Leggendo: “Poesia e società in questo primo quindicennio del nuovo
secolo” di A. Spagnuolo
M. Grazia Ferraris
Testo
impegnativo quello di A. Spagnuolo, che dalla disamina dei mali sociali,
storici del presente fa emergere una riflessione quasi angosciata: la necessità
della poesia come “meta antropologica, come salvezza,
capace di intervenire forse anche involontariamente nel tessuto sociale”.
“Da Brecht a Ponge”… La poesia che ha come sfondo la fame, la miseria, il degrado…. e
come nel Bateau ivre rimbaudiano, al
poeta, disincantato, sembra non restare altro che l'annegamento o l'andare alla
deriva, oppure il riconoscere agli
oggetti, alle <cose> una priorità ontologica che l'eccessivo
soggettivismo individualistico e l'irrealismo cui sono improntati spesso
cultura e linguaggio contemporanei hanno loro negato.
E la poesia fra le estreme tentazioni. …,
forse anche viva per una nuova ricerca, una nuova definizione dell'uomo e del
suo rapporto con le cose, le «choses»
che sono impastate di parola, in maniera irreversibile.
La poesia. “Non è un fronzolo né un
accordo casuale e neppure l’espressione metaforica o il “rispecchiamento”
meccanico dei rapporti sociali reali…
Cosa
attendere allora dalla poesia ?”, si chiede il nostro saggista e
si risponde: “Il testo vada oltre il
testo. Chiama e illumina il contesto, nasce in una situazione specifica,
storicamente determinata, ma la trascende… la poesia si pone come la
smagliatura nella corazza impersonale d’una società burocratizzata, accenna e
aspira ad un possibile recupero della funzione ideativa originale
dell’individuo”.
Questo è
il suo invito, il terreno, quello in cui si muove il poeta senza certezze
presuntuose: libero, creativo, affettivo, emozionale, inconsapevole e razionale
nel contempo, il rifiuto del
contingente. In questo terreno e da questo territorio nasce la voce dei nuovi
poeti.
Voci varie, divergenti eppure tutti alla
ricerca di “una modalità “contemporanea” di realizzazione dell’oggetto poesia”,
forse illudendosi ancora , e noi lettori con loro, dell’esistenza di un posto riconosciuto e riconoscibile, l’eden poetico, fiduciosi nella sensibilità professionale dei poeti più
storicizzati, contro le polemiche e l’altisonanza accademica
dell’entourage letterario e delle mode.
Come in una teologia negativa, per sapere
cosa è “poesia”, bisogna soprattutto saper dire ciò che “poesia” non è.
Certamente più facile del dire che cosa la poesia è.
Se ne scrivono ancora.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l'ultima sera dell'anno.
Si pensa ad essi mentendo
ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri
l'ultima sera dell'anno.
Se ne scrivono solo in negativo
dentro un nero di anni
dentro un nero di anni
come pagando un fastidioso debito
che era vecchio anch'esso d'anni.
che era vecchio anch'esso d'anni.
… Si fanno versi per scrollare un peso
e passare al seguente. Ma c'è sempre qualche peso di troppo, non c'è mai
alcun verso che basti, se domani tu stesso te ne scordi. (V. Sereni, I Versi).
e passare al seguente. Ma c'è sempre qualche peso di troppo, non c'è mai
alcun verso che basti, se domani tu stesso te ne scordi. (V. Sereni, I Versi).
M. Grazia Ferraris
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