NAZARIO PARDINI
SU
LA PROSA POETICA IN
“IL
SOLDATO GIOVANNI”
DI GIANNI RESCIGNO
Mi
sono occupato con più recensioni della scrittura di Gianni Rescigno. Della sua
poesia calda, generosa, emotivamente coinvolgente, e metaforicamente allusiva
da coprire con la sua plurivocità tutti gli spazi delle questioni umane, degli
interrogativi esistenziali. E qui, dopo la lettura di queste pagine di
narrativa, sinceramente ho ritrovato il poeta: la sua capacità esplorativa, il
suo tratto deciso e sicuro in un romanzo in cui gli avvenimenti coprono uno
spazio storico di ampio respiro: guerra di Libia (2011), la prima e la seconda guerra
mondiale. Ci narrano di un uomo del popolo vissuto fra due secoli: il soldato
Giovanni. L’interprete principale di un
film che ci pone di fronte a scene storicamente efficaci, realistiche, anche se
di quelle sotterranee di cui la storia poco ci parla: amore, amicizia,
sventura, odio, vendetta, dolore, vita, vita, vita… E tutto verte a delineare
la psiche di questo soldato; una grande operazione di scavo, di analisi più che
di descrizione psicologica; tanti tasselli a costruire una piramide la cui struttura
precipiterebbe se si togliesse uno, uno solo di quei tasselli. Gli ambienti, i
panorami, gli sguardi ora pietosi, ora disincantati, ora oggettivi, sulle
vicende si inanellano fra loro in un susseguirsi compatto e realisticamente
attraente. Una narrazione che fa della storia un mezzo per nutrire la vita, i
suoi intrighi, il tanto patibolato nostro segmento terreno. E il tutto ha una
funzione precisa: ritrattare il carattere del soldato Giovanni. E’ lui che deve
venir fuori, il suo mondo, la sua moralità, la sua indole sana e semplice di
popolano che vive, che ama, che odia, come tanti, capitato in uno dei momenti
storici più tragici. Tutto ruota attorno a lui: passato, presente, e futuro:
Giuseppa, la sua sagacia popolare, la sua imponenza fisica (mammella), la sua
spontaneità: “La terza moglie di
mio nonno si chiamava Giuseppa. Una matrona, vedova del custode del camposanto,
con mammelle sovrabbondanti, dai muscoli virili . . . Dedita al vino fin dalla
giovane età passava le giornate dividendosi tra casa, campagna e cimitero . .
.”, la realtà descritta con
occhio attento al particolare; gli altri
personaggi di supporto, pur sempre
altrettanto singolari; gli ambienti.
Ma dove è che ritroviamo il poeta. Dove
è che il poeta si trasferisce con tutta la sua creatività in queste pagine di
narrativa. La ricerca non è certamente difficoltosa; ed eccolo il poeta: è qui
nella sua terra, è nel respiro della soglia di casa, in questo confluire
dell’uomo e del suo mondo nello stesso rigagnolo che porta al grande mare
dell’opera; è nella sofferenza del vivere, in quella visione che il poeta ha
della vita, della sua fragilità, commisurata al tempo, al suo scorrere. Motivi
centrali nella poetica del Nostro, che riesce a vedere le cose dall’alto con
nel cuore la speranza di un mondo migliore. E Giovanni è senz’altro un
personaggio positivo in tutta la sua
ruvidezza, un personaggio come uno di
noi di fronte ad episodi ora straordinari ora di normale andatura familiare. E
nonostante tutte le difficoltà lo viviamo come un essere che ama vivere. Che
ama tutto ciò che di buono ci offre il nostro esser-ci. Ed i caratteri, gli
ambienti, i motivi che ispirano la poesia di Rescigno sono semplici; e anche se
traslati, non di rado, dalla sua forza emotiva, pur sempre ambienti che
traspirano l’aria della sua terra; sta qui in gran parte la grandezza del suo
poema: nel saper spicciolare la sua cultura, il suo patrimonio memoriale:
emblematico il personaggio di Giuseppa dedita al vino. E lo si vede nel momento
della sua morte. Niente di tragico, di spacca cuori, tutto si svolge con
naturalezza, perché trasuda dalle pagine di Rescigno poeta l’idea che l’inizio
e la fine, la fine e l’inizio, sono due misure facenti parte della vita:
inquietudini umane, troppo umane come la morte e la nascita. E l’autore, pur
invischiato nelle vicende, ne sa uscire con spirito contemplativo, dacché è
convinto che niente finisca nel nulla e che la morte stessa sia l’origine di
una storia più pura e luminosa. Ed è proprio per questo, forse, che la sua narrazione
non assume mai un carattere estremamente pessimistico, anche se gli avvenimenti
spesso ne darebbero motivo. D’altronde si dice al mio paese che dall’oro non nasce
niente ma dallo sterco può nascere un fiore. Ed i fatti lo dimostrano. Fatti su
cui non si dilunga troppo. Spesso sono pennellate sintetiche, essenziali.
Descritte con un’efficacia verbale da cesellatore di parole. Descrivere e
rappresentare con l’animo del poeta, quindi, che arriva a sforzare la
grammatica per ampliare gli spazi verbali con allusioni incisive ed espanse. E
necessitava proprio una figura come quella di Nicola all’economia del romanzo,
l’antieroe, l’amico del cuore, il ferracavalli, il nemico di tutte le
ingiustizie, l’altro volto della medaglia che contribuisce a mettere in risalto
l’apparente ruvidità di Giovanni, una ruvidità che nasconde, in effetti, un
animo umano, soggetto ad impulsi emotivi, a cambi umorali, ma pur sempre capace
di slanci di generosità. E’ dalle loro discussioni che fuoriescono due figure
distinte, ma complementari, soprattutto quando alla sua morte Nicola si fa emblema di quella sagacia
popolare alimentata da un pizzico di visione melanconica e negativa sulla
natura degli uomini: “Tutti gli uomini tirano l’acqua al proprio mulino”. E
Nicola, dopo la morte, diverrà l’anima
gemella di Giovanni. Il suo buon consigliere. Sarà il suo spirito a dettargli i
sani comportamenti estranei alle passioni più irrazionali: come quello di non
uccidere, di non cadere nel degrado della vendetta. Ci sono momenti di alta
poesia, di immensa vicissitudine umana, che un poeta come Rescigno può cogliere
e trasferire in qualsiasi genere di scrittura. E, in particolare, in quella che
tratta di una storia con tutte le sue vicende belle e meno belle. Con figure
altamente simboliche ed emozionanti: Sisina (l’amore), la morte del figlio (la
tragedia), la nascita di Gianni (il ritorno alla vita), Lella (la puerpera, la
donna che dà vitalità), in più la perfidia della selezione naturale: c’è chi
muore per denutrizione, e c’è chi sopravvive perché più forte. Insomma tutto il
sale e il pepe del vivere in un ambiente estremamente popolare, fertile di ruvidezza
e generosità che sfugge all’occhio dello storico. Ciò che è umano, familiare, ciò
che è vero. In un ambiente dove l’uomo mostra più direttamente le facce
ambivalenti della sua permanenza terrena. Il periodo della II Guerra mondiale
appare ancora più realistico, più succinto e incisivo nella narrazione e nelle
descrizioni. Un vero realismo di memoria macchiaiola, fatto di tocchi
essenziali, ma emblematici che allargano il semplice accident a significati più ampi. E’ il quotidiano con tutti i suoi minimi
accadimenti che colpisce l’occhio di Rescigno. Una verità portata agli estremi
della sua naturalezza, come quella di pisciarsi addosso dalla paura da parte di
don Pacifico. Povertà e miseria. Ma tanta umanità, quella schietta, in tutte le
sue forme, anche animalesche, ma anche infinitamente poetiche in slanci di
amore e di amicizia, di confronti e sfronti, epici, direi, e che non
falsificano il succo della vera esistenza.
Ed è qui la virtù di questo grande
scrittore: saper far suo ogni episodio, e per tale intendo anche ogni apporto
del memoriale; ognuno di noi vive o ri-vive frammenti che rievocano una storia
contornata da un certo sentimento; ma Rescigno va oltre, ricorrendo ad un mélange di commozioni e riflessioni
intellettive, che lo conducono ad una sua filosofia, ad un suo pensiero preciso
e perentorio sul fatto di esistere in questo spazio ristretto di un soggiorno.
Quindi ogni racconto popolare ed ogni tradizione familiare decantano nelle
segrete del suo animo, segrete come quelle dove anche il buon vino,
invecchiando, assume colore, tono e bouquet saporosi di una cultura che invita
alla poesia. E il tutto, arrotondato dal pensiero e dagli spazi sottostanti del
pensiero stesso, si rovescia sul foglio nei momenti di un caldo equilibrato
riposo. Insomma, dal fluire del romanzo emerge “l’invadenza” di questo autore,
la sua massiccia presenza disseminata nelle pagine di Giovanni (soprattutto), di
Giuseppa, Nicola, Bettina, Sisina, Gioacchino, Lella, don Pacifico… Disseminata
in tutte quelle rielaborazioni ambientali che costituiscono il valore aggiunto
dell’arte di Rescigno: “Improvvisamente, quando incominciò a respirare la sua
aria, quando gli apparvero le familiari cime dei monti, avvertì il desiderio
immenso dell’affetto dei parenti…”; “Appena l’alba gli s’annunciò dagli scudi
socchiusi fu pronto…”; “Dove finiva la strada Giovanni vide una specie di
capanna. Bassa. Coi muri di pietre a secco. Il tetto in lamiera. La porta era
chiusa. Trattenuta da un chiodo vi penzolava un ferro arrugginito di cavallo.
Cigolava ai colpi del vento. E al vento sembrava lasciare un lamento…”. Chi vi
dice che queste “poesie” non siano verniciate dei colori della sua terra. “Poesie”
affidate ad una scrittura asciutta, segmentata, essenziale, incalzante,
dialogica, che poggia su periodi brevi, di stile giornalistico, direi, dai
risultati estremamente attuali e redditizi. Dove sequenze narrative, descrittive,
ed analitiche si alternano, in maniera compatta, inanellate da una vis
morfosintattica di perspicace sapidità disvelatrice. E dove la figura di questo
soldato spicca, alla fine, con tale energia da lasciarci commossi; commossi da
riprendere le pagine per rileggere i momenti salienti della sua storia. Sì,
perché, il soldato Giovanni, alla fin fine, non è altro che il padre di tutti
noi italiani: mio padre, vostro padre, un padre come tanti che ha avuto la
malaugurata sorte di vivere il tremendo periodo delle guerre; che ha sofferto,
ma che è riuscito ad andare avanti con dignità. Che ha insegnato a tutti noi il
valore dell’onestà, della disciplina, e del rispetto della vita. Basterebbe che
noi tutti acquisissimo una minima parte dei suoi insegnamenti. Ma perlomeno
ricordiamoci di questi padri, dei nostri padri che hanno lottato nelle trincee,
che hanno vissuto lontano dalle famiglie, che hanno pianto su delle foto logore
e consumate dalla pioggia, e che sono stati ripagati con la miseria e le
macerie.
In una recensione ad una sua opera di
poesia dal titolo Sulla bocca del vento
ebbi a concludere: “… Sì!, questo è Rescigno, questo è il suo mondo e questa è
la sua poesia. Una versificazione che abbraccia ogni ambito dell’animo umano. E
anche se il suo discorso appare spesso terreno, troppo terreno e anche se si
aggrappa con slanci spirituali all’oltre, pur tuttavia, è il profondo senso
della sacralità della vita a fare della sua arte un poema edificante. Tanto è
vero che sente questo bisogno continuo di ripescare il passato, di riattualizzarlo,
quasi per annullarsi, e riprendere fiato dopo una corsa senza respiro; sì!, per
annullarsi in stormi di primavere…”. Penso che anche il soldato Giovanni, da
là, sia contento di leggere questa mia conclusione. Ed è così che mi piace
concludere.
Nazario
Pardini
24/11/2013
Gianni
Rescigno: IL SOLDATO GIOVANNI
Genesi
Editrice - Torino. 2011. Pp.112.
€ 14,50
Nessun commento:
Posta un commento