Ha ragione il Prof. Pardini nel
sottolineare che le qualità poetiche di Angelucci affiorano anche nella sua
opera di critico letterario. Conosco bene il modo di operare di Sandro e posso
garantire che egli ha assolutamente bisogno, per scrivere, di sentirsi
ispirato. Questo testo sull’opera di Gianni Rescigno comprova ampiamente
l’assunto: sono ottanta pagine in cui, dalla prima all’ultima riga, ci si trova
immersi in una corrente di ampia ed elevata potenza emotiva. Ed è questo, a mio
parere, il lavoro che il critico è chiamato a fare. Non esiste una critica
“oggettiva”, scientifica, ma esiste la pura e semplice comunicazione della
risonanza che una determinata opera può avere nell’universo interiore del
critico, il quale comunque interpreta secondo la propria vibrazione interiore.
Da qui la sconfinata gamma delle possibilità interpretative. Soggettivismo?
Psicologismo? Al contrario, tendenza a cogliere le valenze davvero universali
dell’opera creativa, che è sempre antischematica e non può venire racchiusa in
un’unica possibilità interpretativa.
Ha scritto il filosofo Bruno Fabi in “Il Tutto e il Nulla”, opera fondamentale dell’Irrazionalismo sistematico: “E conclusi con ciò che poteva sembrare un paradosso, e non lo era: che il critico, per essere veramente tale, doveva essere egli stesso artista; che la pretesa obiettività del critico non artista, di cui si faceva forte la schiera dei più, era obiettività razionale, e cioè superficiale e relativa valutazione di quanto si sottraeva ad ogni giudizio, ad ogni confronto, ad ogni obiettivazione, mentre la rara qualità di artista nei critici d’arte, in quanto sensibilità al tutto, era universalità, e dunque obiettività in senso totale, vera obiettività, come possibilità per il bello di risorgere costante, oltre che dall’opera dell’artista, dall’opera del critico come artista”. Posso personalmente assicurare i lettori di questo blog che le più belle pagine di critica d’arte che a me sia capitato di leggere sono state quelle di Baudelaire sulla poetica di Delacroix.
Ha scritto il filosofo Bruno Fabi in “Il Tutto e il Nulla”, opera fondamentale dell’Irrazionalismo sistematico: “E conclusi con ciò che poteva sembrare un paradosso, e non lo era: che il critico, per essere veramente tale, doveva essere egli stesso artista; che la pretesa obiettività del critico non artista, di cui si faceva forte la schiera dei più, era obiettività razionale, e cioè superficiale e relativa valutazione di quanto si sottraeva ad ogni giudizio, ad ogni confronto, ad ogni obiettivazione, mentre la rara qualità di artista nei critici d’arte, in quanto sensibilità al tutto, era universalità, e dunque obiettività in senso totale, vera obiettività, come possibilità per il bello di risorgere costante, oltre che dall’opera dell’artista, dall’opera del critico come artista”. Posso personalmente assicurare i lettori di questo blog che le più belle pagine di critica d’arte che a me sia capitato di leggere sono state quelle di Baudelaire sulla poetica di Delacroix.
Franco Campegiani
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