Ode al mare e ai poeti vaganti
Fosse il mare
l’occasione migliore
Per dare un
taglio a questi affanni rovinosi
Per affrontare a
viso pieno la burrasca degli anni
E del gioco
crudele dei ricordi
Sceglierei di
partire sul tavolato salmastro del Kon Tiki
Senza conoscere
mete suggerite né tantomeno plausibili obiettivi
Riconoscibili da
una ragione che tenta l’infinito
Senza speranze
di penetrarne il nome che non è
Vagando, a lume
di naso
Sugli inclinati
piani di un’assoluta meraviglia
Per lasciarmi
stupire ogni volta
Da miraggi di
terre emergenti
Da luminosi
lungimiranti segnali
Di visi, volti,
popoli, profumi, sensi incantati
Di nostalgie
tenerissime e improvvise.
Sciogliersi,
fluire, perché no, lasciarsi andare
Al freddo o
caldo senso di un umido ancestrale
Come Martin Eden
che dall’oblò della notte
Sprofondò nel
buio senza più parole
Senza ritorno,
senza più santi in paradiso
Senza neanche
l’illusione di ipotetiche reincarnazioni
Tali da
giustificare eventuali pentimenti finali
Senza ne’ bene e
ne’ male
Solo lievi,
impercettibili correnti
Fredde o tiepide
come amniotici richiami
Onda su onda, e
sotto
L’ombra mobile
di una presenza antica (oscura)
Perduta
testimonianza
Di ciò che è
stato e che sarà.
I poeti hanno
col mare un rapporto speciale
Privilegiato, si
potrebbe ipotizzare
Forse perché
inseguono mete, isole sperdute
Vissute nei
sogni inappagati
Come inutili
chimere e sonnacchiose
E partono,
partono senza sapere
Quale sarà
l’approdo, l’ultima Thule
Ansiosi di
messaggi sovrumani, appesi al filo tenue
Di un’avvolgente
solitudine amica
Stelle comete in
cerca del loro salvatore
Eroi senza tempo
senza rancore
Ingenuamente
affezionati a parole insufficienti
A raccontare il
turbinio dei loro sensi.
Per questo amano
lasciarsi affascinare
Dal movimento
incessante dell’acqua
Madre unica (per
noi terrestri)
Di biologiche
storie (per noi) legate al fato
Di millenarie
sofferenti agonie
E preferiscono riconoscersi
in pochi, lasciando segnali
Al tempo
indifferente
Ai troppo umani
tentativi
Di impedire
Che le cose
siano così come sono
Fragili, a volte
indecisi, imbarazzanti
Nella loro
sostanziale ingenuità
Caparbiamente
attaccati
All’unico minimo
comun denominatore
Di quell’insopprimibile
anelito a voler cavalcare l’infinito.
I poeti si ritrovano
all’alba e al tramonto
Perché vogliono
fare il punto della situazione
Si parlano si
cercano si scambiano occhiate
Gratificati
comunque dal fatto che qualcuno li starà a sentire
Cosa non facile,
dato il freddo di quest’epoca infame
Dove assai poche
sono le anime assetate
Di trovare
finalmente una qualche via d’uscita
Alla volgarità
di un’esistenza banale
Alla pochezza
degli estratti conto e delle leggi di mercato
All’andirivieni
delle grigie figure di potere
All’inutile
chiasso di pulsioni virtuali
Subliminalmente
affioranti nella melma appiccicosa
Delle perdute
stagioni che ci tocca affrontare.
Altre acque,
altri mari vorrebbero solcare
Gli improbabili
battelli e le scialuppe incatramate
Di questa strana
inattuale genìa
Di poveri
cristi, poeti vaganti sul mare
Delle notti
faticose, abitate
Dai ridicoli
folletti delle occasioni perdute
Perché si
lasciano travolgere dagli eventi
E non possono
reagire
E in altre certe
occasioni non sanno che fare
Ripromettendosi
di vivere oltre i versi, al di là delle parole
Consapevoli in
fondo
Della loro
sovrabbondanza d’amore
Che spesso li
lascia smarriti
Alti, lassù
Nelle vertigini
che troppo pochi saprebbero abitare.
Vorrei dirti
Ma non posso,
non ne sono capace
Di quest’oceano
ingordo che ci avvolge i pensieri
Della salsedine
Degli orizzonti
andati a farsi benedire
Degli incontri
fugaci, dei grilli parlanti
Dei venti
dell’est, dello zenit, delle aurore boreali
Dei deja-vu, dei
gesti quotidiani
Dei segni
misteriosi, delle attese, dei risvegli improvvisi
Di questo
viaggio
Che sembra non
finire mai
Lungo le rotte
Che portano là
dove continua a tramontare il cielo.
Agnone – Tremiti – Agnone
Agosto
2006
Ricerca
Le
determinazioni dell’essere
stanno come fulmini
abortiti
dimenticati
dardi
nell’oscura faretra del dio
del tutto assenti
a noi (perduti)
alla ricerca disperata d’amore.
Sferza il vento
ciò che resta del mare invernale
nel timido
inchinarsi
del mio pensiero al
sole
mentre mi osservo libero
e in fondo sempre
uguale.
Io
sono anche noi
come stormo di
rondini a venire
come il segno di benevoli lune
a questa assenza
impalpabile
degli usati perché.
Ora anche tu non
dirmi
che non sei stata (mai)
felice
quando vibrava
la tua pelle al lume
dei pensieri
senza tempo
e tu eri me
ed io il cielo.
Maggio 2002
Perdono
Restano
cose - vi assicuro –
che non
ho parole
per rivederci
insieme in altri spazi
che non siano i fumiganti crateri
della nostra
idiozia blasfema
che ci ha fatti divisi
contro ogni possibile logos
- ragione o
natura che sia –
Sarà forse il
pianto dei bambini
o il desiderio di chiedere
perdono
ad annunciare il mondo nuovo
a svolgere il sudario
del Cristo estremo
che ci tocca
ancora da salvare
Sarà la morte
o l’istinto d’amore
a ricordarci
che siamo veramente tutti uguali
e che i distinguo non servono un
granchè
di fronte
al magico nulla di una sola
cosmica
illusione
Sarà che
stiamo (tutti) appesi al domani
e che i rimpianti – poi – ci fanno
ammalare
che i giorni andati sono
un film
senza
ne’ capo ne’ coda
che vorrei braccia larghe
per
circondare
tutta la vita senza io ne’ tu
e non dimenticare
gli attimi istanti
di questo dolce
amaro gioco e senza fine
Sarà che vorrei
chiedervi perdono
per non esservi stato più vicino
per non aver saputo rinunciare
oltre quanto già fatto
perché le
coincidenze inaspettate
lasciano il passo
a questa perdurante umanissima follia
senza che mani
tese e sogni e aspettative
sortiscano qualche effetto
che sia più
durevole dell’errore
Sarà quel che
sarà
quante volte ci siamo incontrati?
persi così nella storia di un mistero
tra le pieghe del tempo
e le notti e i giorni senza nome
quando è chiaro
che in fondo
non c’è
nient’altro - vi assicuro - da capire
che quel che conta è solo
solo e soltanto amore
Sarà che a volte
ci sentiamo un po’ sperduti
e navighiamo all’ombra dei sospiri
e ci facciamo
largo a stento
tra i
labirinti dell’ipocrisia
e rimandiamo i nostri sogni a dove
mai
più forse sarà
e ci facciamo
male
senza alcuna plausibile
ragione
Sarà che forse è
giunta l’ora
di aprire finalmente gli occhi
al cuore
e chiedere perdono
sarà solo e soltanto
l’unico e logico destino
puro
come stelle non nate
come
vuoto divino.
gennaio 2002
Francesco Paolo Tanzj
Da “Per
dove non sono stato mai” - Stango Editore Roma 2002
Pubblicazioni: le raccolte di versi Aggregazione (Gabrieli, Roma 1974), Oltre (libro Italiano, Ragusa 1995), Grande Orchestra Jazz (Tracce, Pescara 1996), Per dove non sono stato mai (Stango , Roma 2002), Oltre i confini-Beyond
Boundaries (La stanza del poeta, Formia 2008), L’oceano ingordo dei pensieri (Artescrittura, Roma 2012).
In prosa i romanzi Elogio della provincia (Stango, Roma
1999), Un paradiso triste (prima
edizione, Tracce, Pescara 2007, terza edizione 2013) e l’e-book Ci vediamo da Jole. www. francescopaolotanzj.it
L’oceano ingordo dei pensieri:
1) Foto alla libreria Rinascita:
2) Recensione di Franco Campegiani http://nazariopardini.blogspot.it/2014/02/franco-campegiani-su-loceano-ingordo.html
3) Recensione di Sandro Angelucci
4) Alla volta di Leucade di Nazario Pardini
Francesco Paolo Tanzj ci ha onorato della sua brillante, umile, ricca e fantastica presenza il 9 febbraio a Rinascita! Abbiamo ammirato due dei video acclusi alla Silloge "L'oceano ingordo dei pensieri", totalmente rapiti dalla capacità di quest'artista di coniugare il lirismo con i problemi sociali e con le 'contaminazioni', che tanto giovano alla Cultura. Oltre alle magnifiche relazioni di Franco Campegiani e Sandro Angelucci, abbiamo ascoltato alcune liriche declamate dal nostro Massimo Chiacchiararelli e siamo rimasti estasiati da un duetto, ideato dallo stesso Autore, legando frammenti delle varie liriche in un mix sorprendente... Il duetto è stato interpretato da Francesco e da Loredana D'Alfonso e ha segnato un momento di altissimo pathos e coinvolgimento.
RispondiEliminaSento il desiderio di ringraziare Francesco Paolo per la serata indimenticabile che ha condiviso con noi , a Roma, per le sue liriche intense, tese ad 'aggiungere', come disse l'Autore stesso, e a mio umile avviso, evocanti i grandi scrittori cileni... Lorca, Neruda... quello delle Odi, della sovrabbondanza. Per i versi caratterizzati dalla categoria estetica del timbro, che dona musicalità e supplisce all'assenza di metrica...
Un uomo e un Artista il caro Francesco , che ci ha arricchito e che non vedo l'ora di incontrare nuovamente! Maria Rizzi