a
Maria
Ebe Argenti
Non tramontate stelle. Genesi Editrice. Torino. 2013. Pp. 80
La
ricerca di una verità difficilmente rintracciabile sui tanti perché della
vicenda umana.
L’opera trae il titolo dalla poesia eponima
che, a inizio della silloge, mette da subito in evidenza quello che sarà il
leit motiv, il filo conduttore di questo “Poema”: l’inquietudine del fatto di
esistere: “Non tramontate stelle, rimanete/ a sollevare il velo di paura/ che
un poco inquieta l’apparente quiete”. Sì, l’inquietudine che proviamo di fronte
ad una realtà che, pur bella che sia, non dà sufficienti soluzioni ai nostri
interrogativi. “Siamo solo corsari senza approdo”, afferma la Nostra, con un
verso tanto vicino a quel “viandanti sperduti”, di voce cardarelliana. E’
divisa in tre parti: la prima di 5 composizioni, la seconda, la più corposa, di
ben 40, e la terza di 5 sonetti rispettosi per architettura metrica e
compositiva della più grande tradizione letteraria. E le tre parti si embricano
fra loro espletando una poetica che scava negli angoli più reconditi della
vicissitudine umana. Ho già avuto
occasione di rimarcare in prefazioni e note critiche la caratura di questa
importante autrice. E posso senz’altro affermare che Ebe Argenti ci ha abituati
ad una grande poesia; poesia costruita su una versificazione robusta, lineare,
organicamente controllata, ed espansa verso orizzonti a cui si azzardano
vaghezze semantiche, e ardori allusivi di metafore. E quest’opera pone
l’accento sulla continuità stilistica dell’Argenti, le cui occasioni poetiche
sono di una plurivocità di marcata vis
creativa: introspezione, slanci onirici, cospirazioni paniche di grande
intensità emotiva, tratti di un reale disposto e disponibile a collaborare alla
cristallizzazione degli stati d’animo. E sono gli endecasillabi, con tutta la
loro potenza sonora, con tutta la loro varietà metrica, l’arma vincente di Ebe;
misure che fluiscono in composizioni wagneriane a fare della sua poesia un
“Poema” ora di tensione orfica, ora dai toni epico-lirici. Qui c’è tutto la
vita con le sue illusioni, le sue delusioni, la sua malinconia per una storia marcata
da dicotomiche meditazioni fra il terreno e l’oltre; fra i limiti del tempo e
del luogo, e le ampie aspirazioni dell’anima umana; fra il polemos dei contrasti di memoria pascaliana. Ed è il memoriale che
spesso nella poetessa fa da contrappunto alla coscienza di esistere. Un
memoriale in cui la Nostra indaga sulle irrequietezze del vivere e sulle
sottrazioni del passato per un edenico riposo che le sfugge:
“Sono i
giorni più amari che mi parlano
dell’urna
di memorie. Fughe d’ombre
e di
tempeste senza arcobaleni.
Con
tutte le ingiustizie che ho patito
nel
disincanto per i bianchi petali
che
hanno reso incolore la mia vita,
chissà che bella tomba, al camposanto…”.
Sì, è un motivo di melanconico sapore a rendere
fortemente umana quest’opera. Lo fa con soluzioni da redde rationem, anche se l’atto onirico interviene con aspirazioni
a sottrarsi ai vincoli terreni, a generare spinte verso stelle che sanno tanto di libertà
e di liberazione:
“Poter
sognare mentre in cielo albeggia
affinché
il sogno ci rimanga impresso
tanto da
continuarlo anche da svegli”.
La coscienza della precarietà del giorno di
memoria virgiliana: “ sed fugit interea, fugit irreparabile tempus” (Geoirgiche
III, 234), è altra nota che rende particolarmente umano il dipanarsi del ductus poetico. E anche se è espletato
con tanta efficacia nell’accostamento de I
fiori del male al fatto di esistere, e alle inquietudini, insuperabili
inquietudini, del nostro esser/ci, quello che emerge con più continuità e che
costituisce il valore aggiunto dell’opera, è il dispiego di un realismo lirico
diretto ad un’analisi psicologica di perspicua e autoptica essenzialità. Lo si
vede in quei sostanziosi explicit che
fanno da corollario puntuale a tale scopo:
“Dentro
di me, insinuandoti, t’assiepi
lungo le
pene dell’Anima mia,
fecondi
il seme di malinconia,
e voli
via, come uno stormo d’ali” (Nebbia).
“… ma
l’Anima stasera ci guadagna,
satura
d’esaltanti, nuovi afflati
e il canto
dell’allodola accompagna
l’arsura
dei miei giorni tormentati” (L’arsura dei miei giorni).
“Anima,
che diverse cose senti,
(…)
… E m’insegni
a
soffiare con forza fra le nuvole
fino a
quando la linea d’orizzonte
svanisca
nell’immagine del cielo”.
Versi da cui trapela con chiarezza una ricerca
puntigliosa e sofferta di una verità difficilmente rintracciabile sui tanti
perché della vicenda umana. Un’Anima
che non si accontenta del quotidiano vivere, ma che vuole andare oltre,
squarciare le nubi per aprire i vasti orizzonti del cielo. Da lì quel pathos esistenziale che deborda dalle
miopie dell’umano vivere e dai limiti del nostro andare; quel pathos che da una parte è frutto di sottrazioni di sere, di giorni, di
primavere, di attimi fuggenti, dall’altra terreno fertile della poesia. E’ così
che la Nostra si avventura in previsioni oniriche o immaginifiche sulla sorte
ultima del nostro autunno:
“Viole e
amaranti avrò sulla mia tomba
affinché
intorno si sparga la fragranza
e ruberò
qualche favilla al sole,
perché
sia meno buia la mia notte
nel
dolce sonno eterno”.
Un sonno dolce, forse, proprio perché
sopraggiunge a spegnere le tante malinconie del vivere. Lirica di grande
intensità partecipativa a cui la poetessa consegna l’essenza della sua poetica
ad invadere gli spazi sottostanti del pensiero da spleen di stampo baudeleriano:
“Dans cette grande plaine où l’autan froid se joue,/ où par les longues
nuits la girouette s’enroue,/ mon ame mieux qu’au temps du siècle renouveau/
ouvrira largement ses ailes de corbeau”.
Ma anche se l’Argenti, con la delusione di uno spirito
fortemente leopardiano, si chiede che fine abbiano fatto le promesse di verdi
primavere:
“Dove
sono quegli attimi fuggenti
epifania
di ogni pensiero umano,
quell’essere che un senso dà all’esistere,
quella
fede che libera dal nulla
e pace
senza limite sa infondere
nel
cuore di ciascuno e nello Spirito?”,
tuttavia sembra che riesca a sopperire
all’inquietudine delle sue incertezze, affogando i pensieri nella vastità del
cielo o in uno scacco di sole per naufragare oltre la siepe:
“Ma non
è troppo tardi per sognare
uno
scacco di sole che, sbucando,
vuole
mettersi in gioco e farsi palpito.
Poi,
sarà dolce il canto del silenzio”.
Nazario
Pardini
30/09/2013
Ho avuto il piacere di leggere questa raccolta di Maria Ebe Argenti in - diciamo così- anteprima. Era il 14 aprile 2012, data della cerimonia di premiazione del concorso di poesia "Ugo Foscolo", nel quale l'Argenti aveva ottenuto il primo posto nelle sezione A con la silloge di poesie "Non tramontate stelle", ed io ero stato ritenuto dalla Giuria degno dello stesso risultato nella sezione B (gruppo di tre liriche inedite). Fu lì, a Venezia, nell'Aula Magna dell'Ateneo Veneto che l'amica poetessa Carla Baroni di Ferrara mi presentò, prima della cerimonia, Maria Ebe Argenti, che peraltro conoscevo di fama e per aver letto sul web e su riviste letterarie alcune sue poesie. L'incontro fu molto cordiale e si prolungò, dopo la premiazione, con grande piacevolezza in un ristorante nei pressi dell'Hotel Concordia, dove l'Organizzazione del Premio ci aveva sistemati per il pernottamento. Mentre tornavamo in albergo fui io a chiedere -almeno così mi pare- a Maria Ebe di poter dare un'occhiata alla sua silloge. Fu in questo modo che conobbi l'opera, ora pubblicata, immediatamente dopo la Giuria di quel Premio. Ebbi parole di elogio e di ammirazione per tutta la raccolta (che nell'attuale pubblicazione mi pare più ricca di liriche), ma in modo particolare per i sonetti finali che mi parvero subito di rara bellezza, naturalezza e perfezione.
RispondiEliminaOra, dopo la lettura di alcuni volumi di liriche di Maria Ebe Argenti, posso dire di avere una buona conoscenza dell'autrice che, con il suo stile pacato e spesso colloquiale, traendo poetica linfa da situazioni di varia quotidianità, scandisce tempi e ritmi della vita in raffinati endecasillabi, in suadenti scelte lessico-linguistiche. E crea emozioni Maria Ebe, catturando il lettore e incantandolo con levità di toni, con figurazioni e cromie che mai sono oziose o gratuite, ma sempre funzionali ad una trama, ad una diegesi che, pur conservando in sottofondo tratti biografici, sembra assumere connotazione poematica: di un poema in cui l'essere umano non può fare a meno di rivelarsi transeunte e perciò sconsolatamente precario. E tuttavia non c'è disperazione nella poesia dell'artista varesina, e non perché non abbia consapevolezza del dolore, pesante eredità della condizione umana a lei ben noto; ma piuttosto perché ella ritiene preferibile una saggia e talvolta ironica accettazione della vita nelle sue varie manifestazioni, conscia com'è della loro ineluttabilità. La poesia di Maria Ebe Argenti ha il fascino e la dolcezza di un abbraccio. Avvincente.
Riporto questo scritto inviatomi per e-mail da Maria Ebe Argenti:
EliminaCarissimo prof. Pasquale Balestriere,
la puntualità del tuo commento, dopo la fantastica recensione dell'amico Nazario,
che certo non m'aspettavo così immediata ed emotivamente intensa, è un'ulteriore emozione che potrebbe perfino essermi fatale. Infatti, proprio come il dolore, anche una grande gioia può colpire in un momento in cui si è particolarmente fragili. E se per rispondere subito a Nazario Pardini dovetti telefonargli, affinchè lui stesso m'aiutasse ad esprimergli tutta la mia gratitudine per quel magnifico cesello di recensione che davvero io non merito, per rispondere a te sono occorsi tre giorni, prima che la matita si mettesse in movimento. Non è bastato che tu rievocassi il giorno della premiazione al concorso di poesia 'Ugo Foscolo' e la serata in quel ristorante a Venezia, in San Marco. Mi dicesti: "Sia benedetto il Foscolo" ed io condivido in pieno. Dunque, perchè adesso mi è quasi indifferente? Come dissi anche all'amico Giannicola, quando mi capita di rileggere alcuni miei versi di 'Non tramontate stelle', penso che non sarei più capace di scriverli ora, avendo in mente soltanto visite mediche, interventi chirurgici, chemioterapie, radioterapie, orari di autobus e di pillole varie da inghiottire con altri bocconi altrettanto amari. Tuttavia non avrei mai creduto che le tue parole di commento alla mia silloge m'infondessero tale serenità.
Grazie, carissimo Pasquale. Sei veramente un GRANDE !
Maria Ebe
Una visione interamente dedicata alla narrativa dell'esistente - esistenza poetica che si inquadra-senza confini-nell'anima di questa delicata autrice ottimamente presentata sul blog di Pardini.
RispondiEliminaCordialmente un saluto. Miriam Binda
Cara poetessa Miriam Binda, leggo le sue gentilissime parole e, non essendo riuscita a trovare un suo recapito, non mi resta che ringraziarla e ricambiare i cordiali saluti.
RispondiEliminaMaria Ebe