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domenica 22 giugno 2014

VALERIA SEROFILLI: "ULISSE (IL MIO ULISSE)"








                                                                           IL SUB


                                                                              “L’inconscio è un particolare regno della psiche
                                                                               con impulsi di desiderio propri, con una propria
                                                                               forma espressiva e con propri meccanismi psichici
                                      che non vigono altrove”.
                                                                               S.FREUD, Introduzione alla psicoanalisi,1915/32


La Sarda la chiamavo, la mia compagna d’Università con cui studiavo Lettere e Teatro. Conviveva, e per quel periodo non era così usuale tanto che altre mie amiche mi chiedevano- Ci hai studiato insieme? E’ vero  che ha il letto matrimoniale nella stessa stanza vicino alla scrivania?-. E la Sarda, con quel suo parlare preciso, essenziale, ben scandito , senza saperlo mi rivelò la più grande delle verità: - di giorno litighiamo, peggio, non mi guarda; la notte però mi cerca-.

Ne è passato di tempo.In quest’ultimo periodo di giorno litigavamo, peggio, non mi guardava; la notte però mi cercava.
Poi nel buio  alcune sue parole tra l’interrogazione e la discolpa, come svelare un segreto, mettermi al corrente di un qualcosa d’importante.
Perché l’uomo è antico. Ma io non gli diedi peso.Poi lo strappo definitivo, perché una donna dovrebbe capire da sola quando è il momento della scissione da tanti piccoli infiniti indizi, ed io non l’avevo capito. Forse perché  in fondo non lo era, la fine.Perché  l’amore vero va “oltre”: e dopo giorni eterni il tuo richiamo forte -_”La casa senza di te non ha senso né vita. E non solo la casa”- e quella canzone con dedica speciale.
Sono tornata.
E la notte il sub, piccola anima errabonda,mi ha chiesto scusa con un bacio e un dolce abbraccio.Per poi diventare di notte in notte sempre più acceso.

E mentre rifletto se il campo d’esperienza dell’inconscio sia una  realtà propria o vi influisca la quotidianità, mi trovo a chiedermi se succederà ancora che il giorno litighiamo, peggio non mi guardi, e che  la notte però mi cerchi.
Ed a rispondermi –pazienza, la notte aspetterò il sub- o meglio –Attento amore, non dirò pazienza aspettando la notte il sub-.
                                                                                                                                                                      Valeria Serofilli

“Secondo le più recenti ricerche il subconscio
sembra essere una specie di ghetto dei pensieri.
Ora molti di essi hanno nostalgia di casa.”
                                             Karl Kraus, Di notte, 1918



ULISSE
(Il mio Ulisse)

“Felice come Ulisse chi ha varcato i mari,
o chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone,
che poi tornando esperto e ricco di ragione
il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!”
J.Du Bellay, Les regrets

Fuori piove. Ma io a combattere la mia tempesta privata, il mio uragano personale con te,che mi prendi e mi lasci come l’onda che sbatte sullo scafo.Ulisse sirena, naufragio d’anime.O Adamo e la sua donna, dai tempi.
Mi chiedono di scrivere, ma questa delusione blocca i miei sensi  e la mente, mentre mi trovo a ragionare con la parte debole della testa, che viene chiamata cuore, con la viva convinzione che se tutti cominciassimo a pensare e decidere col cuore, l’intero universo ne trarrebbe giovamento.
Poi un lampo, uno squarcio di luce, un cambio di rotta: una telefonata ad aprire un nuovo mondo.
E torni da me, ed io a riprenderti ancora, perché anch’io ho tanto da farmi perdonare. Anche se mai quanto te. E’ che l’amore lo riconosci dall’odore e tu hai l’odore dell’uomo della mia vita, un po’ macchiato d’inchiostro e penna.
Quest’ultimo periodo abbiamo avuto grossi problemi, è vero,così accettando ogni compromesso che possa portare un qualche vantaggio, tra il vissuto e l’immaginato io in cucina a comporre inutili poesie e racconti pseudo calviniani,e tu  romanzi nella camera da letto.
E a sprazzi riemerge la nostra storia, mentre sempre più labili  i confini tra dentro e fuori, coscienza frammentaria di una unione. Ed è ancora  poesia.
Ora e da ora , con te, sarà un nuovo viaggio.Riprende il volo d’Icaro, ma con ali che non siano di cera, che non si sciolgano al fuoco di nuove passioni: basi più solide per nuove fondamenta.
Così ti dico - Buon viaggio, mio Ulisse – .
Con l’augurio, più che altro a me stessa, che tu sia un Ulisse omerico, che torna a casa dopo il varco delle colonne d’Ercole, e non dantesco, a perdersi nell’illimitato.                


UN VIAGGIO DENTRO

    Di solito a chi mi chiede perché amo viaggiare in treno rispondo che, treno o non treno, il vero viaggio è quello dentro noi stessi.
    Rispondo che so quello da cui fuggo ma non quello che cerco.
E se è vero che nei più giovani il viaggio fa parte dell’educazione mentre negli adulti dell’esperienza, è anche vero che io, di questa esperienza, ne ho ben poca.
    Non ho viaggiato molto.
Ma ricorderò sempre la volta che il controllore ci chiese scusa per essere entrato nel nostro scompartimento, l’ultimo del vagone. Eravamo abbracciati, stretti, i sedili un letto di petali, i cuscini sdruciti che hanno ospitato migliaia di persone, la più bella imbottitura: il cielo in uno scompartimento direi e quel gesto di aprirlo con forza suonò come una violenza nei confronti di quella bolla spaziotemporale propria solo degli innamorati.
    La cosa che l’amore sopporta con maggior fatica è l’intrusione di estranei. Se poi tocca anche pagare, questo diventa veramente insopportabile.

    Il treno scivolava sulla rotaia e noi custodi del più grande segreto, con l’infinito a portata di mano, ed io con la tua mano nella mia, felici come Ulisse, senz’altra cura che noi stessi e il nostro viaggio: quel vagone il solo posto, l’unico, per incontrarci.
    - Il treno viaggia con trenta minuti di ritardo - annunciava l’altoparlante, ma per noi non c’era ritardo, perché non c’era tempo. Era il treno stesso a scandire i nostri battiti oltre il vetro opaco. Passavano le stagioni, mutavano i luoghi, non la nostra anima. Presto avremo    fatto ritorno alla nostra vita di sempre ma ora eravamo felici e il fatto stesso che non ci accorgessimo di esserlo, voleva dire che lo eravamo. Un po’ come per la salute. Ed io mi sentivo l’ape di Trilussa, piena di felicità per essersi posata su un bocciolo di rosa, e il mio bocciolo eri tu. Si, presto avremo fatto ritorno alla nostra vita di sempre ma ora nessuno, neanche il controllore, ci avrebbe separato.           Neanche l’insistente e martellante annuncio dell’arrivo ad ogni prossima stazione, utile ma quanto mai disarmonico e dissacrante. - E’ la rapidità a generare il vizio della fretta - mi trovai a pensare . Un vizio che ora ci era estraneo.
    E se Marinetti lodava la bellezza della velocità, per noi, in quel momento, il treno in corsa era bello solo perché ci permetteva di stare insieme. Avrebbe potuto anche star fermo, quel treno, perché ugualmente in corsa verso il nostro amore.
    Ciò che provavamo era un alternarsi di calma serenità, propria di chi si muove tra gli oggetti dei sensi con animo sgombro d’odio e d’amore; serenità dunque, piacere e pazzia.
    Pazzia, si, con quel certo compiacimento che solo i pazzi conoscono mentre tracciano la via che percorreranno i savi. Presto avremo fatto ritorno alla nostra vita di sempre e di questa rosea pazzia non sarebbe restata traccia, se non sulle nostre guance ancora rosse di baci. Saremo tornati alle nostre abitudini a cui è difficile dire addio. E l’abitudine, triste surrogato della felicità, avrebbe preso il sopravvento su questo nostro tempo, su questo nostro viaggio.Ma ora il treno in corsa scandiva quel nostro tempo altro.
    Giungemmo. Dove? Alla stazione della nostra meta, con quel distanziamento necessario per giungere alla conoscenza. Per capire che molto spesso quelle verità per raggiungere le quali ci mettiamo in cammino, già le abbiamo davanti agli occhi e non ce ne accorgiamo.

Il treno ripartì per tornare alla partenza.
    Perché il bello consiste nell’ essere di ritorno da ogni dove senza essere andati da nessuna parte se non dentro se stessi e il proprio animo. Per darsi alla luce, preparando il terreno all’altro viaggio di scoperta che inizia con un piccolo passo: quello in direzione dell’altro.
E tu,mio Ulisse, figlio dell’onda sei tornato.
                                                                                               


PAGINA MARE
(Figlio dell’onda)



Solo dopo aver conosciuto la 

superficie delle cose … ci si può
                                                                                                            spingere a cercare quel che c’è
                                                                                                            sotto. Ma la superficie delle
                                                                                                         cose è inesauribile.
                                                                                                          Italo Calvino, Palomar

“Vi sono state due rivoluzioni, una tra l’uomo e la terra e una tra la terra e il mare”, era solito spiegare il mio professore di geografia nel corso delle lezioni universitarie. Per la proprietà transitiva, aggiungo, ve n’è stata dunque una tra l’uomo e il mare. Liquidità e fisicità, due realtà così diverse, come possono del resto andare d’accordo? Forse solo in virtù del fatto di essere entrambi, uomo e mare, simboli della dinamica della vita e della creazione  in senso più ampio.
Ma cos’è mai l’uomo? Non è forse un abisso, non è forse, come l’acqua, un fluire continuo in continua transizione tra le cose da compiere e il già portato a termine?
Posso provare a dire, semmai, cosa non è: non è certo un essere puramente fisico, come sostiene l’Holbach. Se infatti le ossa si ricollegano alla terra, il suo sangue non richiama forse l’acqua, tanto che la medicina cinese nella teoria  dei quattro mari cosmici stabilisce una stretta connessione tra il corpo umano e il cosmo in cui la testa è il cielo, gli occhi il sole, il sangue la pioggia e gli umori e le vene i fiumi?

E’ forse in quest’ottica che il Martin Eden di London si getta nell’acqua restandone per sempre inglobato, diventando, da buon marinaio aspirante scrittore, un tutt’uno con la pagina mare, inchiostro di vita per sempre impresso sul foglio in cui, profumi, colori, suoni, ricordi, aspirazioni e desideri si corrispondono in un infinita sinestesia.
Perché, facendo mio il pensiero di Calvino,“ solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose… ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”. 




                      QUI C’E’ IL SOLE!
                          (A mia madre)

“Un uomo percorre il mondo
intero in cerca di ciò che
gli serve e torna a casa per
trovarlo”
G. Moore, The Brook Kerith, 11

Da qualche anno hai smesso di uscire. Proprio tu che una volta in pensione avevi programmato di andare missionaria in Africa.
Infinite le motivazioni, dalla perdita del marito alla frattura dell’anca che  ti ha reso non indipendente, alle scale dai troppi gradini.
Ma nella tua casa, dici, hai tutto: il gatto in tinello, i piccioni sul davanzale e sui cornicioni del terrazzo, le orchidee in veranda.
E ogni cosa a portata di mano, sul piccolo tavolo tondo vicino al frigo: il cordless, gli occhiali, il blok notes col lapis, il telecomando e la guida TV, il tutto condito dal libro di turno della scuola di tuo nipote. Dando conferma a Le Corbusier, la tua casa “è una macchina da abitare”.
Mi consigliano di venire a vivere con te, noi di sopra e te al piano di sotto. Chi parla non sa che spostarti sarebbe la fine. Toglierti dal sole, vista Torre, vista giardino, vista vita.
Una gabbia dorata per altri ma non per te, che continui ad alzarti alle cinque come quando avevi da organizzare l’intera giornata, conciliando gli impegni scolastici e me piccola.
E se adesso territorialmente la tua visuale è ampia quanto la vista dalla finestra di un tinello, la tua apertura mentale ti permette ben più ampi raggi, gestendo i miei appuntamenti, scadenze, impegni e ricorrenze, con positivo solare ottimismo.
La tua casa è il tuo castello, con tanto di appuntamento domenicale con la tombola delle 17, a Natale come a Ferragosto. A tombola si gioca in tre, numero perfetto. Ogni altro elemento risulterebbe superfluo, se non di disturbo. E tra un ambo e una quaterna, il pretesto per parlare della vita di ogni giorno, con i suoi problemi e le piacevolezze, i battibecchi, i contrasti e le piccole soddisfazioni, chiedendo ogni tanto con finto ingenuo stupore, quasi al termine del gioco <<l’ambo è stato fatto?>>.
Ultimamente ami mettere dieci euro di posta alla cinquina, ma non la segni se esce il tuo numero per non togliere la vincita a noi.
Perché una madre è quella persona che vedendo solo quattro pezzi di torta per cinque persone, prontamente annuncia che non le sono mai piaciute le torte.
Chi ti conosce o meglio, non ti conosce, ti dice generosa fino all’autolesionismo, direi piuttosto di quella generosità che consiste più nel dare per la gioia stessa di dare, appagata nell’immaginare la felicità del destinatario.
Da qualche anno hai smesso di uscire. Proprio tu che una volta in pensione avevi programmato di andare missionaria in Africa. Ma ora sei missionaria in casa tua.
Sei tu ora la casa, il motore della casa, il cuore che per sempre vi pulserà, il tempo, sia cronologico che meteorologico.
Dove abiti sembra un paramondo.Si può parlare della nuvola di Fantozzi al contrario: non di pioggia ma di capsula sole.
E se ieri pioveva molto forte tanto da riprendere l’impermeabile, dall’altro lato del telefono la tua voce squillante: - “Qui c’è il sole!”.

“FESTA DI HALLOWEEN”
Tout passe… tout se remplace
A mio padre
Illustre reumatologo
“Tout passe
tout casse
tout lasse et
tout se remplace”
Era il tuo studio, al piano terra della casa.
L’avevi pensato, arredato, vissuto metro per metro, angolo per angolo: i piccoli quadri in allegato delle riviste settimanali e poi incorniciati, il cervo eburneo sullo scaffale, e ad alzare lo sguardo, le foto universitarie della tua Roma goliardica alla parete di fronte alla scrivania. I libri scritti da te sulla fangoterapia da un lato, quelli da consultazione, con bellissime foto a colori sull’artrite reumatoide, sull’altro scaffale e il mio primo libro, gelosamente custodito sul cassetto.
Davanti alla finestra un gelsomino che avevi messo in vaso dall’arrivo dei nuovi vicini, rumorosi ed invadenti, ma allo stesso tempo ”focolari chiusi, porte sprangate, possessi gelosi della felicità" ¹.
Perché negli ultimi tempi non esercitavi e il tuo studio era diventato soprattutto un  pensatoio, insonorizzato dai rumori del piano di sopra, ma soprattutto dalla vita.
E non si può certo riflettere, e nemmeno pensare, con bambini amici del bambino vicino, piscina e con tanto di cane che abbaia ad ogni rumore. E da un gelsomino, un’intera siepe di gelsomini a dividerti dalla casa di fianco.
 




Il 30 ottobre di sette anni dopo² mio figlio mi dice:
-Domani per Halloween facciamo la festa dalla nonna. Un attimo di panico. Non tanto perché avrei voluto festeggiare in qualche locale, quanto per l’organizzazione dell’evento: come, cosa, ma soprattutto dove, o meglio, in quale parte della casa della nonna, ricevere il vivace gruppo di teenager con tanto di maschere da diavolo e zucche, entusiasti della ricorrenza americana ormai fatta loro, italianizzata con un misto di Lucca Comix, carnevale e festa di Ognissanti?
Perché i figli, come dicono, li abbiamo in braccio, poi per mano e infine sulle spalle.
E interamente mia la responsabilità della riuscita di quell’impegno, preso da mio figlio con tanto slancio e spensieratezza.

1.   A. Gide, Les nourritures terrestres
2.   Dalla tua dipartita


Dove, per non invadere spazi già abitati e gelosamente custoditi dall’anziana
inquilina, che poi è mia madre?
Così tra un dubbio e un’idea, mi sono ritrovata ad appendere fantasmi e ragni ai vetri
dello studio, di quello studio che tanto tempo ti aveva visto serio e pensoso a quella scrivania. In poco tempo dolci, leccornie, scherzetti troneggiarono su quella stessa scrivania, coperta da un’appropriata tovaglia con zucche e ragnatele, mentre luci intermittenti ad augurare Good Halloween dalla tana di un pipistrello, ricavata dietro il computer.
Sacro o profano? Chissà qual è stato il tuo pensiero nel guardarci, gruppo informe e sconnesso, disomogeneo ma unito nell’unico intento di divertirsi.
Poi, nitido, ti ricordo ripetere: “Tous passe, tous se remplace”.

                                                                                                                                                                      Valeria Serofilli

2 commenti:

  1. Un caleidoscopio di immagini in grado di mettere in contatto presente , passato e ipotesi di futuro. Racconti che non temono di navigare verso e oltre le Colonne d'Ercole della fantasia senza però mai scordare la terra ferma dei ricordi e dell'osservazione diretta e concreta della realtà.
    Tramite un linguaggio stringato ma mai ignaro della forza dell'armonia e della lirica, fonte primaria e porto di partenza sia della produzione letteraria dell'autrice che della sua ispirazione.
    Racconti in cui la memoria si unisce alla riflessione sul presente e sul futuro, su timori e aspirazioni dalla cui coesistenza emerge il senso del viaggio la cui meta è un'Itaca da definire e ridefinire passo dopo passo tramite una narrazione sempre viva ed aperta all'incontro con istanti ed echi della storia, individuale e collettiva.

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  2. Immagini e parole che scorrono fluidamente, inseriti in un contesto storico-culturale dove ognuno ritrova un pò di se stesso. Le figure descritte sono pertanto condivisibili e universali arricchite da molteplici significati da cui spicca quella dolcezza che contraddistingue l'autrice. Ogni tratto intimo è una pennellata d'acquarello da cui si percepiscono colori ed emozioni. Il viaggio di una vita che piacevolmente fa vibrare le corde del lettore destando curiosità ed attesa di nuove letture, nuovi racconti.
    Maria D'Ippolito

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