi a fior di pelle parlottavano freneticamente.
Un medico prese la parola per dire: “ Lo so che state pensando tutti agli orecchioni, bene: la parotite, come sapete, è fortemente infettiva, causata da un virus, e colpisce soprattutto i bambini dai 5 ai 12 anni.    Il virus si localizza nelle parotidi, ma può propagarsi anche alle ghiandole sottolinguali e sottomandibolari.
Il sintomo più evidente della malattia è il gonfiore sotto alle orecchie, è quella infatti la posizione in cui si trovano le parotidi, che si ingrossano per l’infezione provocando la sporgenza in fuori dei lobi auricolari facendo sì che il malato sembri avere orecchie più grandi del normale. La guarigione completa si ha dopo 10-12 giorni e ci si ritrova poi assolutamente immuni, cioè non si contrarrà mai più la malattia, per tutta la vita. Anche se nessuno di noi l’ha fatta perché qui siamo isolati, manca comunque  il gonfiore tipico del collo sotto le orecchie: no!  Non è parotite, categorico! ”. “ E cosa è? ” domandò il capo del villaggio saggiando con una mano il calore del suo padiglione auricolare.
“ E’ indubbiamente una infiammazione dell’orecchio sinistro, ma non posso precisarne meglio la causa. Potrebbe essere dovuta però a punture da insetti ”. “ Ridicolo! ”  esclamò un matematico con un’orecchia a sventola, anch’egli abitante sull’isola. “ Tutti noi veniamo punti da insetti una trentina di volte all’anno, e quindi la probabilità che  mi capiti un tale evento proprio oggi è circa di uno su dieci.   Questa però è anche la probabilità che ciò avvenga al capo del nostro popolo od a chiunque altro sull’isola.
Poiché il fatto è successo contemporaneamente a mille persone, il verificarsi di questa cosa ha una probabilità  espressa da una frazione che ha uno come numeratore e al denominatore un numero grandissimo: di mille cifre. E badate che ho calcolato la puntura su qualsivoglia lembo di pelle, senza discriminare fra orecchio destro o sinistro o altre zone corporee. No, la probabilità è talmente esigua da risultare ridicola!  Non possono essere punture di insetti ”. Alla fine di questo sfoggio di cultura fatto dal medico e dal matematico, i poveri indigeni rimanevano dunque col loro grande mistero irrisolto ( ed un grande bruciore ai lobi ). Ma il bello doveva ancora avvenire. Il giorno dopo, domenica 4 aprile, chi possedeva uno specchio ci si guardò, appena sveglio, per controllare l’evolvere della malattia. E vide non uno, ma due padiglioni enormi.
Tutti, dicesi tutti, gli isolani avevano l’infezione ad entrambe le orecchie, che erano talmente grosse da poter venire usate come ventagli per rinfrescarsi. Il giorno innanzi si erano ritrovati tutti sulla spiaggia con il viso lungo per il male e la delusione, ora si riunivano con il viso ancor più allungato dall’incredulità per la situazione creatasi. Mille persone tristissime con due orecchie enormi ed il volto allungato. L’artista ebbe il lampo!  ( d’altronde era un artista ed intuì laddove altri avrebbero solo osservato distrattamente ).
Un sorriso lunghissimo si dipinse in faccia allo scultore. Una miriade di isolani tristissimi…………….  Ed un artista finalmente felice.

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Volete sapere la sua idea? Fermare l’attimo in cui, tornati a casa, gli indigeni dal mesto volto si sarebbero dedicati alle proprie occupazioni, alle faccende di tutti i giorni, ai personali pensieri.
Eseguire una statua di ognuno in quel preciso istante! Si mise subito all’opera con pennello e tele per fotografare le espressioni di quella gente un tempo così spensierata, che le avversità della vita avevano reso più riflessive e posate. Nei mesi seguenti, aiutato dai suoi amici i quali ormai si erano perfettamente rimessi  dalla strana infezione, eresse numerosi massi di pietra pesantissimi, dai quali iniziò poi a togliere il di più, il superfluo che non consentiva di capire lo stato d’animo e le sembianze di chi viveva quell’attimo peculiare. Non riuscì a scolpire tutti i mille abitanti prima dell’arrivo dell’imbarcazione che doveva tassativamente riportarlo in patria, ma tuttavia, al termine delle sue fatiche, 629 giganti di pietra erano disseminati in ogni località dell’isola. 629 enormi statue giacevano dove ognuno era stato ritratto dallo scultore, 629 monumenti a testimonianza di un’opera unica, un capolavoro dell’arte, l’ottava meraviglia del mondo, 629 pietre simili a menhir che si protraevano verso il cielo a ricordo di una infezione senza spiegazione, di una infiammazione destinata a restare misteriosa per sempre. Centinaia di rocce dislocate su quell’isola a 27 gradi di latitudine sud e 109 di longitudine ovest nel Pacifico sud-orientale, a ribadire l’eccezionalità di ciò che era successo quella domenica 4 aprile, festività di Pasqua.
Avrete sentito altri racconti su quest’isola. Vi sarà stato forse detto che il primo europeo ad approdarvi fu l’olandese Roggeveen il giorno i Pasqua del 1722 e che ciò ne determinò il nome. Vi avranno raccontato che gli olandesi trovarono in quella terra due popoli: l’uno formato da individui di statura alta e pelle chiara che si allungavano i lobi delle orecchie forandoli ed introducendovi dei grossi pesi ( orecchie lunghe ), l’altro di aspetto meno nobile e pelle scura, schiavo del primo ( orecchie corte ). ( Come se  queste incredibili vicende potessero spiegarsi con una banale storia di orecchini ).
Vi sarà stato narrato di come le “orecchie corte” furono costrette al pesante lavoro di scavo nella roccia del Rano Raraku, il grande vulcano spento, ed obbligate al trasporto delle opere ultimate trascinandole grazie a resistentissime funi. Di come riuscirono poi ingegnosamente ad innalzarle in posizione verticale. Vi avranno parlato di quando infine le “orecchie corte” si ribellarono ai dominatori e, in una guerra combattuta con estrema ferocia, sterminarono le “orecchie lunghe” ad eccezione di un unico individuo. Bene, se qualcuno accennerà ancora a queste altre interpretazioni della misteriosa storia  beh…. NON PRESTATEGLI ORECCHIE.

LA VERA STORIA DELL’ISOLA DI PASQUA E’ QUELLA CHE VI HO NARRATO IO.

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