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mercoledì 16 aprile 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "PAROLE DI PELLE", DI FULVIA MINETTI


Nazario Pardini

Fulvia Minetti: Parole di pelle
CLEUP EDIZIONI. Padova. 2014. Pagg. 78. €. 14,00


Poesia spigliata, avvolgente per cromie e figurazioni mai oziose, dove il verso con il suo andare flessibile e ondulatorio fa di tutto per abbracciare gli slanci emotivi dell’autrice. Una poesia schietta, di vita e vitale, che indaga, con vis creativa e perspicace analisi psicologica, il dilemma dell’esistere; e lo fa partendo dalle cose, dai fatti, dagli incontri, dalle questioni umane e da tutto ciò che appare, per azzardare fughe verso l’azzurro più intenso dei cieli. Una plurivocità di polisemica significanza zeppa di metafore, sinestesie, figure allusive che ampliano il senso delle parole, ne rafforzano la valenza poetica fino a declinarle in nèssi di determinanti significanti metrici: dai “denti stretti/ delle tegole”, alla “ferma voce/ della pietra”, dai “piedi del cuore”, al “vento intriso/ del bacio della sera”… Il linguaggio forzato da assemblaggi di vaghezze semantiche va oltre il suo senso per dare spazio a vertigini creative volte a espansioni di grande respiro. Versi brevi, incisivi, che si susseguono in un frenetico scivolamento verticale, che tanto significano la profondità di una meditazione sulle questioni umane, sfiorate, però, mai appesantite da un dire ridondante di barocchismi verbali. Parole di pelle. La carne è rivestita di pelle. 


E le parole si fanno carne viva, carne che vibra, pelle-tatuaggio di un sentire robusto e dolce, potente e mansueto, amaro e generoso, gioioso e umano. Un affacciarsi sorridente alla finestra della vita, dove l’alba è racchiusa “nelle grotte delle dita”, dove “Le ginocchia dei massi/ pregano/ sillabe di pioggia”, dove “Ascolto/ la vita muta dei palmi/ schiusi al mattino/ sui fianchi di luce” o dove “il vento spoglia/ gli occhi dei fiori” in Stormi di memorie.  


Una epifanica palingenesi; una festa di suoni e di colori ; un abbrivo di luci in cui si concretizza un’anima che fa della lingua un tappeto di velluto orlato e merlato ad accogliere l’incedere del canto. Una complessa semplicità verbale di sagace ispirazione e di esperita versificazione che trascina il pensiero oltre se stesso, oltre gli spazi del consentito. Mentre la natura potente, plurale, e avvolgente cospira e si occupa di trascinare Fulvia fra i suoi più reconditi nascondigli. Le offre “le bacche dei suoni”, “il ventre intriso/ del bacio della sera”, “i battenti di settembre”, “la fronte/ accigliata del cielo” o “l’odore salso/ dei saluti”, perché in questi spazi possa trovare il terreno adatto per concretizzare i suoi sospiri; per concretizzare le meditazioni sull’essere e l’esistere con tutto un fremere di metaforico slancio emozionale: melanconia, gioia, amore, senso di fragilità di una vicenda umana, e coscienza del tepus fugit.  
       Ma è Nel mare degli occhi che forse si raggiunge il massimo dell’espressività stilistica della Nostra. Una lirica che dovrebbe servire da composizione incipitaria, da prodromico avvio ad un percorso poematico intriso di tanta personalità creativa:

Una lunghissima gola
di silenzio la strada,
sotto le guance
di un cielo pudico.
 Scoccate le braccia
sorreggo
un colonnato di sapori,
parole correnti e colorate
il mare.
Tempo oltre il tempo
sboccia dai fiori
sotto un ombrello di luna….

Un richiamo di panico mélange che invita ad amare, a meditare. Sì, a meditare sulla Bellezza come atto iniziale e conclusivo del nostro cammino. 


Su una Bellezza spasmodicamente cercata attraverso un linguismo audace, azzardato, che va contro corrente, contro l’uso consuetudinario di una canonica morfosintassi; direi un linguaggio di celiniana memoria; in cui la Nostra smembra il tutto per ricomporlo con immagini e costrutti di straripante significatività. Una dualità testuale che percorre tutto lo spartito dell’opera: quella dell’intenzione emotiva e quella di una corsa verbale mirata a completarla, a darle corpo. Uno stile che mi riporta a memoria lo spirito de la Giovinezza del De Sanctis secondo cui la forma deve contenere il tutto, e  non solo forma, ma simbiotica fusione, equilibrio di elementi, compenetrazione di anima e corpo, di vita sospirata, gagnée aussi par la douleur, e una parola che  la giustifichi, che la ingabbi. E tanto è il contenuto di questa vicenda che il termine sembra non soddisfare del tutto le esigenze espressive di Fulvia. 


Come è naturale che sia, dacché non esiste linguaggio – e la Minetti ne fa una scalata verso vette inarrivabili – non esiste linguaggio sufficiente a significare il misterioso plasma dell’animo umano.    

                                         Nazario Pardini



























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