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mercoledì 23 aprile 2014

MARCO FORTI SU "NINNJ DI STEFANO BUSA'"



Lo straordinario viaggio in Poesia di Ninnj Di Stefano Busà (a cura di Marco Forti) critico, già Direttore editoriale Mondadori


Devo ammettere che il suo lavoro lirico mi ha interessato, incuriosito e affascinato, e ha avuto non pochi miei apprezzamenti per la sua compattezza, la linearità verbale, la liricità continua e continuamente minacciata di riassorbimento, da un suo bisogno ulteriore, che non potendo essere completamente metafisica si dibatte a incidere nel reale, che è tanto suo quanto estraneante fino a mischiare la calce e la pietra di un esito sublimante, tranne poi rivisitarlo col relativo e ulteriore vuoto quotidiano. Pertanto fin dal suo primo testo poetico "Barbaglio", sono stato colpito da una continua peculiarità di luce e di ombre che vi si mischia. di letterarietà di immagini e di parole che vi s'innervano e si fondono, fino a convogliare "l'oro" dei suoi mattini poetici, in un finale "corpo morto" che palpita conclusivamente, per poi annichilirsi in un dolore latente che è del mondo, inteso in senso, universale. Un "corpo morto" per riprendere il suo emblematico titolo che altrove è più lieve e aereo, come ad. es. nell"`ala di un passero" o in "Pianoro" più semplicemente "conturba" il canto della vita; o l'anima poetica che è in "Le brade terre perdute" alterna le sue felici aperture agli "azzurri displuvi" come lei tende a definire le soste di un viaggio ancora da compiere. Un viaggio poetico, naturalmente, che pur ritmato da una parabola di movimenti e da una musicalità sorprendentemente percepibile, del novenario endecasillabico che lì e altrove assume spesso il passo di un doppio settenario nitidamente cromatico; come in "Fioriture di greti", per poi sfumare in un'asprezza di valichi spesso ardui da superare.
Un'alternanza di toni sempre alti, più che percepibili nel verso squillante e metaforico che orienta "La rosa", con i suoi lampi e i suoi ardori che, imprevedibilmente si macerano nel disagio esistenziale, contrariamente alle "Creature" del testo successivo, cui "l'ondosa tenerezza" della fine, imporpora di pudore le guance: "Di una loro bellezza si ornano tutte le creature, | Di una sfrontata verginità che le sfiora | come bava d'eliso sulle fronti roride di sole ". Solo pochi esempi, dunque, per confermarle che la sua poesia autonoma e personale, quanto sottile e limpida vive di un suo pensiero lirico metaforico felice, e balugina in proprio, senza peraltro voler regredire in veri e propri simboli o esempi primo novecenteschi. Così non sorprende in lei il ricorso alla grande centralità montaliana, che le permette in piena autonomia di sviluppare la necessaria lucidità di pensiero e di parola, la relativa asciuttezza di flash paesistici o figurali, o il murmure ulteriormente poematico di componimenti di memoria o speculari, resistenti fin nel loro continuo serpeggiamento animistico. Così, vedi, esemplificando "l'ala del cormorano" odi "Il fiore della valle" l'affinità elettiva col nostro grande Montale, ma riassorbita e resa fluida docilmente da un miele materno che nutre le radici mediterranee, muovendosi fino a conoscere "l'orma dell'oblio" e scomparire in fondo a sé; senza lasciare tracce. Un mondo poetico, dunque, molto ben strutturato, che ben conscio letterariamente della lucidità linguistica e metrica che ne ingloba l'impegno e la volontà, non manca poi di registrare la spirale interiore di un esito che ne coinvolge l'anima, fino a un proprio annullamento, a una propria morte naturale, fino a cogliere un gioco ossimorico affacciato a un proprio insuperabile e statuario muro. Vedere in proposito il fascinoso movimento in tante variazioni nelle poesie centrali, forse le più culminanti e intense del libro. In testi importanti, anzi decisivi come i lunghi anni de "Il tempo", la cui "vampa" ridesta "la verginità dei pargoli", o come "il perire lento" ne "L'assenza", un tema appunto che ha attraversato gran parte del libro con la sua antitesi creava di fondo, con i suoi intrecciati motivi di lirismo e realtà narrata ad un tempo, di corpo e anima, dell' io che parla e del continuo dialogato lirico di chi parla con l'altro o gli altri. Una materia in cui il corpo poetico esiste enigmaticamente, proprio nella simultanea identità e intangibilità della propria parola, nata da una solarità astrattiva altrimenti inesprimibile.
Non sorprende, allora, che la molteplicità delle metafore, la fruibilità degli esiti, s'intersichino fino al limite della favola e della visionarietà, quando non sull'orlo emblematico e montaliano del flash, odi una memoria poematica dell'infanzia, che anch'essa attraversa la prima ampissima sezione di L'arto fantasma non venga infine superata dalle poche poesie conclusive del suo libro in cui senza più emblemi e misteri il sogno s'incarna e si acquieta. Così il titolo del libro al termine della Sua spirale, si troverà a significare solo se stesso, o la voce narrante di Ninnj Di Stefano Busà che crea le ragioni del suo urgente affondo, mentre incide la consapevolezza di un no-limite ovvero il superamento della condizione di naufragio. Forse solo ora fissando eufemisticamente "l'arto fantasmatico" che rievoca l'enigma metafisico dell'esistente percettivo o no, della sua vera essenza lirica, Lei s'interroga sulla materia cantabile, sull'unicità del concetto di essere anima/corpo di un tutto drammaticamente nudo che si trasfigura per sconfiggere la frammentazione, la divisione, il relativismo. Un esito cui solo l'inafferrabile emblematicità degli ormai lontani Mallarmé o Valery, e da noi la lezione di un Montale, opportunamente indicata da Raboni, ha potuto offrirle un quadro più generale, un fondo di scena verso cui proiettare la sua pur bene individuata e sentita ricerca, fino a rifonderla in un esito completamente (ri)strutturato e risolto. Mi scuso se ho analizzato anche troppo lungamente la poesia. Senza volerlo ne è venuto fuori un saggio, e non poteva essere che così per la ricca fioritura dei suoi temi, la frammista e incisiva solarità delle sue chiuse, che fanno la differenza con tanta altra poesia stenta o stinta. Qui la poesia si avverte viva, fervida attenta, -altro che arto-fantasma –  si tratta oserei affermare di un puro e programmatico riferimento a ciò che è incarnato nell’essenza e di cui non si può fare a meno. Mi ha molto interessato la sua straordinaria autonomia frammista alla sua grande originalità, nonché l'identificazione sua propria e la distanza dai corpi poetici altrui. Lei, come ha affermato Raboni è notoriamente se stessa. Condivido appieno e mi auguro di poterla incontrare e di conversare con lei di quanto così straordinariamente ànima la sua poesia e me la fa leggere e rileggere con sempre rinnovato interesse e ammirazione, grande stima e sincero apprezzamento.




                                                  Marco Forti

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