Franco Campegiani collaboratore di Lèucade |
Superare la palude
(riflessione sul Bandolo, nuovo
manifesto culturale, letta da Franco Campegiani al Festival Art di Spoleto,
nell'ambito del Festival dei Due Mondi)
Un Manifesto non è altro che una provocazione culturale. Nulla di più, ma
nulla di meno nello stesso tempo. E cosa si vuole denunciare con il Bandolo? Quale
capo della matassa si vuol trovare, quale indicazione per uscire dallo stallo? Dirò
che l'istanza fondamentale sta tutta in un rilancio della creatività autentica,
capace di attingere a valori superiori, universali, autenticamente umanistici,
di contro all'idea attuale, diametralmente opposta, che vede l'arte, anziché
come vocazione, come puro e semplice professionismo. La crisi in cui viviamo
non è altro che la crisi del Postmoderno,
una stagnazione della vita culturale, avvitata su se stessa, manierista e
celebrativa di una modernità oramai divenuta obsoleta. La scienza e la tecnica,
che sono stati per lungo tempo i nuovi miti, noi non li viviamo più come tali, non
infiammano più le nostre menti e i nostri cuori.
Il punto cruciale, pertanto, è che
mancano visioni del mondo. Le antiche fedi, come quelle attuali, sono
tramontate e non sono state sostituite da altre. Non ci sono più miti, non più
sogni, ed è una decadenza che investe in particolare le arti. Gli artisti non
trasmettono messaggi alti. Non hanno valori né aspirazioni universali. Così,
deposte le armi, si sono messi a giocherellare (ci siamo messi a giocherellare).
Ed è un gioco banale, che non ci arricchisce interiormente, come quello dei
bimbi, ad esempio, ma ci impoverisce in astruserie insensate, in virtuosismi
vanitosi che non hanno nulla a che fare con la ricerca della verità, con il
bisogno ancestrale degli uomini di capire se stessi. Così ci trasformiamo in semplici mestieranti,
rinunciando al ruolo che ci appartiene di promotori del mito, di promotori di
civiltà. Pensiamo a pubblicare i nostri libri, a fare le nostre mostre, a vincere
i nostri premi, eccetera, promuovendo noi stessi e i nostri affari, le nostre
consorterie ed in breve la nostra carriera, la nostra affermazione personale,
il nostro ego. E vi prego di
considerare questa innanzitutto come un'autocritica, dal momento che tutti
siamo coinvolti in questo sistema culturale, nessuno escluso.
Di certo la crisi che viviamo non è la prima volta che accade nella storia dell'umanità:
pensiamo all'età barocca, tanto per fare un esempio. Ma non è vano ricordare
che già Platone aveva sbattuto fuori dalla sua Repubblica i poeti e gli artisti, definiti filodoxoi, cioè amanti degli
spettacoli, anziché amanti della verità, come erano a suo dire i filosofi (il che sarebbe tutto da
dimostrare, a parer mio). C'è da considerare tuttavia che nello Ione, un'opera giovanile, minore,
Platone aveva espresso ammirazione per l'arte dei rapsodi in quanto divinamente
ispirati dalle Muse. Ci tengo a chiarire, a questo punto, che l'intento
perseguito dal Bandolo non è di tipo
idealistico, e questo per un motivo semplicissimo: l'Idealismo divenne ben
presto una forma di razionalismo, mentre il richiamo vocazionale dell'arte di
cui noi parliamo, è sovra-razionalistico, similmente all'ispirazione dei
rapsodi di cui parla Platone.
Le estetiche razionalistiche del
passato erano fondate sul principio della separazione
dell'uomo dal mondo. In esse il soggetto contemplava l'oggetto nell'intento
di poterlo dominare. L'arte contemporanea, al contrario, si è svolta tutta
all'insegna dell'irrazionalismo, intorno al principio della fusione dell'uomo con il mondo, del tutt'uno del soggetto con le cose. Ciò
ha dato vita a miti rigeneranti e degni di nota, che tuttavia si sono pian
piano esauriti naufragando nel cosiddetto pensiero
debole del postmoderno. Il fatto
è che il paradiso artificiale e disincantato che abbiamo creato non ci entusiasma
e ci lascia amareggiati. Non perché di per sé esso sia negativo, ma perché in
esso non abita la verità, né può abitarvi, visto che è artificiale. La verità
vive nel profondo, e da qui deve partire una grande sfida: quella che può
portarci finalmente a vivere in due dimensioni distinte, quella del disincanto
e quella dell'incanto, come è normale che sia per il nostro equilibrio.
Il valore nuovo da coltivare è dunque quello
della relazione tra le due sfere,
della relazione tra l'io e il mondo,
al di là della separazione e della fusione che hanno caratterizzato i
secoli e i millenni trascorsi. Sta qui quel processo di umanizzazione della
civiltà, che può attuarsi in un modo soltanto: attraverso uno sforzo generoso e
grandioso di rifondazione del mito, una reinvenzione possente del senso e del
valore della vita. Non è vero che il tempo dei miti sia finito. Finita è la mitologia, non la mitopoiesi. Si sono estinte le favole logore e stanche del passato,
non la capacità di sognare, di dar corpo a nuove cosmogonie, a sorgive rivelazioni
del significato o dei significati della vita. Gli artisti devono tornare a
farsi ispirare dalle Muse, aprendo nuovi cicli di
passioni vitali, di avventure e stagioni culturali, di inedita energia
creativa.
Franco
Campegiani
Caro Franco, ho letto il tuo scritto e non posso che concordare con le tue affermazioni. Aggiungerei che il superamento del professionismo per far spazio alla Musa, esige un approccio critico ai testi creativi veramente onesto dal punto di vista intellettuale, affrancato dai "superlativi" a tutti i costi oggi tanto di moda ...insomma, senza voler demolire nessuno per partito preso, risulta urgente la presenza di una critica misurata e, ripeto, onesta. La Rete, inevitabilmente, da questo punto di vista non è d'ausilio, troppo livellando, banalizzando e via discorrendo. Perdute per sempre (credo) le serate in cui, noi giovani, con timore e tremore e giusta ambizione (per voler crescere veramente) affidavamo i nostri "fogli" agli occhi taglienti e sovente impietosi dei maestri che, a forza di scudisciate, ci spingevano al viaggio interiore, ...da questo punto di vista, grande è la nostra responsabilità nei riguardi dei giovani d'oggi, ai quali bisognerebbe ricordare -secondo il pensiero degli antichi- che il talento è sempre la sintesi fra la disposizione naturale e lo studio rigoroso...e poi non meno implacabili si dovrebbe essere nei riguardi della cosiddetta "ideologia del successo", più facile ovviamente da coltivare rispetto alla severa disciplina dell'arte autenticamente intesa. Ricordi Rilke, quando raccomandava al suo "giovane poeta" di "benedire la solitudine"?... Un caro saluto e un apprezzamento per il tuo contributo come al solito chiaro e stimolante.
RispondiEliminaAndrea Mariotti
Hai ragione, Andrea, e ti ringrazio per il tuo contributo. Gli aspetti vocazionali dell'arte non vanno distinti dallo studio rigoroso. Chiunque si senta "chiamato" sa che deve rimboccarsi le maniche e lavorare, lavorare, lavorare, perché ai nullafacenti niente regala la Musa. Sa che lo stile, la tecnica, le regole non sono vesti preconfezionate, ma si costruiscono giorno dopo giorno, con il sudore quotidiano, cercando incessantemente di adeguare l'espressione formale alle immagini che si agitano dentro di lui. Sa pure che deve frequentare le scuole e i maestri, ma che tutto questo ha valore puramente propedeutico per chi sente di dover procedere con i propri mezzi, dando fondo alle proprie facoltà e alle proprie risorse interiori. E' una fatica immane quella del poeta, come di ogni spirito creativo, ed è fuori strada chiunque pensi che affidarsi all'ispirazione sia un fatto puramente istintivo.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Niente da aggiungere.compltamentissimo daccordissimo. E mi muovo già da anni in questa direzione anche se è dura . perché c'è un callo sociale molto duro con cui fare i conti. Grandissimo!
RispondiEliminaLeggo con autentica ammirazione la lunga riflessione di Franco sulle finalità dell'Arte, che avvitandosi su se stessa diviene ben misera cosa e si allontana dall'aspetto che dovrebbe connotarla: la vocazione. Con altrettanta pura ammirazione leggo la replica di Andrea Mariotti e il suo invito a sudare per conquistare sul campo i meriti. Vocazione e lavoro possono dar senso all'Arte per l'uomo e non all'arte fine a se stessa e spesso priva di ogni capacità di critica e soprattutto di autocritica. Nel corso della serata del 28 giugno al Polmone Pulsante si è parlato a lungo del concetto di autocritica. Continuo a nutrire dubbi circa la capacità del singolo di mettersi in discussione, ma credo sia l'unica strada perseguibile per crescere ed evitare mistificazioni.
RispondiEliminaRingrazio i miei amici per i loro contributi e spero di essere all'altezza di simili esempi. Maria Rizzi
Un mio intervento sulle profonde riflessioni espresse da Franco su "Il Bandolo" potrebbe apparire ripetitivo, tanto le condivido e le sottoscrivo.
RispondiEliminaRagione, questa, per cui - a beneficio di coloro che nutrono interesse per le tematiche del Manifesto - inviterei soltanto a non perdere quello che reputo un passaggio fondamentale che, forse, potrebbe fugare definitivamente un erroneo, seppur legittimo, scetticismo:
"Ci tengo a chiarire, a questo punto, che l'intento perseguito dal Bandolo non è di tipo idealistico, e questo per un motivo semplicissimo: l'Idealismo divenne ben presto una forma di razionalismo, mentre il richiamo vocazionale dell'arte di cui noi parliamo, è sovra-razionalistico...".
Sandro Angelucci
Nell'esternare la mia condivisione a quanto così ben espresso da Franco, non posso far altro che citare brevi passi di Neruda riguardo la Poesia. Essa è cosa sacra sì, che ricerca il vero, ma anche necessariamente cosa umana, legata alla terra, un qualcosa che si fa con le mani, come il pane!
RispondiElimina“La poesia è un atto di pace. La pace costituisce il poeta come la farina il pane”
Neruda
"La poesia deve camminare nell'oscurità e incontrarsi con il cuore dell'uomo, con gli occhi della donna, con gli sconosciuti della strada, di quelli che a una certa ora del crepuscolo, o in piena notte stellata, hanno bisogno magari di un solo verso..."
Neruda
Vi abbraccio,
Aurora De Luca
Non so chi sia "Il Giolli" e mi piacerebbe conoscerlo. E' vero ciò che lui dice a proposito del "callo sociale" che ostacola la circolazione di queste idee, ma appunto per questo sarebbe bene unire le forze... Ringrazio Maria Rizzi che ribadisce il concetto a me caro dell'unità "Ispirazione-Lavoro" (in tutto simile all'equivalenza che faccio tra il Dubbio e la Fede...). Sono grato a Sandro Angelucci per la sottolineatura molto opportuna: l'Idea non è l'Anima e la spiritualità non può essere confusa con la ragione. E infine grazie ad Aurora De Luca: torna anche lei sull'unità di ciò che è sacro con il lavoro, e lo fa magistralmente citando Neruda.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ho avuto il piacere, essendo presente al Festival Art di Spoleto, di ascoltare questa riflessione dalla voce di Franco Campegiani. Eravamo lì a leggere le nostre poesie, insieme a molti artisti provenienti da diversi Paesi. Posso riferire che le tante persone presenti in sala, hanno espresso grande sostegno per il "Bandolo". Numerosi i commenti e le parole di gratitudine espresse verso questo manifesto di artisti, intenti a colmare il vuoto di bellezza e di creatività che affligge oggi il sistema dell'arte.
RispondiEliminaLa mia testimonianza vuole essere, oltre che un ringraziamento per gli ideatori, anche una spinta a proseguire con molta e determinata consapevolezza. E mi riferisco anche al "talento che è sempre la sintesi fra la disposizione naturale e lo studio rigoroso" di cui parla Andrea Mariotti. E "la penna", a cui noi firmatari del Manifesto Culturale facciamo riferimento, possa essere uno strumento utile al processo di umanizzazione della civiltà e l'artista possa tenere sotto controllo le scorribande mercificate che spostano il valore del giusto e sano ego creativo per mortificare quel processo di relazione tra l'io e il mondo, a cui Franco Campegiani fa riferimento.
Sonia Giovannetti
Ti sono grato, Sonia, per il sostegno. Ponendo sotto accusa l'individualismo, non è l'individuo che si deve osteggiare, perché, come tu dici giustamente, esiste un "sano ego creativo". Tutto fa capo all'individuo (l'egoismo come l'altruismo, il bene come il male) e la fatica più gravosa sta nel giudicare se stessi, le proprie azioni, nel caso specifico "tenendo sotto controllo le scorribande" della mercificazione. Un lavoro autocritico, senza il quale non c'è salvezza e l'uomo è destinato alla disumanizzazione. Ben vengano i maestri maieutici, di socratica impostazione, i quali aiutano il processo autocritico con la loro educazione (da ex-ducare, portar fuori da dentro, aiutare a far partorire, come la mammana). Non così fanno, purtroppo, quei tanti, malefici maestri che si trasformano in imbonitori.
EliminaFranco Campegiani
Caro Franco,
RispondiEliminaho letto con notevole interesse le tue riflessioni sul ‘BANDOLO’ ed ho voluto prendermi del tempo, forse troppo per risponderti, ma desideravo metabolizzare per bene le tue provocazioni e non spegnermi subito nella immediatezza del consenso, onde evitare a causa della mia impreparazione, pericolose deviazioni interpretative.
“Mancano visioni”, “mestieranti”, “non trasmettono messaggi alti”, “il nostro ego”, “il richiamo vocazionale dell’arte”, “la relazione tra l’io e il mondo, “ la mitopoiesi”. Ti riferisci forse agli ‘artisti’? A coloro che in quanto tali, dovrebbero aver in sé, come in un forziere, visioni, messaggi alti, lasciarsi trasportare dal messaggio vocazionale dell’arte, essere costantemente in relazione con il mondo, essere produttori di miti-visioni? Si badi bene, non visionari ma portatori di un progetto, magari lontano ma saldamente radicato nel mondo e tra gli uomini, un progetto nel quale le visioni sono le colonne portanti delle nostre azioni: non palpabili, non tangibili con i sensi ma concretate nelle azioni.
Ebbene le visioni in quanto tali non appartengono solo al mondo dell’arte assoluta, ma al mondo: agli uomini, alle piante, agli animali. Cosa spinge l’immigrato a salire si barconi della morte, o il girasole a seguire con fatica il ritmo del tempo, o il lupo ad inseguire e la pecora a fuggire, se non la visione di un altro giorno, di un’ altro domani.
È un altro domani il progetto.
L’arte stessa non può sottrarsi ad un altro domani, non può “non dare corpo ad altre cosmogonie”, non può non lasciarsi catturare da “sorgive rivelazioni del significato o dei significati della vita”: gli artisti “devono tornare a farsi ispirare dalle Muse”.
Ma chi sono le Muse della modernità, di questa modernità affetta da bulimia ipermercatistica, iperconsumistica, iperansiolitica, povera di ‘ethos’, ‘pathos’, ‘logos’? Votata ad un’arte banalizzata e svenduta al mercato, l’arte dei “mestieranti” , l’arte senza visione e senza futuro.
L’arte è uno stato di grazia, ma in quanto tale rischia di scomparire se, come tu stesso affermi, essa non si coniuga all’esercizio, allo studio, alla contemplazione, al rigore, alla interpretazione della realtà, all’impegno creativo, alla frequentazione, alla denuncia, ….. sono queste le Muse, quelle che generano visioni, che a loro volta si trasformano in atto creativo proprio in virtù di un originario stato di grazia che nulla sarebbe, a nulla condurrebbe senza queste Muse.
Voglio concludere questo mio noioso intervento con una citazione di Mario Vargas Losa tratta dal suo “La Civiltà dello Spettacolo”: ‘…non abbiamo mai vissuto un’epoca tanto ricca di conoscenze e, tuttavia, forse non siamo mai stati tanto confusi di fronte ad alcuni interrogativi fondamentali, per esempio se parole come spirito, ideali, piacere, amore, solidarietà, anima, trascendenza hanno ancora un significato’.
Ti saluto con affetto
Umberto Messia
Caro Umberto,
Eliminati sono grato per la condivisione e per aver posto il dito sulla piaga. La realtà non esiste senza la fantasia, senza il mito; e viceversa. Oggi si tende purtroppo a discriminare le due sfere, a separarle radicalmente tra di loro e sta qui l'origine di tanti mali. Le due dimensioni sono, si, diverse e addirittura contrastanti tra di loro, ma sono anche complementari e funzionali l'una all'altra, per cui sarebbe opportuno riscoprirne la collaborazione. Ti ringrazio a nome mio e dei lettori del blog per l'illuminato contributo.
Franco Campegiani