Nota di lettura
di Valeria Serofilli al volume L’odore amaro delle felci (Edizioni della Meridiana 2012) di Giulio Maffii.
Un fertile dialogo tra poeti, per poeti e non solo, L’odore
amaro delle felci di Giulio Maffii, pubblicato per le Edizioni della Meridiana
a seguito dell’affermazione dell’autore al Premio Sandro Penna, Edizione 2011.
Nello specifico, un dialogo con Margherita Guidacci il
cui testo “Viviamo in mezzo ai Telchini”, posto ad esergo del libro, è usato
come spunto di partenza, isolandone i singoli termini, per proseguire sul
cammino poetico, humus da cui nascono felci profumate.
Un dialogo tra poeti dunque, quasi a riprendere il
titolo del testo “Poesie per poeti” da cui è tratta la lirica della Guidacci.
Un volume, questo di Maffii, caratterizzato dal titolo
di per sé fortemente evocativo L’odore
amaro delle felci.
Spicca in modo immediato la sinestesia l’odore amaro, ulteriormente complicata
dall’elemento simbolico-evocativo e in parte misterioso della felce, pianta
antichissima e assai diffusa, quasi selvatica, eppure in grado, nella sua
apparente semplicità, di richiamare il senso di mistero. Nello specifico è la
felce del Bosco Sacro di Eliot, che può ben incarnare il concetto d’integrità
della poesia; humus e verdi foglie non rami secchi, in grado di flettersi senza
tuttavia spezzarsi, come recita la poesia di pag. 26 In principio è la brezza, quasi a richiamare una
citazione biblica, anche se il tono e il tema sono più colloquiali pur se
affiancati da un polisindeto ( si veda il verso 2 “che sgorga e piega e
bilancia”) ripreso al 17° verso con la negazione “non cade non crolla non
dissesta”), per concludersi infine con il positivo ed ottimistico invito ad
amare.
Invito scandito dal Leitmotiv “tempo a tempo”,
che contrasta con la fragilità e flessibilità richiamata dall’immagine della
felce, in sapida ring composition col titolo del volume. Poesia, questa, che
potrebbe porsi come componimento incipitario con valenza eponima in quanto, nel
secondo verso, torna il titolo del libro:
<<In
principio è la brezza
l’odore amaro
delle felci
che sgorga e
piega e bilancia
ogni altrui
rinuncia
(…)
Qualcuno frana
insieme ai giorni
nei tormenti
delle pietre
il nostro
apologo si riscrive invece
(…)
tempo a tempo
non cede non
crolla non dissesta
dove tu sei dove
io sono
tempo a tempo
ama finché ce
n’è
ama fino a che è
possibile
tempo a
tempo>>
(da In principio è la brezza)
Una scrittura,
quella del Nostro, dall’andamento discontinuo e frammentario, definito
rapsodico (Gordiano Lupi).
In quest’ottica
risulta quanto mai interessante l’accostamento tra la tecnica espressiva di
Maffii e musicale dello Schönberg, di cui Adorno per primo indicava la
peculiarità della natura aperta e processuale della sua evoluzione, nel
susseguirsi di rapidi mutamenti di prospettiva e nell’enigmatica catena
creativa, nella quale ogni singola opera acquistava carattere di assoluta
unicità.
E perché non trovare
anche in pittura un parallelismo con il puntinismo o pointillisme, tecnica che
consisteva nell’accostare per contrasto un’infinità di punti di colori puri per
dare maggiore luminosità?
Contrariamente
alla montaliana poetica dell’assenza, dunque, tanta luce nei testi di Giulio
Maffii, un autore in grado di porre validi quesiti nell’attuale realtà di
linguaggio manipolazione e di dare ancor più solide risposte, ribadendo il
valore salvifico della poesia e l’alto ruolo del poeta. Perché, per dirla con
Eliot, la tradizione non è un patrimonio che si possa tranquillamente ereditare
ma chi vuole impossessarsene deve conquistarla con grande fatica.(da Eliot, Il bosco Sacro.Saggi sulla poesia e sulla
critica).
Poesia e poeta dunque: i soli a sapere vedere
dal sopraelevato “molo” l’incanto fiorito dell’arida steppa, il pieno e il
vuoto, il buio e la luce.
Valeria
Serofilli
Caffè storico Letterario dell’Ussero, Pisa, 13
Dicembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento