A CURA DI NAZARIO PARDINI
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno
inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue
opere? lei pensa che ci sia differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o
pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre
lirica qualsiasi argomento tratti?
G. L.: Nella mia poesia non c'è niente di autobiografico. Alla
seconda domanda rispondo che non c'è differenza tra "poesia lirica" e
"poesia d'impegno"; la poesia, se è poesia è sempre impegnata: a
cambiare la poesia e a chi legge la poesia, e quindi il mondo. Ma i suoi tempi
sono molto lunghi si può parlare di decenni, di secoli. Riguardo alla terza
domanda, ritengo che la poesia non sia affatto una "espressione diretta
dell'anima"
N. P.: La sua poetica, essendo lei uno dei maggiori
interpreti della poesia contemporanea, è in gran parte nota attraverso le
innumerevoli recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce ne
vuole parlare direttamente?
G. L.: Molto
semplice, poiché soffro molto di noia, prediligo scrivere al momento, dietro
sollecitazione immediata, e cose brevi. La durata mi produce noia. Ecco
spiegato le mie tante note di lettura di libri di poesia, anche se poi gli
autori di poesia si preoccupano soltanto di misurare col bilancino i
complimenti, gli aggettivi e i sostantivi... vogliono solo i complimenti, a
loro non interessa ragionare. E questo è un difetto del loro narcisismo che gli
impedisce di crescere.
N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e
quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?
G. L.: Leggo di tutto, in modo confuso e in preda alla
compulsione del momento. Ma un conto è leggere, un altro è riflettere su ciò
che si legge. Ecco, ritengo che la seconda attività sia quella determinante per
la propria crescita.
N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono
contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?
G. L.: Ritengo che la poesia possa nascere soltanto dalla
lettura di libri di altri scrittori o poeti. Chi fa poesia secondo i
suggerimento dell'io è un cattivo poeta. L'io con la poesia non c'entra. La
contaminazione tra le migliori scritture è la stoffa che deve formare un'opera
letteraria di qualità.
N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che
tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta ogni
ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un
uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?
G. L.: Lo sperimentalismo è finito nel 1956, l'anno di
pubblicazione di Laborintus di
Sanguineti. Quando Andrea Zanzotto nel 1968 pubblica La Beltà arriva in ritardo, a quella data lo sperimentalismo, dico
la sua spinta propulsiva, è già esaurito. Zanzotto è un autore post-moderno,
epigono tra gli epigoni. Forse il più grande tra gli epigoni.
L'endecasillabo è mutato perché è cambiata la lingua
italiana della comunicazione interpersonale. Il problema non è l'endecasillabo,
si può scrivere una bella poesia anche facendo a meno di scrivere in perfetti
endecasillabi. Il problema centrale per un poeta è essere fuori moda, cioè
fuori contesto, non prendere mai nessuna idea dominante come verità rivelata,
sottoporre tutto a una severissima vigilanza critica. È una via faticosissima
che solo pochissime grandi personalità tentano. Il rischio è essere
anacronistici, e quindi di essere confinati fuori dal proprio tempo. Quando
Leopardi scrisse “L’infinito”, la sua poesia era veramente e profondamente
anacronistica se la consideriamo a confronto con le poesie che si scrivevano
nel suo tempo. Oggi, a distanza di tanti anni, noi abbiamo dimenticato la
fortissima carica anacronistica di quel tipo di poesia, l’abbiamo dimenticato
perché abbiamo digerito quella profonda innovazione. Dico di più, a mio modesto
avviso la poesia contemporanea se vuole durare nel futuro dovrà vestirsi di
panni anacronistici, dovrà apparire ed essere profondamente anacronistica,
apparire ed essere “fuori moda”, fuori contesto (rispetto al contesto del
contemporaneo e delle sue poetiche di facile lettura e digeribilità).
Ho scritto recentissimamente che la tua poesia si muove nella giusta direzione, tende a
ripristinare un lessico “antico” per riposizionarlo nel contesto linguistico
macro poetico del linguaggio della comunicazione. Ma qui intervengono e devono
intervenire altre considerazioni e valutazioni, e cioè se quel contesto
lessicale sia stato versato (piegato, forgiato) in un continuum stilistico che
giustifichi quel lessico. E questa è un’altra direzione che l’ermeneuta deve
sempre prendere in considerazione.
Quando Montale abbandona il suo antico stile e con Satura (1971) cambia stile e accetta di
misurarsi con il linguaggio relazionale della comunicazione interpersonale,
compie una operazione che ha avuto una profonda influenza sulla poesia italiana
che seguirà, compie un anacronismo, ma all’incontrario, cioè accetta una
modernizzazione lessicale e linguistica ma rinuncia alla costruzione di un
“nuovo stile”. Si dirà che non era nelle sue corde e nelle sue possibilità
creare un “nuovo stile”. Questo è un punto nevralgico: la rinuncia ad un “nuovo
stile” caratterizzerà la poesia italiana a venire che sarà chiamata poesia da
traduzione, poesia del post-moderno, e aprirà la strada al minimalismo con
tutte le conseguenze che la poesia italiana rinuncerà a costruire una nuova forma-poesia, accetterà in modo acritico
di misurarsi con il problema della invasione dei linguaggi tele mediatici.
Questo detto in poche parole è stata la via italiana ad un riformismo moderato
che ha invalidato, cioè ha reso difficile e problematico alla poesia italiana
di raggiungere una nuova forma-poesia.
Che poi è il medesimo problema sul quale sta riflettendo anche un altro poeta
contemporaneo: Steven Grieco, sul problema della utilizzazione da parte della
poesia italiana del linguaggio poetico della middle-class.
N.
P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie
frutto di selezioni di case editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari
disseminati per tutto il territorio nazionale?
G.
L.: L'editoria italiana di poesia purtroppo non esiste (parlo di valore
culturale critico). E i premi letterari sono una vicenda che ha i tratti del
grottesco. Le Antologie sono espressione del narcisismo di chi le partorisce e
di chi vi partecipa. Allibisco quando vedo poeti affermati che depongono la
propria firma in calce a insignificanti prefazioni di antologie e almanacchi.
N.
P.: Certamente sarà legato ad una sua opera in particolare. Ne parli,
riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta
lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del
memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti
di un’analisi interiore?
G.
L.: Mnemosine è la madre delle Muse.
Bisogna ritornare a studiare il mito di Orfeo, i miti greci. Il lessico viene
da sé. L'ispirazione viene da sé quando hai chiaro in mente ciò che vuoi dire.
Riguardo alla mia memoria, essendo molto lacunosa, non ci faccio mai
affidamento. Osservo i comportamenti umani.
N.
P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con
quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…?
G.
L.: Ci sono bravi scrittori, ma li devi cercare con la lanterna di Diogene. E
così è per la poesia. Dei premi letterari e delle classifiche dei libri
preferisco non parlare, non trattandosi di cose serie.
N.
P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in
generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe
invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?
G.
L.: Nel libero mercato se un imprenditore ha un ramo della produzione in
perdita, che fa? O taglia quel ramo di produzione o cambia i dirigenti.
Nell'ambito del comparto editoria, se una collana di poesia o di narrativa è in
perdita che fa l'editore?, semplice, non cambia i dirigenti e non sopprime le
collane in perdita ma abbassa o tenta di abbassare il target di qualità per
raggiungere i gusti del pubblico in una corsa sempre più verso il basso.
Se
io fossi, che so, un grande editore la prima cosa che cambierei sarebbero i
dirigenti delle collane in perdita economica e chiederei loro le ragioni di
quelle perdite, con il benservito.
Ritengo
che un singolo non possa fare niente per mutare lo stato delle cose presenti,
il settore cultura è in mano alla piccola lobby degli apparati culturali, fa
parte di quel gigantesco dromedario a più gobbe che è la creazione e il
mantenimento del consenso e dello status quo. Soltanto una rivoluzione può
stabilire nuovi rapporti di equilibrio tra le lobbies o determinare una
cooptazione di una lobby in seno a quella dominante. È un problema di dominio e
di egemonia che le lobby dominanti esercitano e gestiscono in danno dei
sottordinati.
La ringrazio per la sua
disponibilità.
Nazario
Pardini 17/03/2014
Ninnj Di Stefano Busà (stralcio di un intervento apparso su Facebook di sabato scorso)
RispondiEliminaA proposito di Editoria.
Personalmente sono convinta che è BEN ALTRO quello che deve fare la Rizzoli, E NON SOLO La Rizzoli, cambiando "staffetta" di marcia, per alzare l'asticella del prodotto librario che sta languendo, vedete come fa acqua da tutte le parti ? Una gravissima prova è il cambio della vecchia guardia nel tentativo di rimediare, si tenta ancora di non volerlo ammettere...ebbene il Dr. Ussia nuovo Direttore incaricato dovrà scendere dal piedistallo della vecchia ortodossia del tipo: solo gli eletti devono andare avanti, - e non i valori- emergenti, solo perché sono sconosciuti. NON OCCORRE ESSERE FAMOSI SE IL PRIMO LIBRO SI AZZECCA, lo si diventa automaticamente. Il Dr. Ussia deve rendere la narrativa più OCCHIO! non ho detto più populista, attenzione al termine, ma se si vuole rialzare non c'è "intrattenimento" che tenga...Per la nuova NARRATIVA di oggi occorre venire incontro a qualche nuovo nome, non rifarsi sempre ai soliti che hanno già un curriculum, QUESTO CONCETTO E' FALLIMENTARE, VENGA SCARTATO SOLO CHI NON SA SCRIVERE, ma accettare si deve, qualcuno in più di quelli che, pur con ottimi lavori, vengono respinti, senza preventiva lettura, che sono tanti e premono presso le Case editrici, invano, perché non saranno mai accettati. Bisogna cambiare questo concetto sclerotico, si venga incontro ad una narrativa che abbia qualcosa di decente da dire. NON BISOGNA MANTENERE AD OGNI COSTO -lo status quo- per mantenere immutabile e inalterata la poltrona di privilegiato con "spocchia annessa", bisogna istruire i bisogni di una libertà culturale che in Italia manca del tutto.
Allargate il Vs. orizzonte! perdiana! perché se resterete fermi ai vecchi propositi chiuderete i battenti: non vale più la vecchia regola, perché ha annientato l'Editoria, che fra breve, con L'-Ebook etc. e i digitali online sarà surclassata definitivemente, assisterà alla sua fine!!! Se persisterete a non adeguarvi ai nuovi tempi e vorrete restare a qualunque costo elitari, non farete l'interesse di nessuno, Né dell'Editore né dell'editoria più in generale, nè dei lettori...Concordo pienamente dunque con quanto afferma Linguaglossa, le lobbies non hanno più motivo di esistere, bisogna dare il via ad una "narrativa" più popolare...att. non dico "populista" ma semplicemente che rispetti il talento, l'eventuale autentico valore, se esiste, senza la smania di creare un'egemonia elitaria ad ogni costo che sta portando l'Editoria in rovina. Non si può più accettare lo strapotere di pochi che sta affossando e distruggendo la cultura italiana in ogni senso.
Anch'io come Linguaglossa afferma per prima cosa cambierei i dirigenti che manovrano a loro esclusivo potere discrezionale la narrativa. Saranno responsabili dell'affossamento e del depauperamento storico della cultura.
Che lo capiscano una volta per tutte gli Editori Elitari, non si può scherzare con la Letteratura del domani, risulteranno inadempienti e incapaci di giudicare i mutamenti storici.
Mi permetto di commentare con questi versi giovanili di Mario Specchio:
RispondiEliminaCongedo
Pittore che hai finito i tuoi colori
dipingi con il sangue
non lasciare
interrotto il ritratto della vita.
Altri verranno e aggiungeranno terra
di Siena ocra e arancione
allo strano disegno che tu tracci.
Ma tu solca col sangue la tua tela
i colori più belli sono quelli
che nessuno ricorda
sono quelli
che il vento ruba ai fiori
e agli aquiloni.
Mario Specchio, A piene mani, Vallecchi, 1974
E quindi: secondo me c'è chi scrive col sangue, chi con l'inchiostro. Di solito resta quello che è scritto col sangue. La poesia viene dal cuore, non nel senso che è sentimentalismo o becero autobiografismo, ma dal cuore come nucleo di esigenze primarie e irrinunciabili dell'uomo che ha sede nella ragione e nei sentimenti, e quindi è anche razionalità. La lettura delle opere altrui, poi è fondamentale e diviene poesia nel momento in cui dopo tante riletture e consonanze di sentire e di agire è assimilata, tanto da essere cultura che si immedesima con la vita. Cioè le letture vengono sentite dal lettore come propria vita stessa, allora sì possono diventare esse stesse poesia. Se no restano puro raziocinio. La poesia non è solo un ragionamento. L'autobiografismo, secondo me, nella scrittura è inevitabile all'inizio, poi la crescita c'è proprio quando attraverso l'esperienza e le letture e la conoscenza, il racconto dell'esperienza personale diventa in modo naturale e assimilato racconto dell'esperienza di tutti gli uomini.
Sandra Evangelisti
non mi piace dare definizioni di cosa sia o non sia la poesia, chiunque scriva lo sa di per sè, dico solo che secondo la mia esperienza, parlando di cosa abbia toccato o meno un pubblico, (in poesia non si parla mai di pubblico, ci siamo convinti che non avendolo adesso, non lo si debba avere mai più) direi che i testi che escono dall'autobiografismo, restano maggiormente nell'immaginazione della gente. un testo che parte da una cosa personale o individuale (anche inventata) e finisce nell'universale o comunque nell'incontro/dialogo con l'altro, sembra molto più efficace. sono quindi d'accordo con Giorgio quando dice l'autobiografismo (reale) non è necessario per dire qualcosa, è più importante pensare a chi rivolgersi e cosa si vuole dire, tutto quello che racconta del personale stretto, sembra essere fine a se stesso, perché raramente toccherà qualcuno. chiedo a Giorgio un'altra domanda (per ingannare la sua e la mia noia): quanto il pubblico è importante, se lo è, in un dialogo poetante? e quanto il poeta contemporaneo concorra nell’allontanamento di un pubblico? non parliamo di una lettura acritica dei propri testi davanti lo sbadiglio minaccioso di chi ascolta.
RispondiEliminaRispondo ad Ambra Simeone,
Eliminail problema del "pubblico" l aveva già risolto Osip Mandel'stam il quale quando qualcuno gli poneva la domanda rispondeva: "io non posso abbassare la mia poesia ai gusti del pubblico, deve essere il pubblico a tentare di sollevarsi all'altezza della mia poesia".
Quello del pubblico quindi è un falso problema, il poeta di valore sa che egli deve scrivere come se questo pubblico ci fosse... in tal senso accetta di entrare in un gioco di finzione, di prendere parte ad una realtà di finzione. Che il pubblico intelligente c'è o non c'è, il poeta di valore scrive nella presupposizione che esso c'è o, se non c'è, ammette la possibilità che ci sia nel futuro (prossimo o remoto, o anche che non ci sia mai).
Del resto l'homo sapiens è un ente che ha delle limitazioni, le sue potenzialità intellettive ed emotive sono piuttosto limitate, altrimenti come spiegarsi che ha continuamente bisogno di surrogati e di credere in entità imponderabili e inverosimili come dio? -
S'intende che i poeti modesti si riferiscono sempre all'autobiografismo, ciò è inevitabile, loro credono che il frustolo che hanno nell'occhio sia la trave. Ma si tratta di un loro difetto ottico. Un frustolo è un frustolo.
Quando un cosiddetto poeta ci parla del suo "io" vuol dire che è un poeta mediocre e, per di più, in dissoluzione...
caro Giorgio, leggendo così estrapolata la frase di Osip Mandel'stam, senza conoscerlo (ammetto la mia ignoranza e mi andrò ad informare) mi sembra che dica quello che dicono un po’ tutti, dai politici ai poeti, ovvero seguimi o niente! magari mi sbaglio, ma “sollevarsi all'altezza della poesia” di qualcuno implica che prima ci sia stato un confronto/scontro, altrimenti la sollevazione non è possibile, però forse quel che voleva dire Osip è che il suo confronto è più uno “scontro” con il pubblico e chi ci arriva bene, chi non ci arriva, peggio per lui! ma scrivere per un pubblico già intelligente, che senso ha? sono d’accordo sul fatto che comunque il “pubblico” dovrebbe essere la “priorità”, che sia immaginario o meno, che ci sia o non ci sia. ma il peggio è che credo che chi scrive, ultimamente, non si ponga neppure più il problema di cercare di “sollevare e smuovere” il pubblico che si finge di avere, ma di rimanere rintanati nel proprio mondo, senza lasciare scampo, né spazio in chi ci ascolta.
EliminaRispondo a Giorgio: Proprio perché l’«io», nella contemporaneità, non ha senso filosofico, non credo esistano poeti consapevoli che facciano dell’auto-biografismo. Esistono poeti, scrittori, filosofi inconsapevoli che fanno biografismo affermando di fare auto-biografismo.
EliminaAndiamo per parti:
RispondiEliminaSull'editoria. In Italia ci sono oltre 2700 editori, e si pubblicano
quasi 70000 titoli l'anno, la maggioranza di poesia, o presunta tale.
Si pubblica troppo, e non legge nessuno. La buona poesia, o la buona
narrativa, viene trattata dagli editori allo stesso modo della poesia, o
la narrativa, mediocre. Ecco che l'erede di Pirandello, per la quasi
totalità degli editori, vale tanto quanto chi scrive un diario
adolescenziale. Non c'è filtro, basta pagare. Se invece parliamo dei
grandi editori, che sono pochi, ha ragione da vendere la cara Ninnj.
Dissento dal paragone con l'imprenditore. L'editore deve promuovere
cultura, e facendolo rischia di andare contro la volontà inclemente del
mercato. I direttori di una collana devono essere premiati se promuovono
cultura, poi sta ai geni del marketing fare promozione, e riuscire a
vendere. Il prodotto culturale oggi si vende difficilmente e il mercato
chiede prodotti di massa. Molti (troppi) editori scelgono la strada più
facile: non vendono libri, ma vendono servizi editoriali sfruttando
l'ego dell'autore, il narcisismo del poeta, la vanità
dell'essere umano.
Ahimé, è triste ma è vero.
Risultato? dispersione totale del prodotto artistico in mezzo al
prodotto non artistico, mancanza di emersione di ciò che vale... quanti
libri validi vendono 100 copie, e quanti prodotti ignobili vendono
centinaia di migliaia di copie? Ecco il problema: il mercato facile. E
poi c'è l'educazione del pubblico... altro fattore su cui potremmo
scrivere lunghi trattati, ma in buona sostanza, il governo dei media,
che nulla di buono ha portato nei decenni scorsi, a parte rari esempi
come il maestro Manzi... guida il pubblico, sceglie per i lettori... e
la cultura va a farsi benedire.
Sullo sperimentalismo, credo che non sia giusto fermarsi al 1956, di
sperimentazioni valide forse ce ne sono state molte di più ma, ahimè,
forse anch'esse sono state vittime dell'editoria facile, che ha
sommerso
prodotti validi.
Sul carattere autobiografico della poesia... beh... la poesia non deve
essere autobiografica, la vita lo è... e basta così. Ma la poesia è
prodotto della nostra vita. Personalmente, sostengo la poesia che non
racconta fatti, ma che evoca qualcosa dal profondo: il lettore deve
viverla a modo suo, deve scovare nei meandri dell'anima quel qualcosa
che lo anima, e con la poesia addosso affronterà la giornata, forse in
modo diverso da come l'avrebbe affrontata senza poesia.
Saluto tutti
Claudio Fiorentini
caro Claudio,
Eliminami permetto di chiederti, di tutti i libri scritti, sai dirmi tu cosa è "valido" e cosa non lo è? cosa sceglieresti di far leggere ad un lettore sconosciuto, per dirgli questo libro è valido per te? di tutti i libri che ho letto ce ne sono stati alcuni buoni altri meno, ma in realtà sono stati veramente "validi" per me solo quelli che ho letto nel momento giusto!
Ninnj Di Stefano Busà
RispondiEliminaLa poesia può anche essere un gioco di finzioni, ma se proietta ad altezze elevate può sembrare "vera". E' quel che "ditta" dentro e in ognuno è diverso e vario. Non deve cedere all'autobiografismo, nonostante s'intrida, si abbeveri di esso fino alla matrice ultima, perché la poesia, qualunque poesia inizia coll'essere autobiografica, per doversi fare suo malgrado di tutti: se manca questo privilegio non interesserà nessuno, solo chi la scrive.) Invece al di là delle potenzialità acquisite deve zanpillare, essere discreta, sì, ma quel tanto che basta per " dire- cose immortali, che trascendano la banalità e la mediocrità dell'essere. Emotivamente deve sopperire "all'assenza dell'io"
che perennemente la reclama e la scrive, come se fosse la prima volta del mondo...La poesia di Giorgio Linguaglossa è fatta di interconnessioni che non si elidono, permangono, tanto sono prossime a ingenerare altre future potenzialità, forti spessori lirici che emettono segnali di ascolto, comunque, perché non si resta indiferenti ad una poetica di intelligente simmetria semantica. Una poesia dal risvolto forte che ti prende e non si esurisce, quella del Nostro. Che il pubblico ci sia o non ci sia non importa più di tanto, la poesia resta a sfidare la Storia...se c'è, prevarrà nel tempo...
Eccole un BELL'E G O di Umberto Saba. Mi riservo di inviargliene altri, magari di T. Eliot
RispondiElimina... Paolina, dolce
Paolina,
che tieni in cuore? Io non lo chiedo. E’ pura
la tua bellezza;
vi farebbe un pensiero quel che un alito
sullo specchio, che subito s’appanna.
Qual sei mi piaci, aureolata testina,
una qualunque fanciulla e una Dea
che si chiama Paolina...
Deve sapere quel signore che le più grandi letterature sono costellate non da ipertrofismi dell'ego, ma da ego talmente invadenti la sensibilità umana, da rimanere da millenni (vedi Saffo, Anacreonte, Alceo) presenti, lì sempre pronti e sempre generosamente poetici a commuoverci e a colpire la nostra sensibilità. Esiste un bel pubblico quando esiste una buona poesia che non parla ossessivamente degli oggetti, ma affonda la penna in quel vento "che rapina i colori agli aquiloni".
Proff. Angelo Bozzi
caro Angelo,
Eliminami premetto di chiederle: se i poeti, nell'era in cui l'ego di un partecipante al grande fratello diventa fondamentale e catalizzatore di masse, non debbano invece, oggi (non parlo dell'antichità), vertere su altro: l'ego "invadente la sensibilità umana" non basta, e soprattutto non è tutto!
IBIDEM A PROPOSITO DELL'EGO:
RispondiEliminaUna poesia di Primo Levi, scritta il
7 febbraio ’46 sulla base di un ricordo risalente al
campo di smistamento di prigionieri destinati alla
deportazione che si trovava a Fossoli, nei pressi di
Carpi.
Il tramonto di Fossoli
Io so cosa vuol dire non tornare.
A traverso il filo spinato
ho visto il sole scendere e morire;
ho sentito lacerarmi la carne
le parole del vecchio poeta:
«Possono i soli cadere e tornare:
a noi, quando la breve luce è spenta,
una notte infinita è da dormire».
Proff. Angelo Bozzi
Mi riprometto di continuare a segnalarvi l'uso dell'ego in quei poeti che non mi risultano affatto "mediocri e, per di più, in dissoluzione...".
Da Saffo, la grande: (IBIDEM)
RispondiEliminaUn fuoco sottile mi corre
sotto pelle e gli occhi più
non vedono; rombano gli orecchi
e in sudore tutta mi sciolgo.
Un tremore mi afferra
e dell'erba più verde divento
e quasi mi credo
vicino alla morte...
Proff. Angelo Bozzi
Ci sono voluti miliardi di anni di incessante lavoro cosmico perché un essere vivente potesse giungere a pronunciare consapevolmente "io", e credo che si tratti di un lavoro prezioso. L'Io non va annullato, va piuttosto educato, purificato, talora severamente disciplinato, per raggiungere quella purezza verso cui è effettivamente predisposto.
RispondiEliminaVito Mancuso
Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas.
RispondiEliminaNon l'ha scritta certo un pensatore che su l'io non ha meditato
Per stamani mi calmo.
Complimenti a tutti per la stimolante ed edificante diatriba.
Proff. Angelo Bozzi
E' tutto ridursi a descrivere passivamente quella sudicia realtà che ci scivola sotto gli occhi quotidianamente come fanno tanti poeti invischiati in un'avventura sperimentale ridotta all'osso? Io sono vecchio, ma giovane dentro. E mi emoziono quando leggo dei bei voli su una natura a cui il poeta affida tutto se stesso. Anche il suo ego. E lo fa risplendere dei suoi sterminati orizzonti, dei suoi autunni decadenti, o dei suoi respiri simili a parole che vagano nell'aria. Questa è poesia, e ce lo insegna la storia letteraria che io insegno ogni giorno. E non pensate di sovvertire quello che la storia stessa ha dimostrato essere valido, tramandandocelo con la sua "ripulitura", cara Ambra.
RispondiEliminaAngelo
caro Angelo,
RispondiEliminanon metto in dubbio la storia della letteratura e una tradizione da difendere, che hanno considerato valido ciò che lo era nelle diverse epoche storiche, anch'io leggo ancora gli autori del passato considerandoli grandi, ma adesso, per chi scrive adesso, secondo me, bisogna che si parli della realtà, quella brutta e perché no, anche quella bella, ma della realtà odierna, altrimenti è come parlare di cose morte, ai morti!
Pubblico o non pubblico? Ci soffermiamo troppo su una questione morta e sepolta. Io o non io? Ci soffermiamo troppo su ciò che i pragmatisti logici definirebbero una «questione di parole». La nozione di pubblico / non pubblico tiene conto solamente degli estremi della filiera dell’arte: mittente e destinatario. Come se una lettera vivesse unicamente tra i due estremi: mittente e destinatario: c’è il tabaccaio o l’Ufficio Postale, i vari depositi di distribuzione, i corrieri, il postino. L’arte è filiera: tra autore e destinatari ci sono curatori, mediatori, editori, tipografi, grafici, corrieri, distributori. Il significato di un’opera d’arte deriva dal complesso di azioni feedback tra tutti questi soggetti: non dall’io, non dall’altro, dal tutti-noi.
RispondiEliminacaro Ivan,
Eliminasono perfettamente d'accordo c'è tutta una filiera che viene sottovalutata e il più delle volte disprezzata, è importante tutto il lavoro che c'è dietro un libro, non bastano solo autore e lettore!
Perché la ritieni morta la Natura che hai davanti. Li ritieni morti i suoi colori che ti stimolano a riflettere su di te e la tua interiorità? Perché devo scrivere del rombo di un motore che mi sfreccia davanti invece che del campo fiorito che gli sta accanto.Io non dico di parlare della natura per la natura. Non parlo di un becero bucolico idilliaco quadretto. Ma di una configurazione panica che stimoli ad una interiorità profonda e meditativa. La poesia è sentimento, passione, lirismo, rievocazione di immagini rimaste a covare nell'intimo. E non è e non sarà mai un pedissequo minimalismo oggettivistico. E se il tutto è abbracciato da una sonorità che fa vibrare le corde, ancora meglio. L'uomo è nato con il ritmo in corpo, e se lo porterà dietro finché esisterà. Carissima Ambra, ho letto le tue poesie su questo interessantissimo blog. E sebbene tu tenti di andare oltre il lirismo per approdare alla cosiddetta nonpoesia, non ce la fai a tradire l'universalità della tua natura umana: anche nei tuoi versi, o meglio nella tua grammatica poetica ampia e distesa, è presente quell'orchestrazione di nessi, che tiene nel sottofondo quella sublimante sinfonia definita da Baudelaire "le pain du chant". E ti dirò di più:ritengo interessante il tuo percorso lessico-allusivo.
RispondiEliminaSaluti
Angelo
carissimo Angelo,
Eliminama certo, si può parlare di tutto, non mi sembra di aver dettato limiti, un prato fiorito o un rombo di macchina però hanno lo stesso identico peso e significato nella natura umana di oggi, e soprattutto dal momento io cui servono a trasmettere un’idea, non una descrizione fine a se stessa, su questo siamo d’accordo! ... di prati fioriti spero tu ne abbia ancora molti dove abiti, io pochi e incastonati tra cemento, antenne della telefonia, muri e cartelloni pubblicitari, la natura non è solo un prato fiorito che nella poesia "lirica" dell’800 poteva essere giustamente esaltato, era un mondo dove c'erano i prati e i colli non distrutti da abitazioni abusive, adesso io mi sento di dire che la nostra sia una natura diversa, alla quale noi dobbiamo la stessa importanza che davano gli autori alla natura dell''800. quella in cui viviamo oggi però non è più quella dell'800, dobbiamo farci i conti malgrado tutto.
non ti dico cosa sia la poesia, non mi sento abbastanza pronta per dirlo e non penso che lo sarò mai, al massimo posso dirti a cosa potrebbe servire e a cosa serve secondo il mio punto di vista personale.
un caro saluto