Prefazione
a
Ninnj Di Stefano Busà: Ellittiche stelle - Edizioni ETS. Pisa. 2013. Pp. 36
Ellittiche
stelle di Ninnj Di Stefano Busà
È così che si conquistano le vette più alte con scalate di
dolore e di affanni:
Un viaggio senza ritorno,
una storia che porta due parentesi
tra un poco e l’altro della vita.
Una distanza fra asintoti e tangenze
sempre più lontani, linee d’ombra.
Scrivere sulla poesia di Ninnj Di Stefano Busà significa saperne
intuire, magari solo in parte, tutte le occasioni esistenziali, le cadute, le
resurrezioni di un intero percorso. Una vita donata, di tutto punto, all’arte
della parola, alla ricerca continua di intarsi e nessi che convalidino il
grande patrimonio dell’essere. La vita in tutta la sua pienezza e pluralità,
come apertura al mondo in quanto tale, all’umano che cresce col dolore, la
gioia, l’emozione, il senso onirico, immaginifico, e, soprattutto, con la
realtà che lo circonda e l’assale; a quell’umano che si misura, in modo
perpetuo, con la luce e il buio, con l’ombra ed i suoi suoni, coi fatti ed i
loro perché, per tirare, alfine, un inquieto consuntivo. “La poesia è connaturata
all’umanità: il vero poeta assimila e trasfigura, lo scriba si limita a
copiare” (Stearns Eliot).
Scrivere,
quindi, della poesia di questa importante autrice significa raccontare una
storia che fa “suoi”: passato, presente e futuro. Che fa sue le irrisolte e
irrisolvibili questioni umane; i tentativi di ridurre quelle distanze che ci
separano dal tutto.
Ed è per questo che nei suoi versi ognuno potrà leggere se
stesso, quella parte di sé ancora da scoprire. Ha scritto Marcel Proust in Il
tempo ritrovato: “Ogni lettore,
quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di
strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere
quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. E la poetessa ha fatto di
ogni momento del suo esser(ci) una pagina della sua avventura, magnifica
avventura umano-letteraria. Le piccole cose, i grandi avvenimenti, le fughe del
pensiero, i ritorni alla sua terra, alle sue origini, la forza evocativa del
memoriale, la filosofia di una realtà spietata, quella della piena coscienza
della caducità del tempo - pur sempre costruttiva nella visione della sacralità
della vita -, sono alla base del suo percorso artistico, ma oso aggiungere, con
un lampo all’infinito, uno squarcio sulle tenebre:
Ancora un altro giorno cede,
se ne va, e il nostro viaggio
si fa breve, se un’altra estate chiama,
è tempo di ricordi, di ellittiche stelle (pp. 5).
Ellittiche
stelle. Stelle come sogno, come
meditazione, come richiamo di memorie, come azzardo all’oltre; stelle come
consuntivo; ma stelle “ellittiche”, che nel loro simbolismo geometrico si
avvicinano e si allontanano, forse come una verità che ci stimola ad una
ricerca continua senza offrirci mai una soluzione definitiva. E il giorno cede,
e la materia si deteriora; allora occorre affidarci allo spirito che naviga su
una barca verso slarghi di azzurro, verso orizzonti che vincano le ombre nere
della nostra storia:
Il tempo di guardare appena le cose,
e già sfuggono, e il mondo ha uccelli
di passo, ozi, cose di breve conto (pp. 6).
Ed è
superfluo, anche, ricorrere a nostalgie di primavere che hanno dato un sapido colore
al nostro esistere, talché:
Tu
affonda i piedi,
spingiti oltre la nostalgia che transita
veloce e incespica sulle cose,
intorno ai giorni, in questa terra
indifesa, che nasconde il carico
dell’ora e si nutre di buio (pp. 7).
La
poetessa ha metabolizzato gli accadimenti; li ha tenuti in seno, tirando dei bilanci
sul fatto di esistere da redde rationem, non più personali, ma totali,
immensamente pieni. Ed ha alimentato ogni vicenda di un sentire fresco,
oggettivo, di polisemica significanza. Non scade, di certo, mai in un memoriale
becero e languido di bassa lega; ma ogni fatto che è stato è una solida pietra
su cui erigere castelli di verità sofferte e sofferenti, ma che contengano il
succo delle problematicità della vita di tutti noi; che contengano gli approdi insicuri di una
navigazione difficile, anche tempestosa, che ha fatto dubitare, gridare, patire
in tappe di dolore; ma pur sempre cercando approdi di serenità, anche se ne
presuppongono altri come è logico, come richiede la continua instabilità della
condizione umana. E ridare alla pagina la storia di questa navigazione
“trasfigurata” eliotianamente, e ingigantita, magari, come succede quando si
traducono in immagini i dolori e i perigli, significa fare poesia sana, buona,
alta in modo che ognuno di noi, leggendola, s’interroghi sulla imperscrutabilità
del tempo. Forse la realtà non è più la stessa: assume contorni diversi,
poetici, crocianamente alimentati di anima e di spirito, di una tensione orfica,
anche, dai toni epico-lirici. Ed è lì che il costrutto assume una valenza
architettonica di contenimento alle esplosioni sentimentali di cui l’animo
dell’autrice è generoso. Un costrutto robusto dove la grande portata culturale
e umana della stessa trova un’alcova sicura e di proteiforme efficacia:
Questa è la sigla che ti rendo,
una verità senza sconti,
un passo che non arretra, affrancato
dal battito del mondo (pp. 8)
Una
verità cruda; d’altronde il mondo è così come si presenta, ma soprattutto come
si vede nella sua spietata efficacia riduttiva e nella sua forza sottrattiva. E
di questo soffriamo e ci angosciamo: un “miserere”, (come lo definisce
l’autrice), ma poi tornerà la neve a ricoprire il foglio. E:
Tra distanze minime apparirà
il turbinio lento delle ore,
segnate da una vita sempre in forse,
le minime radici saranno
eutanasie di cose perse (pp. 9).
C’è, in questa poetica, tutta la questione del fatto di nascere umani
dal dicotomico volto di pascaliana memoria.
D’altronde lo scorrere lento delle ore ci richiama e ci sussurra,
facendoci male, ricordandoci che il tempo passato è eutanasia di un bene che potevamo
tenere più in vita, che potevamo viverlo più intensamente; e diverso, forse,
sarebbe stato lo stesso ricordo. Anche perché “siamo viandanti sperduti”
(Cardarelli) in questa “società liquida” (Zygmund Bauman). Ma è qui che tutte
le tappe del nostro esistere si embricano indissolubilmente dando corpo ad un
prodotto creativo estremamente umano e di grande fattura stilistico-emotiva. Di
grande generosità espansiva coi suoi azzardi che traggono dal reale più crudo
una spinta ad elevarsi oltre il recinto in cui è circoscritto il mondo umano. E
anche se:
E poi sarà come se tutto fosse accaduto
in fretta, un porre fine al tempo,
all’incenso delle stanze vuote (pp. 10).
E anche se:
Ora i passi sfrangiati temono
le strade, si fermano al confine
che separa il mondo dal balcone (pp. 11).
E anche se:
Non cede quella luce di settembre,
muove a folate e presenta
un retroattivo tempo di bilanci (pp. 12),
c’è sempre un’altra voce a chiamare e a riportarci
un sorriso:
Poi un’altra voce chiama, è il tempo
che ci assegna qualche volto familiare,
pigramente ci spoglia, ci parla
di un copioso andare, tra ginestre
e volti senza rughe, il fondo della strada
consumato dà spazio a innumeri silenzi,
solo un sorriso si attacca alla vita (pp. 14).
a riavvicinare la poetessa a un ricordo che vale
la pena rivivere, come fase ricreativa dell’esistere, anche se l’umano è
vissuto in questi versi con tale intensità da assimilare tutte le
inquietudini delle sue sottrazioni.
Sottrazioni che si materializzano in ore perdute, in distanze incolmabili, in
pelle che invecchia, in corse di breve conto, in un seme che intatto s’agita
sotto la neve, in una verità senza sconti, in un aprile che sfila veloce, in un
odore acre di polvere, in un’ora che sfugge, in una Milano senza voce, o in una
fatica che rincorre le stagioni. Tante metafore, tanti singhiozzi di parole che
si lanciano in allusioni di grande impatto visivo.
È
l’altro che parla, è l’alter ego della scrittrice che dice a se stessa
quanto la vita sia un gioco in cui più facile è perdere che vincere. Ma qui c’è
anche la forza analitica di una scrittura poetica volta a narrarci, con un
realismo sconcertante, il fatto di esistere nello spazio ristretto di un
soggiorno. E quel che più incide è la plurivocità di questa poesia. È quella
facilità versificatoria nel predisporsi a raccogliere gli input dell’anima e
renderli universali; nel ricorrere a stilemi allusivi ed a impennate
iperboliche che, con la forzatura dei sintagmi,
tendono ad abbracciare il tutto; ad arrivare là dove non potrebbe la
semplice e comune sintassi.
Sinceramente
un senso di sperdimento c’è in questo mondo che sottrae valori, che ammucchia
disvalori, in questo mondo il cui piedistallo si erge su una base renosa,
vibratile, come il pensiero dell’esistere. Ma la Di Stefano Busà ha dalla sua
parte una storia di grande impegno culturale, umano, sociale, e morale. Un
bagaglio linguistico risultante da un raffinato gusto per l’ars dicendi.
Per la vera poesia. Per quella su cui si lavora con intendimenti metricamente
impostati a confermare il tanto; si lavora con quella perspicacia rielaborativa
da cesellatori di combinazioni semantiche. Sono l’ardore allusivo delle sue
metafore, i suoi assemblaggi lessicali, le sue intensificazioni verbali, le mani
e lo spirito che si intrufolano nei versi, che si evincono nel canto per farci
trasalire; per contaminare la nostra sensibilità con un reale che si snocciola
verace nel corso di un poema. E se la memoria azzanna l’anima coi suoi ritorni
verticali, c’è sempre un nutrimento di eccelsa levatura a far sì che si valorizzi
il ricordo e si faccia presente esso stesso, bramoso di una attualizzazione
morale, temporale ed artistica. È così che si conquistano le vette più alte con
scalate di dolore e di affanni. Ma vette, alfine, da dove si possono ammirare
vallate di luce incorruttibile. Da dove le aperture degli orizzonti sono
infinite. Sanno quasi d’eterno. Ed è a quelle aperture che la poetessa offre il
suo canto, dopo i naufragi di una vita:
Eppure inventeremo un nuovo giorno,
un’alba di rinnovato stupore
al sole d’innocenza.
La luce è incorruttibile stasera,
inventa nuove favole, sgrana rosari
e fiori disseccati.
17/07/2013 Nazario Pardini
Antonio Trovisi
RispondiEliminacomw ai fa a non commentare positivamente questa bella nota recensiva?
Il critico è molto bravo a intuire, penetrare molto in fondo la personalità letteraria di questa autrice, la quale sbalordisce per la sua autonomia di volo. Ho letto il libro, ne sono rimasto sorpreso per l'esito di un verso che senza nessuna sentenziosità, sa raggiungere profondi abissi e risalire dal dolore, come se bevesse un sorso d'acqua pura...Auguri ad entrambi
E' una raccolta eccellente, davvero meritevole di essere stata premiata con la pubblicazione! Sono riuscita ad averlo tramite un'amica e sono rimasta colpita dai suoi alti contenuti poetic. Auguri all'autrice e alla Giuria che ha saputo coglierne la validità e il merito. Non poco di questi tempi, così esfolianti e depredanti di veri valori.
RispondiEliminaGiuditta Soffientini
Un buon commento che va fino in cielo. Ciao
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