AMBRA SIMEONE: "POESIE INEDITE"
AMBRA SIMEONE
Siamo di fronte a una ricerca poetica con forti connotazioni innovative e sperimentali, dove la domanda dell’indagine sui vari aspetti della realtà esistenziale apre alla necessità di una risposta, e tutt’e due -domanda e risposta- trovano corpo nella sostanza linguistica di un parlato quasi diaristico e semplificato per chiari fini connotativi (uno per tutti, la “metafora” del terzo componimento), magari attraverso ammicchi paradossali o ironici. Il tutto con la perspicua adozione di modi e ritmi espressivi assolutamente fuori dei canoni usuali, snodandosi e distendendosi il verso in lunghissime prosastiche misure per l’evidente (e voluta) rinuncia ad ogni metro della tradizione letteraria e, forse, per condividere l’idea della “forma più capace” teorizzata da Czesław Miłosz .
Pasquale Balestriere
l’idea balorda dell’a capo
non sono mai riuscita a togliermi di testa la voglia di usare l’a capo,
scrivo una cosa e me lo dicono in tanti, che non c’è mica bisogno dell’a capo,
ma io lo faccio lo stesso, dicono, sai non c’è bisogno che lo usi, non sono poesie,
e io caso strano ce lo metto l’a capo, che mi è entrato nella testa e non vuole andar via,
mi dicono anche che se scrivo queste cose qui, che chiedono, sono prose? no, gli rispondo,
sai, sono quasi poesie, e allora l’a capo non è obbligatorio nella prosa, perché lo usi?
non sono mai riuscita a eliminare questo tic dell’a capo, scrivo una cosa e poi vado giù,
e dicono che quell’andare giù è superfluo, perché è una cosa che riguarda la poesia,
così un giorno mi ci metto d’impegno, nel senso non d’impegnarsi, ma di sacrificarsi,
e provo a non andare a capo, poi quando rileggo ci trovo ancora gli a capo, e mi chiedo
ma io non li avevo messi? che strano, com’è che sono comparsi? dico a quelli che mi dicono,
perché metti l’a capo, sai che non serve per questi testi, tu come li chiami, poesie?
no, non sono poesie, allora non ci va l’a capo, nel frattempo gli dico che sono comparsi,
e giuro, io non volevo, non volevo cambiarvi le regole, che non è poesia questa, è quasi poesia.
i telegiornali, secondo me, non servono a nessuno
secondo voi i telegiornali, adesso come adesso, a cosa servono?
io me lo chiedo spesso, il meteo, per esempio, a cosa serve saperlo?
non so, basta che la mattina ti affacci alla finestra e vedi che tempo fa,
e se hai il balcone fa lo stesso, la cosa non cambia poi molto,
poi, per esempio, se per caso sai pure in che stagione sei, sai anche più o meno
se fa freddo oppure caldo, ma se è un caldo umido o asciutto,
a che ti serve saperlo? volete sapere come sono andate le cose al governo?
non si sa che sono tutti bravi, operosi, che la crisi è rientrata,
che quelli lì stanno facendo questo e quello? cos’è non lo sapete?
a cosa serve sentirlo al telegiornale? volete sapere se è morto qualcuno?
o volete sapere, come, perché, con chi e quando? no, perché se è così,
basta sapere che ne muoiono fin troppi ogni giorno per malattie,
guerre, omicidi, violenze o per negligenza dei medici, magari per suicidio,
e non c’è mica bisogno di sapere altro, poi dai telegiornali, perché volete saperlo?
io penso che non ce n’è bisogno, che non ne abbiamo un vero bisogno,
ma se le so io queste cose, che per fortuna non sono una giornalista,
e che per lo stesso motivo, non sono neppure un genio in statistica,
né un politico, figuratevi voi, voi anche lo dovreste sapere,
cos’è ce ne siamo dimenticati? e allora che facciamo?
io spengo la televisione, ecco cosa faccio, e voi?
a me è venuta la nausea di certi posti
certi posti, io vedo proprio che non ci voglio più andare,
in certi posti, dove sono stata tante volte a sentire le stesse persone,
io proprio ho la nausea se solo ci penso, e allora mi capita invece
di fare un giro su per il colle vicino casa mia, lì ci andavo sempre con mio padre,
e non so, avevo come l’impressione di stare bene e non mi annoiavo mai,
di vedere quelle stesse facce, di sentire quegli stessi odori e di vedere quelle piante lì,
tanto che se non ricordo male, mi viene in mente di aver visto, una volta,
un signore molto vecchio che fasciava le sue damigiane di vetro,
perché in campagna, ci sono ancora quei contadini che vendemmiano,
e le fasciava di vimini queste grosse damigiane col vino dentro,
e allora io, più che descrivere questa cosa, che vuole essere una metafora,
vi dico soltanto, che una volta, ho visto cadere una di queste damigiane,
e che a vederla così, distrutta in mille pezzi, poi mi ha fatto una gran pena,
e ho pensato a quanto era antica, perché infatti molto spesso,
capita che se le tramandano di generazione in generazione, i contadini,
ma quella lì, che è caduta, come ne saranno cadute delle altre, non saranno mai più,
tramandate, né ricordate da nessuno, ora mi chiedo se questa metafora qua,
stia funzionando davvero, oppure cadrà anche lei nel vuoto,
e disintegrandosi in mille pezzi, non potrà più essere tramandata.
Ambra Simeone è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua ultima raccolta di poesie “Lingue Cattive” esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti “Come John Fante... prima di addormentarmi” per la deComporre Edizioni. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e antologie; le ultime due per LietoColle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.
Possiamo, con Ambra Simeone, poetessa giovanissima, finalmente vedere uno degli esiti scacchistici del tardo-moderno. Finalmente la scacchiera è buttata in aria, nel riconoscimento dell’immotivazione dell’indistinzione ontologica delle categorie prosa / poesia («mi dicono anche che se scrivo queste cose qui, che chiedono, sono prose? no, gli rispondo,/sai, sono quasi poesie, e allora l’a capo non è obbligatorio nella prosa, perché lo usi?»), della assoluta casualità comunicativa del verso e della forma («non sono mai riuscita a eliminare questo tic dell’a capo»), dell’ironia come fonte di ogni nuova avanguardia, di ogni rivoluzione etico/artistica («ma io non li avevo messi? che strano, com’è che sono comparsi?») («e giuro, io non volevo, non volevo cambiarvi le regole, che non è poesia questa, è quasi poesia »). La «quasi poesia» di Ambra Simeone, a differenza della mia «non»-poesia energicamente chorastica, butta in aria la scacchiera con ironia, con una levitas, gassosa, tutta neoN-Avanguardista, tutta post-moderna, abbandonando i modi grossolani del sarcasmo, dell’invettiva, della rabbia. Se il sacrificio del «guastatore» (cfr. Giorgio Linguaglossa) è di tagliare i reticolati dell’arte museale moderna fatta-rifatta-strafatta da artisti impagliati e di permettere il passaggio degli attacchi alla baionetta delle nuovissime generazioni, la «quasi poesia» di Ambra Simeone giustifica il sacrificio: “quotidianeità” della concretezza («non so, basta che la mattina ti affacci alla finestra e vedi che tempo fa,/e se hai il balcone fa lo stesso, la cosa non cambia poi molto»), banalizzazione volontariamente estremizzata della denuncia etico/sociale («basta sapere che ne muoiono fin troppi ogni giorno per malattie,/ guerre, omicidi, violenze o per negligenza dei medici, magari per suicidio, /e non c’è mica bisogno di sapere altro, poi dai telegiornali, perché volete saperlo?»), isolamento dall’eccesso di comunicazione, dall’heideggeriano rumore di sfondo («io spengo la televisione»). Butta in aria la scacchiera, Ambra Simeone, con la nostalgia del nostos, col desiderio aedico di un aidos-Aoide, distanti anni luce dalla innocua fugacità dell’istantaneo della pop-art, della mass-culture («ora mi chiedo se questa metafora qua,/ stia funzionando davvero, oppure cadrà anche lei nel vuoto,/ e disintegrandosi in mille pezzi, non potrà più essere tramandata»). Questa la giustificazione del sacrificio del «guastatore», questo il fine del farsi Rocambole, «cane da guardia» contro i mestieranti da carte d’apparati: aprire la pista all’invasione di una nuova Orda d’Oro, fatta di giovani artisti, «quasi poesie», nauseati d’ogni museo o accademia, nauseati «di certi posti».
RispondiEliminaQuello che mi sembra interessante in Ambra, oltre la capacità di scrittura poetica narrativa ben riuscita, è il suo prendere le distanze da tanta poesia "al femminile" per entrare, semplicemente, di poesia. Questo scrivere, che è mutuato dalla narrativa, è esempio di molta bellissima poesia non italiana, dove gli viene riconosciuto il valore che ha. Ambra si allontana dal "che" di poetico, dal tema "poetico", tipico di chi non ha una buona simbiosi con la poesia. Anche tecnicamente, il discorso continuo, la tentazione dell'anacoluto, e però il tenere sotto controllo ogni riga, andando "a capo" quando è necessario, fanno di Ambra una poetessa molto moderna, poco italiana (per fortuna), molto sudamericana o anglosassone: tutti luoghi dove fare poesia non è l'errore italiano, quello di ripercorrere sempre, e sempre, e ancora, le stesse strade piene di polvere.
RispondiEliminaMassimiliano Damaggio
grazie davvero a entrambi i commentatori, mi ritrovo in tutto, d'ora in poi cercherò di essere: sempre più post-moderna, sempre meno femminile, sempre più anglosassone e sudamericana, sempre più ironicamente tardo-moderna, sempre meno polverosa e museale, sempre meno italiana, sempre più leggiadra guastatrice, giusto quel po' che basta per essere insomma... "quasi poetica"!
RispondiEliminaHo letto con una certa simpatia le quasi poesie di Ambra de Simone. E' un processo a cui tutti si dovrebbero avvicinare, accostare, magari fermarsi per un periodo, ma poi riprendere a viaggiare. Là dove formi un tuo mondo, entri in un tuo canone e il canone anche se è tuo, come la televisione, a che serve? Se butto in aria qualcosa, lo ridimensiono e poi lo ributto in aria, per poi ridimensionarlo e così fino alla decomposizione molteplice del tutto. Le lacune della critica sono le lacune di chi intende la poesia come uno stile e non come un soggetto a sé stante, lo stile poetico è lo stile poetico e lì vive il poeta con le sue parole, qui volutamente semplici, quasi infantili e per questo anche encomiabili, che mostrano una certa caparbietà che trasuda una "maliziosa fanciullezza".
RispondiEliminaAlla fine ci si butta sul sociale e sì capisce che ciò che dovrebbe essere sociale non lo è, che il telegiornale è superfluo, che la salvezza è spegnere la TV, perché non ci vuole un genio per sapere determinate cose: sono cose concrete ed immediate, che la gente, ahime, tralascia, gettandosi nel bisogno della ripetizione: un suicidio.
Spegni la tv!
Scardini tutto.
Ma una volta che hai scardinato tutto, che fai?
Valerio Gaio Pedini
Ambra Simeone, mi scuso per l'errore...ehm, quell'"Ambra De Simone",ah ah ah
EliminaValerio Gaio Pedini
caro Valerio,
Eliminaintanto si scardinasse davvero, quello che ci tiene prigionieri, scriverlo è facile, farlo un po' meno e poi si ricostruisce, tutti insieme, penso sia la cosa più giusta da fare! sembra che non ci sia più nulla da abbattere e invece ce ne sono ancora molti di muri, anche nell'ambiente poetico... la mia poi non è né politica, e neppure tanto una poesia... è appunto una "quasi poesia", per cui non ho soluzioni in tasca, ti lascio uno scritto su cui riflettere, se ti va! la scrittura può essere sempre sull'orlo di diventare qualcosa, una qualcosa di diverso, così dovremmo fare per tutto, soprattutto per quello che non ci piace!
grazie del tuo commento!
Certo, ma in sé l'abbattere porta alla formazione di un altro muro. L'uomo è legato, quindi ogni cosa che lo riguarda lo è. Lo slegarsi è un altro modo per legarsi.
EliminaValerio Gaio Pedini
caro Valerio, basta non arrivare mai a credere che abbattere muri o crearne di nuovi (sempre diversi) sia cosa solo da muratori! :-)
EliminaSuscitano interesse (si badi: non ho detto curiosità) queste "quasi poesie" di Ambra Simeone, alla quale - se me lo consente - vorrei dare un consiglio: non abbandonare (permettimi di darti del tu) la tua ricerca poetica perché è vero ciò che afferma Balestriere: "sono forti - e convincenti - le (sue) connotazioni innovative e sperimentali". E, soprattutto, "non cercare di essere", sei: quello che basta "per essere molto poetica".
RispondiEliminaSandro Angelucci
caro Sandro,
Eliminadevi darmi del tu! grazie per il tuo commento, non c'è problema non mollo, continuerò di sicuro... poeticamente e "meno poeticamente", in pericoloso bilico e secondo quello che come ha detto l'acuto Balestriere citando Milosz è per me "la forma più capace"!
Una poesia che bordeggia pericolosamente l'informale, il verso lungo, ma che si fa carico della verità delle cose e della precarietà della scrittura stessa. Questo è il segno e il disegno delle nuove poesie di Ambra Simeone. Sarebbe fantastico poterle vedere presto in un libro: lo auguro a lei e a noi suoi lettori di tutto cuore. Stelvio Di Spigno.
RispondiEliminacaro Stelvio,
Eliminati ringrazio molto del commento, mi piace cadere nell'informale e nell'ironia, sguazzarci dentro! - citando Valery:
"gli stupidi credono che scherzare non significhi essere seri,
e che un gioco di parole non sia una risposta.
perché questa loro convinzione? perché è loro interesse che le cose stiano così. è la loro ragion di stato, ne va della loro esistenza"
per questo non deluderò i lettori è in uscita un libretto con molte altre poesie!
Molti di questi tempi vanno a capo e affermano di scrivere poesia, Ambra Simeone dice "sono quasi poesie",
EliminaE' poesia nuova, sperimentale, c'è bisogno della tua scrittura, c'è bisogno di versi che incidono sul quotidiano e ci portano a salvare quella damigiana. Grazie Ambra aspetto il tuo libro
Cara Angela,
RispondiEliminac'è bisogno che io scriva perché devo liberarmi, un mio vecchio prof. di italiano mi disse che dovrebbero esserci più luoghi pubblici simili "bagni" dove poter entrare e scrivere alla bisogna, quando ti "scappa", sono una "scrivitrice" incallita, altro che fumo!
Metterò da parte una copia per te, grazie del tuo commento!
un abbraccio forte