SAGGIO
CRITICO SU
QUELLA LUCE CHE TOCCA IL MONDO
di
Ninnj Di Stefano Busà
di
Duccia Camiciotti
Iniziare subito
dalla sensazione penetrante (e non concetto, -dico- perché il lirismo in
qualche modo sfronda il pensiero e i contenuti in genere, pur essi presenti
dell'Assenza E con ciò non intendo né il niente né l'impalpabilità (pur
presente nel melodioso sfiorare il tutto con delicato tocco sui tasti di
pianoforte classico) né tanto meno l'inesistenza di una tematica inerente il
singolare climax lirico. Il penetrare fino in fondo, fino
all'ultimo, il significato delle cose, che pure non presentano, al dispiegarsi
del ragionamento, una risposta esaustiva è assolto magistralmente da questa
poetica. Come mai ci si potrebbe chiedere questo elemento così bello è
anche tanto misterioso si nasconde all'ultima analisi?
Per questo, io
insisto nel sentire, nel descrivere e basta, nell'evocare e nel decifrare,
perché non posso fare altro.
Ma queste è solo
il dialogo che ho immaginato tra Ninnj Di Stefano Busà e le sue contemplazioni
concrete, le “COSE” insomma. E è sorprendente come tutto ciò possa fluire in
tal modo inesplicabilmente melodioso senza pause stridenti, in questa sorta di
sinfonia-elegia struggente, ma anche di grande rilevanza descrittiva e con una
tale potenza possa sussistere e dominare l'Assenza fin quasi a neutralizzarla.
Ci chiediamo qual genere d'assenza sia: mutilazione violenta, ammesso che vi
sia qualcosa di violento in questo dolcissimo, enigmatico flusso di parole,
oppure, nota dolente degna di lamentazione biblica (in verità moderata e quasi
implicita nel canto), ovvero, se sia immersione nella totalità, nel Nirvana
Buddista che può essere il tutto o il niente (in specie rispetto all'umano) ma
dal quale scaturiscono costellazioni d'immagini.
E' un'assenza, più
plausibilmente avvertita come un ALTROVE di difficile decifrazione.
Pertanto ciò che
ritorna non si ripete in senso assoluto, ma il nominarlo e decantarlo tramite
la parola diventa in sé stesso una sfida al VUOTO.
Non che il
pensiero filosofico non sia presente in questa sede, ma certo non si tratta né
di compendio né di sistema, senza escludere l'ispirazione cristiana
nell'imanità di Cristo stesso. Kantianamente restiamo nel fenomenologico,
nell'esserci qui ed ora. Non siamo neppure lontani da certa atmosfera
heideggeriana, pur sollecitati da rare parvenze, da aromi squisiti, evocati
poeticamente secondo un certo classicismo idiomatico che, tuttavia, funge solo
da scheletro in un contesto assolutamente moderno, il quale non rigetta Montale
né Ungaretti e nemmeno Quasimodo (se non altro per i ritmi della
versificazione) pur rimanendo a livello di stratificazioni personali inedite.
In tal senso , alcuni vocaboli concreti, reiterati protagonisti, conferiscono
all'indistinto un cero senso di realtà. Si evincono
alcuni titoli e termini come "riverberi alati", "crepe",
"trafitture", "celestrità", i quali potenzialmente
racchiudono l'estensione di senso e un quasi sconfinamento nel metafisico. Non
che la trascendenza qui sia a bella posta semplificata, ma è quasi immanente
nel prezioso e levigato lirismo.
Alla specie di
ripetizione duemilistica e cosmica del monologo amletico. essere o non essere,
si trasforma, come fa notare Emerico Giachery in "esplodere,
implodere", e non è che questa seconda versione soddisfi le speranze di
coloro che auspicano un senso circostanziato alla vita.
Ricorrente è anche
il termine "arsura", che non è, si badi bene, (il topos montaliano)
ma una crudezza assetata, una tensione emotiva, una felicità ritmica, rapportabile
forse all'estraneamento dei dervisci,
o alle pratiche mistiche dei monaci del Monte Athos).
Neutralizzarsi per
risvegliarsi ALTROVE (nel Nirvana forse)
Metrica senza
sbavature, commisurata al respiro, al ritmo: tessitura e versificazione
mediterranea? Tutto è possibile, ma non certo. Quel che è certo è che in
un melange di tali e notevoli connotazioni questa poetica è magistrale.
C'è un respiro
regolare (e i monaci sunnminati lo sanno bene) del contemplare, del meditare,
del ricordare commemorando. Inestricabile intreccio giambico, forse vicino a
certi infiniti silenzi quasi leopardiani. Un ineffabile intrecciarsi di segni
in metamorfosi semantiche, fà sì che una singola parola va esaminata e
soprattutto "sentita" in ogni sua sfaccettatura emozionale, si
presenta variegata e traslucida e poliedrica come un brillante. Una prima
chiave di lettura, tuttavia, potrebbe essere contenuta nelle concordanze, nelle
occasioni, nelle condizioni temporali terrestri necessariamente mutevoli e non
certo assolute.
Come una sinfonia
le note si combinano, si corrispondono, s'intrecciano così le parole,
nell'armonia del tutto, un tutto - (e non a caso scrivo con la t
"minuscola) segnato inequivocabilmente dalla Luce verso la quale è
stabilmente proteso. Luce biblica, neo-platonica, ellinistica, luce pitagorica,
aeropagita (vedi Dionigi l'Aeropagita, luce degli stiliti del deserto, quanto
anche di S. Francesco, di Dante, luce-logos,
luce luziana (ad es."Nel viaggio terrestre e celeste di Simone Martini"),
pienezza ontologica minacciata e perduta della quale la nostra poetessa cerca
di riappropriarsi, sia pure con sofferenza liricamente più pacificata. Quello
che la filosofia non può, certamente può l'Arte quando è vera, alta e vola come
la sua.
Duccia
Camiciotti
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