Patrizia Stefanelli muove la sua poetica nel solco
di una tradizione letteraria alta e collaudata. Le poesie che qui presenta
nascono nel rigoglioso angolo di un giardino che potremmo dire vagamente concimato
dal pianto leopardiano. Sono metafore vibranti di una negazione, di una
promessa non mantenuta, di una pienezza cancellata. La verità è irraggiungibile
ed il mondo frana ("cadono pietre dal cielo"). Un passero piange
ricordando "i lunghi voli", oramai impossibili. E non è ammesso scrivere:
il foglio viene trovato per sbaglio in un angolo nascosto del tavolo, ma
l'inchiostro è prosciugato; tanto che la poetessa è costretta a scrivere l'ultimo
verso sul vetro, dopo avervi alitato. I momenti d'amore son rari e fuggono
velocemente, senza poterne acquisire consapevolezza: "Desiderio di te, di
me... e non c'ero. / Ero da te, nella tua bocca, eppure / non lo sapevo".
La vita appare estremamente precaria, con quel senso del limite e della
consunzione, con quel fascino della ruggine e del terriccio informe, con quegli
oggetti che, dopo lunga consuetudine con le culture umane, vengono ingoiati dal
tempo, ma che la memoria, o lo stesso mare del tempo, restituiscono integri.
Come "quei piattini della nonna profilati d'oro zecchino, / con le donne e
i cavalieri a sognare / il '700 inglese". E che dire di quell'immagine
struggente, riguardante la terra, "che promette fioriture di bellezza /
oltraggiosa"? E che di quei simboli perdenti, come l'"ultimo
tordo", o il "ramo sbilenco del pioppo", mentre il granaio non
più "muove le sue pale al vento"?
Franco Campegiani
Non volo
Pensiero, dove hai le
radici?
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Quel che sarei lo scopro piano ...là dove guardo con gli occhi di mio fratello.
Nella mia anima folle
o nel mio grembo distrutto?
Quel che sarei lo scopro piano ...là dove guardo con gli occhi di mio fratello.
Cadono pietre dal cielo
e il passero che piange
mi dona il memoriale dei lunghi voli
da ramo in ramo.
È un foglio trovato quello su cui scrivo
nell'angolo perso di questo tavolo
e la penna quasi si priva dell'inchiostro
scoppiato, dove ognuno sa.
Sarei ad un passo dalle nuvole
se questa cappa di cielo
provasse a squarciarmi
e sarei al limite di quel mare
se solo giungesse ad ogni balcone.
Sarei quell'albero privo di braccia
così attento alle maree e a lune rosse
con i suoi nodi ben piantati nel corpo
le sue radici a ridosso di quel muro.
E sono, alito a vetro, su cui scrivo adesso
ché il foglio termina la sua pazienza.
Un verso ancora, per finire...
Ahi! Il dolore, mi asciuga gli occhi
trafitti dai pungoli di queste sbarre
e non vedo i miei pensieri...
Non vedo, non volo.
(Menzione d’Onore al Premio Mimriam Sermoneta)
Parole d’amore
Era una gamma di frequenza, voce
sinuosa e calda.
Parole senza sosta che dicevi
sulle mie labbra, attonito, così...
mentre la stanza sembrava cantare
in sintonia, note sublimi; noi.
Le nostre mani nascoste allo sguardo.
Ah! Intrecciate e morbide, restate
all’imbocco di quell’istante solo.
Desiderio di te, di me...e non c’ero.
Ero da te, nella tua bocca, eppure
non lo
sapevo.
(Menzione Speciale di Merito sezione POESIA IN
LINGUA, al Premio Letterario Grottammare).
1967
…
ricordi amico, quelle scatole di latta di
tanti
anni fa
alle
quali la ruggine conferisce fascino?
E quei
piattini della nonna profilati d’oro zecchino,
con le
dame e i cavalieri a sognare
il
‘700 inglese?
E gli
abiti in voile delle prime sere d’estate che…
Passeggiavano
provvidi, i viali del Boulevard?
Ah,
meraviglia! Una canzone d’amore cantava:
“Se potessi, amore mio,
ti darei tutto quel che vedo
ma posso darti solo quel che ho io…”
In
quell’atmosfera un po’ retrò
con le
colline pazzamente affacciate aquell’ora
a
Montmartre, la casa di Dalidà
chiudeva
per sempre le finestre al sole.
(Premio
“I migliori anni”, Finalista nei 26 su 300 concorrenti;
dal libro: Guardami,
Rupe Mutevole, 2014).
Uno
sguardo sulla Marne
E’
fredda stamane l’aria sulle rive
della Marne.
Tutto, intorno, soffoca il pianto
di una
terra
che
promette fioriture di bellezza
oltraggiosa
allo
sguardo dell’ultimo tordo
sul
ramo sbilenco del pioppo
che
prima
molto
prima di quel tremare
di
foglie argentine
aveva
posato la sua leggerezza.
Accostata
la mia
bocca al suo orecchio
a non
dire, a non scuotere tempo,
appena
il capo ha chinato all’indietro
come
giovane fanciulla vezzosa.
Non
più, né mai il granaio
muove
le sue pale al vento
che
pure, adesso, spinge da nord
e
schiaffeggia.
Soffocare,
è strano, in quest’aria,
fredda,
di mattina, che dal ramo del pioppo
pende.
(Premio
“Tracce per la meta”, Recanati poesia; dal libro:
Guardami, Rupe Mutevole,
2014).
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