DI NINNJ DI STEFANO BUSĂ
“. . . A frenarci c’è solo il mistero, /
una pelle che invecchia. / Ancora un altro giorno cede, / se ne va, e il nostro
viaggio / si fa breve, se un’altra estate chiama, / è tempo di ricordi, di
ellittiche stelle. . .”.
Sono versi tratti dalla poesia che apre
la raccolta con la quale Ninnj Di Stefano Busà ha vinto - per la silloge
inedita - la XXXIV
edizione del Premio letterario “Il Portone” di Pisa.
Li ho scelti perché sono stato
irresistibilmente attratto dall’energia (mi piace definirla “gravitazionale”)
che dagli stessi si genera dando vita ad un immaginario inconsueto; vorrei
dire, capovolto, per la grande capacità - al medesimo inculcata - di andare
oltre le apparenze, di ribaltare, appunto, anche sul piano semantico, l’ordine
più o meno prestabilito delle cose.
Inviterei, anzitutto, a riflettere su
quel freno, rappresentato dal mistero, che tutto è fuorché un trattenere; al
contrario, è un lasciare liberi, corrisponde all’unica possibilità che abbiamo
di opporre resistenza alla fuga dei giorni ed al ritorno dei ricordi che,
insieme, ci portano lontano, ci fanno assumere e percorrere orbite ellittiche.
“Ellittiche
stelle dunque. Stelle come sogno, come meditazione, come richiamo di
memorie, come azzardo. . . stelle come consuntivo”, si legge nella prefazione
di Nazario Pardini, il quale non manca di mettere in evidenza quel “simbolismo
geometrico” cui, anch’io, ho fatto riferimento: “una verità - dice - che ci
stimola ad una ricerca continua senza offrirci mai una soluzione definitiva.”.
Ma cos’è questa verità? È la verità di
noi stessi; è il mistero che noi stessi siamo. “Un viaggio senza ritorno, / una
storia che porta due parentesi / tra un poco e l’altro della vita”: di nuovo,
il capovolgimento del precostituito, la revisione dell’univocità del pensare
che consente di comprendere entro quelle due parentesi l’infinito.
“Siamo viandanti sperduti” - ricorda
ancora il Prefatore chiamando in causa Cardarelli - ma lo smarrimento dell’uomo
è, qui, controbilanciato non da un rinvenirsi (come ci si aspetterebbe) bensì
da un altro disorientamento: quello della parola; e tutto avviene in questo
mondo, che null’altro può offrirci che “appena un foglio bianco” per prendere
appunti.
Ecco perché ho parlato di sovvertimento
semantico: perché sono i significati, le declinazioni del verbo poetico che si
addossano l’onere, che - come sempre - tentano di rimettere in piedi ciò che
continuamente cade; e lo fanno così, “come se niente fosse”, come se la
malinconia non esistesse e il tarlo del rimpianto non si facesse sentire
rimbombando nella mente.
È un verbo, sono Verbi inascoltati, allora, quelli della poesia ma hanno i riflessi
ambrati del miele, “quel doloroso miele dell’abbraccio” che, solo, può colmare
“la distanza tra il grido e la ferita”.
Così, Roberto Carifi, vede questa
poetica; “una poetica che resta ai bordi della sofferenza, persino del male
dettato dal destino” - sostiene - ed ha ragione, ha perfettamente ragione
quando accosta la rivelazione della forza contemplativa della Busà “al
ringraziamento che fa di ogni lingua poetica una pietà del pensiero”.
Vigore e compassione, quindi; meglio:
vigore della compassione. Da questo speciale connubio nasce la gravità di quei
corpi celesti, che si avvicinano fino a lambirci e si allontanano
indefinitamente, dei quali percepiamo tutta l’attrazione e tutta la
separazione.
Sono le orbite che ci ruotano intorno o
siamo noi che giriamo intorno a noi stessi? A me piace optare per la seconda
ipotesi: voglio fornire una siffatta interpretazione di questa scrittura.
Si - lo ammetto - mi sento una di quelle
stelle; in modo non dissimile (sono pronto a scommetterci) da quanto naturalmente
accade nel cuore dell’autrice.
Come si potrebbe scrivere e descrivere
altrimenti - diversamente e più incisivamente - “l’umana irrequietezza”: “un
riflesso tenue della luce / che irrompe e scompagina / . . . . / il grido che
non rinuncia ad aprirsi / come il cielo alle rondini.”.
Sandro Angelucci
Ninnj
Di Stefano Busà. Ellittiche
stelle. Edizioni ETS. Pisa. 2013.
Complimenti alla poetessa Ninnj Di Stefano Busà ed al poeta Sandro Angelucci. E’ un vero piacere leggere i loro scritti, che fanno vibrare la poesia. Con grande efficacia riescono a realizzare il legame autore-lettore, obiettivo primario della scrittura.
RispondiEliminaPaolo Bassani
Sono d'accordo con Paolo Bassani, la poesia e la critica sono, in questo caso, in stretto rapporto, si compendiano, perché se l'una è altamente qualificata, l'altra è atta a comprenderla in tutte le sue infinite pieghe, in tutte le sfaccettature, le infinite note che la poesia della Distefano fa vibrare. Un felice connubio, un'ansia d'infinito e di bellezza si nota in entrambi, che sottolineano come la POESIA quando è alta e vera può incantare i lettori, concedendone loro, un po' della magia. E' un così raro miscuglio la Poesia! Ha bisogno di essere tenuta in vita, avvalorata, e nutrita per quella grandissima, profonda umanità che vi è insita, e la contraddistingue. Perciò, grazie a voi due e complimenti.
RispondiEliminaAttilio Schiffini
Ho letto ELLITTICHE STELLE di Ninnj Di Stefano Busà, si tratta di un libro di poesie che può piacere anche agli scettici, a coloro che di poesia non s'intendono. Io non avevo mai letto nulla di quest'autrice, perciò quel libro mi ha incuriosito: l'ho trovato profondamente umano, fortemente impregnato di quella poesia vera, che passerà alla storia, perché si rifà a sentimenti, suggestioni ed emozioni condivisibili ed essenziali alla vita di ognuno. Lo fa con spontanea e limpida voce, con un particolare senso estetico che avvalora la Poesia. Angelucci ne sa comprendere la passione e l'incanto, la bellezza e il fascino, e descriverne nel miglior modo, i suoi molteplici effetti sul lettore.
RispondiEliminaClaudio Zavaglia
“Sono le orbite che ci ruotano intorno o siamo noi che giriamo intorno a noi stessi?”. Così scrive Sandro Angelucci in questa superba recensione a “Ellittiche stelle” di Ninnj Di Stefano Busà. E risponde: “A me piace optare per la seconda ipotesi”. Ebbene, io condivido questa preferenza, in quanto l’orbita dell’angoscia e della pace, di cui in fondo parla la poetessa, non è altro che il percorso metafisico-esistenziale dell’uomo stesso, il viaggio compiuto dalle proprie sorgenti universali al golfo che lo ospita temporaneamente. Un viaggio di andata e ritorno, dove la gioia e il dolore, il bene ed il male, non si separano tra di loro, ma sono facce della stessa medaglia, tappe obbligate della medesima orbita, dello stesso percorso. E’ morendo sulla Croce che si aprono le porte del Paradiso. Una visione, questa, non certamente nirvanica (schopenhaueriana) della vita, come forse potrebbe sembrare, in quanto il dolore, qui, si supera attraversandolo, vivendolo, e non con pratiche più o meno artificiali che tendono ad estirparlo, allontanandolo da noi. Ho letto anch’io “Ellittiche stelle” e sono rimasto colpito dall’andamento musicale del verso, dolcissimo e amaro nello stesso tempo. È l’onda ventosa dell’incalzante andare della vita, che procede dall’alba al tramonto, per tornare perennemente all’alba e al tramonto, giacché non c’è affermazione senza negazione, e viceversa. E se è vero che “il sogno delle favole-bambine / più non cresce tra le nostre braccia, / … / Non è tempo di prodigi / che inondano di luce la città dei vinti”, è altresì certo che noi “inventeremo un nuovo giorno, / un’alba di rinnovato stupore / al sole d’innocenza. / La luce è incorruttibile stasera, / inventa nuove favole, / sgrana rosari / e fiori abbandonati”.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Per fortuna la Poesia ha ancora questi autori, che chiamerei "Vati" cantori dell'anima. Non si atteggiano a miti, ma sanno cogliere un verso colto, fascinoso, umano, e trasferirlo al lettore in una intensa "osmosi d'anima." Questo fa la vera poesia, quella autentica, non gli stridii stereotipati di certa poesia metallara, senza emozione, che rifila certa categoria di poeti.
RispondiEliminaQuella non è poesia è lagna, è qualcosa che allontana dai sentimenti, li svia verso il declino dell'anima e del sogno. La poesia è quella che fa sognare, la poesia è quella che si fa ascoltare in silenzio per carpirne tutto il mistero e quella luce che la ànima, proprio come la musica immortale di certi grandi della storia...
Giuliana Seroni