Riflessione di Aurora De Luca su “Ver Sacrum” di Franco Campegiani, edito da Tracce.
“Non può distruggere l’uomo,/ né costruire,
altri che se stesso”
Aurora De Luca
Ver
Sacrum (Primavera Sacra), di Franco
Campegiani, è un volumetto fatto di contrasti. E’ inno alla terra, inno al
Paradiso, inno all’Uomo stesso come creatura tra le creature. Ma è anche
angosciata disillusione, poiché emerge chiaramente dallo sfacelo della civiltà,
quanto questa creatura umana, che avrebbe in sé milioni di Primavere
ri-generanti, abbia una cortissima memoria –per così dire- circa le proprie
origini.
E’ l’uomo quindi il luogo dei contrari,egli è
qualcuno che ha in sede tutte le possibilità ma anche il tarlo del malcontento.
Il mito delle colonne d’Ercole torna a ripetersi come una storia familiare; “E sono io Caino, io Abele,/ io l’angelo e il
diavolo di me stesso”.
“L’originalità
consiste nel ritornare alle origini”
così Antoni Gaudì si esprimeva, eppure le sue innovazioni artistiche sono
travolgenti.
E’ la Natura per Gaudì, come lo è per
Campegiani, la fonte di originalità suprema, la base strutturale e prolifica di
ogni elemento. Da essa l’uomo non può allontanarsi ma anzi deve ritornarle
continuamente in grembo; egli deve evolvere nel tempo e nel luogo, restando
figlio di questo sacro sistema di equilibri, figlio di un corpo unico del quale
l’uomo è una sola cellula.
Sono deliri autodistruttivi quelli di quanti
credono che “arare l’orto”sia uno spreco, di quanti pretendono di elevarsi a
coordinatori della Natura stessa, tentando di porle ritmi e cicli squilibranti,
di quanti repellono “l’essere contadino ed artigiano” preferendo lavar via
delle proprie mani lo sporco della terra ed il sudore, per riporre tutta la
vita in una ventiquattrore.
“Ver
Sacrum” è quasi una invocazione
perché la coscienza si svegli e torni alla natura generante, è una invocazione
al mistero sacro e imprescindibile del rapporto tra i contrari, tra l’alfa e
l’omega; “l’una nell’altra si confondono/
l’alfa e l’omega./ Tutto è immutabile/ e tutto è in mutazione./ Giunge l’essere
al tempo/ e torna all’assoluto il relativo.”
Siamo costituiti da corpi contrari ma
combacianti, ognuno composto da ritmi interni propri, simili a stagioni per le
quali percorriamo Inverni e Primavere in fasi alterne. Non possiamo
profondamente svelarci ma possiamo profondamente amarci. L’Amore, come la
Natura, entra ad essere nel sacro; “Legarsi
e sciogliersi/ questo è il gioco dell’amore. Amarti è perderti,/è scoprirti
tua, non mia.”
Tutto questo è già in Natura.
La poetica misterica e metaforica rende “Ver Sacrum” simile ad una eco nella
grotta, una parola portata dal vento che sventaglia tra i palazzi.
Il mito riecheggia nelle belle immagini che il
Poeta sa evocare, mito che approda nell’oggi e nella sua involuzione.
Le suggestioni sono autentiche, i contrasti
sono morbidi perché morbidi sono i suoni –forse perché il limite è spesso una
sfumatura indefinita - le introspezioni profondissime, e il tanto dolore è
commisto di altrettanto amore.
“Oggi si
torna a capo.
Rinasce
primavera tra le crepe
di
queste tombe
che
l’inverno ha demolito.
Si
dissolve nelle tenebre la storia,
la
sua boria in un ghigno il nulla attrae.
Ora
si torna a capo,
alle
vie origini del mondo,
nei
luoghi –non-luoghi
dell’essere
increato.
Spariamo
nell’oblio dell’insensato,
gettati
nel tunnel che conduce
all’apolide
patria dell’amore,
là,
nell’altro volto di Giano,
radioso
e senza forme, senza tempo.
Fermo
agli inizi perenni
e
fuso col fuoco del tempo
nel
suo tempo immortale.”
Aurora De Luca
Quando l'amico Franco mi diede una copia del suo libro, già dal titolo trovai le indicazioni per seguire un cammino, Mi piace ricordare alcune cose che scrissi all'amico poeta, in parte riflesse in questa bella recensione. Franco, spero che tu non te ne abbia se attingo dal nostro carteggio e rendo pubbliche le mie impressioni di lettura:
RispondiEliminaI tuoi versi mi hanno dato l'immagine di un uomo timido e risoluto che lavora al buio, che si apre come un seme nella terra, e che germoglia trasformando in poesia la sua visione del mondo. Un germoglio, non un albero, non un arbusto, forse una piantina filiforme, di quelle che crescono silenziose senza che le noti subito, ma come il fagiolo, contengono ferro e proteine.
Le sonorità sono molto ricche, come le colonne dei chiostri, e più precisamente di quelle colonne che si avvitano verso l'arco se sei di buonumore, o verso il plinto se sei triste.
A tratti mi hai ricordato Clemente Rebora... versi come "seppure si sfaldasse un dì la terra" oppure "questo fascio di muscoli e nervi / affiora da un magma / sereno infuocato" li trovo affratellati al suo stile...
Poi ci ho trovato le storie, i racconti come il pompiere, come meteora... non si tratta solo raccontare i propri umori, dolori e colori, si tratta di penetrare nel mondo dell'altro e non si capisce dove inizia la penna del poeta e dove al suo posto continua la penna della vita.
Tuttavia, anche perché mi sono sentito un tuo simile, nella prima lettura ho visto il poeta come se un fantasma silenzioso e mite avesse accompagnato i miei occhi. Una presenza che non mi ha abbandonato, e questo è un male, perché cercavo il poeta più della poesia... mi è stata necessaria una seconda lettura, più libera, ho piluccato qui e là, a casaccio, repentinamente, e mi sono svincolato da te.
Questa seconda disordinata lettura mi ha dato - oltre i riccioli delle colonne - i campi arati, le foglie secche, gli amici e il pensiero che li accompagna, il discorso tra anime che si incontrano e si parlano.
Oltre le storie in versi, o i dipinti di parole, la poesia più pura è anche la più complessa: la tua poesia non è leggera... proprio per questo non va capita, non si deve cercare alcun significato... va letta e riletta, va sonorizzata... come un buon vino deve ossigenarsi prima di dar piena gioia al palato.
E poi si capisce che tutto il pensare e il vivere di un uomo si trova nel massimo della sintesi, perché oggi... si torna a capo!
Claudio Fiorentini
Grazie Aurora, per questo prezioso e inaspettato dono. Ne sono commosso. Ti conoscevo come poetessa in grado di aprire finestre di cielo sulla pagina bianca, regalando manciate di freschezza e di amore... Ora mi stupisci con questa lettura così profonda, che aggiunge poesia alla poesia, parlando di natura, di armonia dei contrari, della necessità di tornare alle origini per poter aprire nuove avventure culturali... E che dire di te Claudio? Conservo gelosamente lo scritto che ora rendi pubblico: il che mi onora. E ti confesso che mi esalta laddove scrivi: "Non si capisce dove inizia la penna del poeta e dove al suo posto continua la penna della vita". Grazie.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Io sono un'innamorata della Silloge "Ver Sacrum",
RispondiEliminaho introiettato i concetti del mio carissimo amico, la sua visione filosofico -poetica dell'esistenza... Leggendo "La teoria autocentrica" si è predisposti alla Raccolta di liriche, ma approcciare le liriche senza la preparazione filosofica, offre forse l'opportunità di una lettura pura, scevra da condizionamenti...
Aurora mi incanta con le sue profonde, acute, superbe osservazioni. Conduce un'analisi del lirismo di Franco che ne mette il risalto il potere 'rigeneratore' e trova il punto d'incontro tra filosofia e poesia senza cercarlo. E' ragazza dotata di capacità rare e mai ostentate... Vorrei saper recensire con la sua sicurezza inconsapevole. Vorrei essere certa che i nostri figli possiedono le sue innate doti ... Sarebbe garanzia di un domani migliore!
E cosa dire di Claudio? E' uomo di novità, di sferzate di originalità e di purezza incontaminata... Ha dipinto le verità del nostro Franco con la sua
capacità analitica da 'passionario'...
Li ammiro entrambi infinitamente e sono felice per franco: la sua innocenza merita tributi così alti! Vi abbraccio tutti: mi arricchite! Maria Rizzi
Ringrazio anche te, Maria, per lo sprone e per la continua vicinanza... Sei un'autentica pasionaria della cultura e della letteratura.
RispondiEliminaFranco Campegiani